Rifiuto Etilometro: la Cassazione chiarisce i limiti del ricorso
Il reato di rifiuto etilometro, previsto dall’articolo 186, comma 7, del Codice della Strada, è una fattispecie che genera un ampio contenzioso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sui limiti del ricorso in sede di legittimità, soprattutto quando la difesa si basa su presunte giustificazioni soggettive come una crisi di panico o sulla richiesta di non punibilità per la tenuità del fatto.
La vicenda processuale: dal Tribunale alla Cassazione
Il caso riguarda un’automobilista fermata per una condotta di guida definita pericolosa. Gli agenti intervenuti riscontravano sintomi evidenti di assunzione di bevande alcoliche e, di conseguenza, le chiedevano di sottoporsi al test con l’etilometro. La conducente si rifiutava di effettuare il soffio continuo necessario per il funzionamento dell’apparecchio.
Per questo comportamento, veniva condannata in primo grado dal Tribunale alla pena di sei mesi di arresto e duemila euro di ammenda, oltre alle sanzioni accessorie della sospensione della patente per un anno e della confisca del veicolo. La decisione veniva integralmente confermata dalla Corte di Appello.
I motivi del ricorso e il rifiuto etilometro
Contro la sentenza di secondo grado, la difesa proponeva ricorso per cassazione, articolando due principali motivi:
1. Errata valutazione della responsabilità penale: La ricorrente sosteneva che il suo rifiuto non fosse arbitrario, ma derivasse da una crisi di panico, come asserito da un consulente tecnico di parte. Questa tesi mirava a interpretare la condotta come giustificata e, quindi, non penalmente rilevante.
2. Mancato riconoscimento della tenuità del fatto: In subordine, si chiedeva l’applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis del codice penale, sostenendo la particolare tenuità dell’offesa.
Le motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo motivazioni nette che tracciano una linea di demarcazione chiara tra il giudizio di merito e quello di legittimità.
Reiterazione dei motivi di appello
Innanzitutto, i giudici hanno osservato che i motivi presentati in Cassazione erano una semplice riproposizione, senza specifiche critiche giuridiche, di quanto già esaminato e correttamente respinto dalla Corte di Appello. La Cassazione non è una terza istanza di giudizio sui fatti, ma un organo di controllo sulla corretta applicazione del diritto.
Distinzione tra merito e legittimità
La tesi della crisi di panico è stata qualificata come una “inammissibile deduzione di fatto in sede di legittimità”. Stabilire se il rifiuto etilometro sia stato causato da un effettivo stato di panico o da una scelta volontaria è una valutazione che attiene al merito della vicenda, basata sulle prove raccolte (come la testimonianza dell’agente intervenuto). Tale accertamento, una volta compiuto dai giudici di primo e secondo grado, non può essere rimesso in discussione davanti alla Cassazione, a meno che non si dimostri un vizio logico o giuridico palese nella motivazione, cosa che nel caso di specie non è avvenuta.
L’inapplicabilità della “tenuità del fatto”
Anche la richiesta di applicazione dell’art. 131-bis c.p. è stata respinta. La Corte ha ricordato che, come stabilito dalle Sezioni Unite, il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una valutazione complessa e congiunta di tutti gli elementi del caso concreto, ai sensi dell’art. 133 c.p. (modalità della condotta, grado di colpevolezza, entità del danno o del pericolo). I giudici di merito avevano già compiuto questa valutazione, escludendo motivatamente la sussistenza dei presupposti per la non punibilità. La decisione impugnata, pertanto, si è dimostrata in linea con i principi giuridici consolidati.
Le conclusioni: implicazioni pratiche della decisione
L’ordinanza in esame ribadisce alcuni principi fondamentali del processo penale. In primo luogo, il ricorso in Cassazione deve basarsi su vizi di legittimità (violazioni di legge o difetti di motivazione macroscopici) e non può trasformarsi in un tentativo di ottenere una nuova valutazione dei fatti. In secondo luogo, le giustificazioni soggettive per il rifiuto etilometro, come una presunta crisi di panico, devono essere provate e valutate nel corso del giudizio di merito. Infine, l’applicazione della causa di non punibilità per tenuità del fatto non è automatica, ma discende da un’analisi rigorosa di tutte le circostanze specifiche, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito.
È possibile giustificare il rifiuto dell’etilometro sostenendo di aver avuto una crisi di panico?
Secondo questa ordinanza, tentare di introdurre tale giustificazione in sede di Cassazione come una nuova interpretazione dei fatti costituisce un’inammissibile deduzione di merito. La veridicità di tale stato deve essere provata e valutata dai giudici di primo e secondo grado sulla base delle prove raccolte.
Quando il reato di rifiuto di sottoporsi all’alcoltest può essere considerato di “particolare tenuità” (art. 131-bis c.p.)?
La sua applicazione richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, come le modalità della condotta, il grado di colpevolezza e l’entità del pericolo. In questo caso, i giudici hanno ritenuto che non sussistessero i presupposti per la sua applicazione.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché non sollevava vizi di legittimità, ma si limitava a riproporre le stesse argomentazioni di merito già correttamente esaminate e respinte dalla Corte di Appello. La Cassazione non può riesaminare i fatti del processo.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5371 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5371 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 08/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SAN NICANDRO GARGANICO il 24/01/1952
avverso la sentenza del 17/04/2024 della CORTE APPELLO di TRIESTE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
t
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Trieste ha confermato la sentenza del Tribunale di Pordenone dell’ 8 giugno 2022, con cui NOME COGNOME era stata condannata alla pena di mesi sei di arresto ed euro duemila di ammenda, con sospensione della patente di guida per un anno, confisca del veicolo di sua proprietà e trasmissione della sentenza al Prefetto di Pordenone per quanto di competenza, in ordine al reato di cui alli art. 186, comma 7, cod. strada, perché guidava sulla pubblica via e si rifiutava arbitrariamente di sottoporsi all’accertamento clinico-tossicologico finalizzato alla verifica della presenza di sostanze alcoliche, stupefacenti o psicotrope, nonché agli accertamenti necessari ad accertare lo stato di alterazione psicofisica, correlato all’utilizzo di sostanze stupefacenti o alcoliche.
L’imputata, a mezzo del proprio difensore, ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo, con due motivi: denuncia di violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla responsabilità penale e al mancato riconoscimento della causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis cod.pen.
I motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità.
Va rilevato che gli stessi riproducono, senza formulare specifica critica, il medesimo profilo di censura già adeguatamente vagliato e disatteso correttamente dalla Corte di appello, che ha evidenziato, alle pagine 2 e 3 della sentenza impugnata, riferendosi alle concrete modalità del fatto, che dalla testimonianza dell’agente intervenuto, era emerso che l’imputata, fermata per condotta di guida pericolosa, nonostante manifestasse tutti i sintomi dell’assunzione di bevande alcoliche, rifiutava di effettuare il soffio continuo, di 6 o 7 secondi, necessario per effettuare il test con etilometro. Rispetto a tali fattuali e documentali risultanze, l ricorrente propone nuovamente le considerazioni del c.t. di parte che, in via astratta ed ex post, afferma che tale condotta sarebbe derivata da una crisi di panico. Ciò al fine di interpretare la propria condotta nel senso di giustificare il rifiuto espresso. Si tratta, all’evidenza, di inammissibile deduzione fatto in sede di legittimità.
Allo stesso modo, va osservato che, per la configurabilità della causa di esclusione della punibilità prevista dall’art. 131 bis, cod. pen., il giudizio sul tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, comma primo, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590). La decisione impugnata ha fatto corretta applicazione di quei principi e il rifiuto della richiesta di applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., sono fondati su
motivi – schiettamente di merito, e dunque non consentiti – che comunque si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte territoriale.
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non essendo presenti cause di esonero.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.