Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 26799 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 26799 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 04/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato a Gioia Tauro il 25/7/1962
avverso la sentenza del 17/10/2024 della Corte di appello di Reggio Calabria
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 17 ottobre 2025 la Corte di appello di Reggio Calabria ha confermato la pronuncia di condanna per il reato di cui all’art. 366 cod. pen., emessa dal Tribunale di Palmi il 22 settembre 2023 nei confronti di NOME COGNOME
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, che ha dedotto i motivi di seguito indicati.
2.1. Con il primo motivo ha lamentato violazione di legge e vizi della motivazione, per avere i Giudici di merito ritenuto sussistente il reato, nonostante la mancanza di consapevolezza, da parte dell’imputato, della provenienza dell’incarico di custode dall’autorità giudiziaria. Inoltre, la Corte territoriale non solo avrebbe male interpretato la frase dell’imputato, che aveva dichiarato di volere assumere l’incarico a condizione di potere usare le aree sottoposte a sequestro, ma avrebbe anche trascurato che le condizioni di sorveglianza di tali aree erano mutate rispetto a quelle esistenti nel periodo di custodia del precedente incaricato.
2.2. Con il secondo motivo ha dedotto violazione di legge e vizi della motivazione in ordine al rigetto della richiesta di applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. La Corte di appello, nel ritenere che la volontà dell’imputato fosse quella di rientrare nella materiale disponibilità dei beni e che, quindi, la condotta fosse caratterizzata da elevata capacità delinquenziale e da un dolo tutt’altro che scarsamente intenso, avrebbe adottato una motivazione fondata su valutazioni meramente assertive.
2.3. Con il terzo motivo ha censurato il diniego delle attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena, formulato senza considerare le molteplici circostanze rappresentate dalla difesa, quali l’intervenuta riabilitazione da una pregressa condanna, l’assenza di precedenti specifici, il comportamento processuale collaborativo e l’occasionalità del fatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo non rientra tra quelli consentiti.
La tesi difensiva si basa sul presupposto che l’imputato aveva rifiutato di assumere la veste di custode dei beni della RAGIONE_SOCIALE perché, in assenza della facoltà d’uso, egli non sarebbe stato in grado di assolvere adeguatamente all’incarico affidatogli, non potendo garantire un efficace presidio soprattutto per l’estensione delle aree sequestrate e tenuto conto di quanto già avvenuto con il precedente custode, il quale, designato senza facoltà d’uso, aveva dovuto denunciare plurimi episodi di furti e incendi all’interno dell’azienda. Accettare l’incarico conferito nelle condizioni appena descritte, secondo la difesa, avrebbe esposto l’imputato a rischi giudiziari ancora maggiori rispetto a quello relativo al
rifiuto dell’ufficio pubblico, potendo egli essere chiamato a rispondere degli atti illeciti avvenuti in costanza della custodia affidatagli.
La Corte di appello ha ritenuto, invece, che l’imputato non aveva agito in buona fede, atteso che un atteggiamento di fattiva collaborazione con la giustizia avrebbe richiesto l’accettazione dell’incarico da parte del ricorrente, che avrebbe potuto, al fine di cautelarsi preventivamente, lasciare comunque traccia scritta delle proprie riserve in merito alla possibilità di garantire efficacemente la custodia affidatagli. Egli, insomma, avrebbe potuto dichiararsi disponibile, pur rappresentando le difficoltà che gli cagionavano perplessità alla luce di quanto già avvenuto nel corso della custodia affidata a Forgione.
La Corte territoriale ha poi sottolineato che la facoltà d’uso dei beni in sequestro, evidentemente esclusa dall’autorità giudiziaria procedente per ragioni di cautela, non avrebbe potuto in alcun modo mettere al riparo l’imputato dai possibili rischi di atti illeciti di terzi ai danni dei beni aziendali, presupponendo essa la costante presenza del custode all’interno dei siti facenti capo all’anzidetta società, né la possibilità per il medesimo di monitorare contemporaneamente tutto il comparto aziendale, dovendosi comunque ragionevolmente ritenere che l’imputato avrebbe dovuto affidarsi ai presidi già predisposti (impianto di videosorveglianza, sistemi di allarme e operato della Sicurpiana). Ha ritenuto, quindi, che l’imputato avesse posto in essere un tentativo di dettare le proprie condizioni per l’assunzione dell’ufficio pubblico assegnatogli, al fine del tutto egoistico di rientrare nella materiale disponibilità dei beni in sequestro.
A fronte di siffatte argomentazioni il ricorrente ha sollecitato una non consentita rilettura delle emergenze processuali da cui entrambi i Giudici di merito, con un ragionamento immune da vizi di manifesta illogicità e, pertanto, non censurabile in questa sede, hanno tratto conferma della fondatezza dell’ipotesi accusatoria.
Va ricordato che, secondo una linea interpretativa da tempo tracciata da questa Corte, l’esito del giudizio di responsabilità non può certo essere invalidato da prospettazioni alternative, risolventisi in una “mirata rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perché illustrati come maggiormente plausibili o assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, F., Rv. 280601 – 01; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482 – 01; Sez. 4, n. 35683 del 10/07/2007, Servidei, Rv. 237652
– 01; Sez. 2, n. 23419 del 23/05/2007, P.G. in proc. COGNOME, Rv. 236893 – 01; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, COGNOME, Rv. 234148 – 01).
Va aggiunto che la doglianza del ricorrente relativa all’insussistenza del reato di cui all’art. 366, comma secondo, cod. pen., per non essere l’incarico di custode giudiziario stato conferito dall’autorità giudiziaria, ma dalla polizia giudiziaria, non è consentita, in quanto proposta per la prima volta in sede di legittimità.
Ad ogni modo, nel caso in esame, alla richiesta del Pubblico ministero di nominare COGNOME COGNOME quale custode delle aree e del comparto aziendale, sottoposti a sequestro preventivo, è seguito il provvedimento autorizzativo del Giudice per le indagini preliminari. Tali atti sono stati espressamente menzionati dalla polizia giudiziaria procedente nel “verbale di nomina di custode giudiziario”, datato 12 agosto 2021 e sottoscritto dal ricorrente, così che risulta sconfessata dagli atti la dedotta mancata consapevolezza del ricorrente sulla provenienza dell’incarico.
3. Il secondo motivo è privo di specificità.
L’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. impone «una valutazione congiunta degli indicatori afferenti alla condotta, al danno e alla colpevolezza», tale da rivelare un’offensività minima della fattispecie concreta (Sez. 6, n. 35195 del 3/05/2022, COGNOME, Rv. 283731 – 01; Sez. 6, n. 21514 del 2/07/2020, COGNOME, Rv. 279311 – 01).
Tale valutazione è stata compiuta dalla Corte territoriale, che non ha applicato l’art. 131-bis cod. pen., essendo la condotta dell’imputato caratterizzata da elevata capacità delinquenziale e da un dolo tutt’altro che scarsamente intenso.
Con siffatta motivazione il ricorrente non si è confrontato, essendosi limitato ad affermare che si trattava di argomentazioni assertive.
Manifestamente infondate sono anche le doglianze contenute nell’ultimo motivo, concernenti il diniego delle attenuanti generiche.
Il Collegio territoriale, nel motivare la decisione facendo riferimento alla gravità dei fatti, si è correttamente conformato al consolidato orientamento di questa Corte, per la quale, al fine di ritenere o escludere la configurabilità delle attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio: anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso può, pertanto, risultare all’uopo sufficiente (così, ex multis,
Sez. 2, n. 23903 del 15/7/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 02; Sez. 2, n. 3609
del 18/1/2011, COGNOME e altri, Rv. 249163 – 01).
5. La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta, ai sensi dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché – non sussistendo ragioni di esonero (Corte cost., 13 giugno
2000 n. 186) – della somma di euro tremila, equitativamente determinata, in favore della Cassa delle ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 4 luglio 2025.