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Rifiuto indicazioni identità: reato anche senza residenza

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un cittadino condannato per il reato di rifiuto indicazioni identità. L’ordinanza conferma che l’obbligo di fornire informazioni per l’identificazione personale include non solo nome e cognome, ma anche la residenza, configurando come reato il suo diniego.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rifiuto Indicazioni Identità: Anche la Residenza Conta

Il rifiuto indicazioni identità a un pubblico ufficiale è una questione delicata che spesso genera incertezza. È sufficiente fornire nome e cognome o è necessario rispondere a tutte le domande, inclusa quella sulla propria residenza? Con l’ordinanza n. 3264 del 2024, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: l’obbligo di identificazione è completo e il diniego di fornire informazioni essenziali come la residenza integra il reato previsto dall’art. 651 del codice penale.

I Fatti del Caso

La vicenda giudiziaria ha origine dal comportamento di un cittadino che, fermato dalle forze dell’ordine, si rifiutava di comunicare la propria residenza e/o domicilio. Per questa condotta, l’uomo veniva condannato in primo grado e successivamente anche dalla Corte d’Appello di Messina per il reato di cui all’art. 651 c.p. (Rifiuto d’indicazioni sulla propria identità personale).

Non ritenendo corretta la decisione dei giudici di merito, l’imputato proponeva ricorso per cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione. A suo avviso, il reato non sussisteva, poiché il rifiuto non riguardava le generalità principali (nome e cognome), ma un dato accessorio come la residenza.

Il Rifiuto Indicazioni Identità e la Decisione della Corte

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso, dichiarandolo inammissibile. I giudici supremi hanno ritenuto che il motivo presentato dall’imputato fosse semplicemente una riproposizione di argomentazioni già correttamente analizzate e respinte dalla Corte d’Appello.

Il fulcro della decisione risiede nell’interpretazione dell’articolo 651 del codice penale. La Corte ha confermato l’orientamento consolidato secondo cui il dovere di fornire indicazioni sulla propria identità personale non si esaurisce nella comunicazione del nome e del cognome. Al contrario, esso si estende a tutte le altre informazioni necessarie per una completa identificazione del soggetto, tra cui rientra a pieno titolo il luogo di residenza.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha motivato la sua decisione richiamando un principio di diritto già affermato in precedenza (sentenza n. 5091 del 2012). Secondo tale principio, il rifiuto di fornire indicazioni sulla propria identità personale, sanzionato dall’art. 651 c.p., comprende il diniego di comunicare qualsiasi informazione richiesta per una completa identificazione. Ciò include, senza dubbio, il luogo di residenza.

La ratio della norma è garantire che i pubblici ufficiali possano identificare compiutamente e senza incertezze le persone con cui entrano in contatto nell’esercizio delle loro funzioni. La residenza è un elemento cruciale in questo processo, in quanto permette di localizzare la persona e di procedere con notifiche e altri atti ufficiali. Pertanto, il rifiuto di fornirla ostacola l’attività della pubblica amministrazione e integra la fattispecie di reato.

Di conseguenza, la Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale per i casi di inammissibilità.

Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un importante principio giuridico: l’obbligo di cooperazione con le forze dell’ordine ai fini dell’identificazione è ampio e non ammette rifiuti parziali. I cittadini sono tenuti a fornire tutte le informazioni richieste, inclusa la residenza, per consentire una loro completa identificazione. Il rifiuto, anche solo parziale, di fornire tali dati costituisce il reato di rifiuto indicazioni identità. Questa pronuncia serve da monito sull’importanza di adempiere a tali doveri e sulle conseguenze, non solo penali ma anche economiche, che possono derivare da un ricorso giudiziario infondato.

Rifiutarsi di comunicare la propria residenza a un pubblico ufficiale è reato?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, il reato previsto dall’art. 651 del codice penale (rifiuto d’indicazioni sulla propria identità personale) si configura anche quando ci si rifiuta di fornire il proprio luogo di residenza, in quanto tale informazione è considerata essenziale per una completa identificazione della persona.

Cosa si intende per ‘indicazioni sulla propria identità personale’ ai sensi dell’art. 651 c.p.?
L’ordinanza chiarisce che l’espressione non si limita al nome e cognome, ma comprende tutte le informazioni richieste dalle autorità per una completa identificazione, tra cui rientra anche il luogo di residenza e/o domicilio.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Come stabilito nel caso di specie, la dichiarazione di inammissibilità comporta non solo il rigetto del ricorso, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro (in questo caso, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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