Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 7105 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 7105 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto dalla parte civile
NOMECOGNOME nato a Borgorose (RI) 11/11/1956
nel procedimento nei confronti di
COGNOME nato ad Avezzano (AQ) il 17/05/1982
avverso la sentenza del 24/04/2024 della Corte di appello di Roma letti gli atti, il ricorso e la sentenza impugnata; udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento con rinvio al giudice civile competente in grado di appello; letta la memoria del difensore della parte civile, Avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso e la liquidazione delle spese; letta la memoria e la memoria di replica del difensore, Avv. NOME COGNOME che ha
concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il difensore di NOME COGNOME parte civile costituita nel procedimento a carico di NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza in epigrafe con la quale
la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza emessa il 2 novembre 2021 dal Tribunale di Rieti, che aveva ritenuto l’imputato responsabile del reato di cui all’art. 328 cod. proc. pen. e lo aveva condannato alla pena di giustizia oltre al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede, ha riqualificato i fatti commessi in data successiva e prossima al 27 maggio 2013 ai sensi dell’art. 328, primo comma, cod. pen. e ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione, revocando per l’effetto le statuizioni civili.
Ne chiede l’annullamento per i motivi di seguito illustrati.
1.1. Con il primo motivo denuncia l’erronea applicazione della legge in relazione alla individuazione della data di decorrenza del termine di prescrizione del reato e la violazione dell’art. 158 cod. pen. in relazione al reato di cui all’art 328 cod. pen. nonché l’illegittima dichiarazione di prescrizione in ragione della natura permanente del reato, cessata solo con la decadenza o la fine del mandato di sindaco.
La Corte di appello ha errato nel qualificare il reato come istantaneo, valorizzando la data di assunzione della carica di sindaco e il colloquio con il Desideri che lo avrebbe informato della situazione e della necessità di intervento, in quanto le circostanze accertate in dibattimento e la persistenza dell’interesse del ricorrente al compimento dell’atto dovuto smentiscono tale impostazione, dovendo ritenersi la natura permanente del reato in linea con i principi affermati da Sez. U, n. 16 del 24/11/1956, Salomone, Rv. 097641, secondo i quali la condotta che realizza il fatto tipico non esaurisce l’offesa, ma determina una permanente compressione del bene protetto sino a quando si protrae la situazione antigiuridica. Si richiamano sentenze più recenti, applicabili nel caso di specie, in quanto la diffida inviata dal ricorrente al sindaco il 6 giugno 2016 dimostra la persistenza dell’interesse al compimento dell’atto dovuto, sebbene tardivo, con conseguente permanenza del reato, stante la perdurante inerzia del COGNOME, sindaco dal 27 maggio 2013, rieletto nel 2018 ed ancora in carica, e la mancata prescrizione reato alla data del 27 novembre 2020, indicata dalla Corte di appello. Il reato non era prescritto al momento della sentenza di primo grado, sicché la Corte di appello ha errato nel revocare le statuizioni civili, né era prescritto al momento della sentenza di appello.
1.2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione di legge e l’illegittima dichiarazione di prescrizione del reato. Pur volendo ritenere il reato di natura istantanea, come sostenuto dalla Corte di appello, a fronte delle specifiche e reiterate sollecitazioni del 6 giugno 2016, del 13 settembre 2016 e del 25 settembre 2017, il reato doveva ritenersi consumato ogni volta che l’imputato ha rifiutato di intervenire e di compiere l’atto richiesto, trattandosi di att
dovuto per ragioni di giustizia, sicurezza e ordine pubblico e igiene, con la conseguenza che il reato non era prescritto alla data della sentenza di primo grado.
1.3. Con il terzo motivo si deduce l’illogicità della motivazione per erronea dichiarazione di prescrizione del reato in contrasto con le emergenze processuali, atteso che l’imputato non ha indicato la data dell’incontro nel corso del quale il Desideri lo aveva informato della situazione, che, pertanto, non può essere collocata poco dopo l’assunzione dell’incarico di sindaco, come affermato in sentenza; anzi, il Calise stesso offre un’indicazione precisa che colloca il colloquio dopo il 25 settembre 2017, data della nota della Regione Lazio diretta al Comune.
1.4. Con il quarto motivo si deduce la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione per non avere la Corte di appello argomentato sull’attendibilità delle dichiarazioni dell’imputato, che non ha obbligo di verità.
1.5. Con il quinto motivo si deducono vizi della motivazione in relazione alla decorrenza del termine di prescrizione neppure precisamente individuato, ma genericamente indicato nel colloquio di cui si è detto, avvenuto” poco dopo” l’assunzione della carica di sindaco.
1.6. Si deduce ancora la manifesta illogicità della motivazione per aver ritenuto rilevante la mera assunzione della carica di sindaco per la decorrenza del termine di prescrizione, facendola coincidere con l’obbligo di porre in essere l’atto dovuto, in contrasto con i principi che sorreggono l’individuazione dell’elemento psicologico del reato e con i successivi atti a lui diretti, che lo informavano specificamente degli interventi necessari per rimuovere le carenze e i pericoli segnalati e quantomeno con la diffida del 6 giugno 2016, sicché il termine non era spirato alla data della sentenza di primo grado: conseguentemente la sentenza va annullata nella parte in cui revoca le statuizioni civili per erronea applicazione dell’art. 578 cod. proc. pen..
Con memoria depositata in atti, il difensore del COGNOME deduce l’inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza dei motivi.
In primo luogo, perché è corretta la ritenuta natura istantanea del reato di rifiuto di atti d’ufficio in linea con l’orientamento maggioritario, e perché, quand’anche si volesse ritenere permanente l’omissione sino al perdurare della situazione di pericolo, ne è stata dimostrata l’insussistenza, come risulta dagli accertamenti della Asl, che, all’esito del sopralluogo del 29 settembre 2016, non rilevò una situazione di urgenza igienico-sanitaria; anche relativamente alle esigenze di giustizia, correlate al pericolo per la pubblica incolumità, è stato dimostrato che la strada interessata dal restringimento era sottratta all’uso pubblico e per il mutato assetto urbanistico aveva un diverso
tracciato, percorribile da qualsiasi automezzo, che non interessava il fabbricato oggetto di segnalazione; peraltro, l’interesse pubblico tutelato dalla norma va distinto dall’interesse privato al compimento dell’atto richiesto, sicché è corretta la valutazione della Corte di appello.
Anche le censure relative alla decorrenza del termine di prescrizione individuato in sentenza, ma che la parte civile indica in altri momenti, sono del tutto infondate, in quanto l’ordinanza sindacale del 4 maggio 2001, rimasta ineseguita per anni, imponeva la demolizione del fabbricato abusivo entro 20 giorni, sicché, pur volendo ritenere che il COGNOME fosse obbligato a dare esecuzione coattiva all’ordinanza appena assunta la carica, il termine prescrizionale deve ritenersi decorrente dal 16 giugno 2013 ovvero decorsi i 20 giorni dall’elezione (27 maggio 2013). Anche la dedotta decorrenza dall’ultimo sollecito, intorno al 25 settembre 2017, quando sarebbero iniziate le interlocuzioni con la Regione Lazio e l’imputato ne sarebbe stato informato nel corso di un colloquio con il responsabile dell’ufficio tecnico, trova smentita nelle stesse dichiarazioni del Desideri, che ha ammesso di non aver più sollecitato il Sindaco dopo la denuncia, quindi, prima del 2016 e, infatti, il COGNOME conosceva la questione dal 2009 quando come consigliere comunale aveva votato in Consiglio per il rigetto della proposta di acquisto dell’area su cui sorgeva il manufatto abusivo.
Sostiene ancora, che lo stesso riferimento della parte civile ai solleciti diretti al sindaco, presuppone un colloquio precedente, che rende logica la valutazione della Corte di appello; che è infondata la tesi della mancata valutazione sull’attendibilità delle dichiarazioni dell’imputato, in quanto l’esame dell’imputato è mezzo di prova e il sollecito del 6 giugno 2016 presuppone un colloquio precedente. In subordine, il difensore ritiene che dovrebbe essere rimessa alla Corte di appello per la decisione nel merito.
Il difensore della parte civile ha depositato memoria e nota spese, ribadendo la fondatezza dei motivi di ricorso e le conclusioni già formulate.
Con memoria di replica alle conclusioni del PG, il difensore del COGNOME ha ribadito i motivi di censura, insistendo per la inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi, che, pur diretti a contestare l’erronea dichiarazione di prescrizione del reato, ed in tale prospettiva ammissibili (Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, COGNOME
Rv. 275953), in realtà, propongono una rilettura di circostanze di fatto, cui ancorare la natura permanente del reato omissivo, disattesa in sentenza.
Secondo l’accusa, ritenuta fondata dal Tribunale, il COGNOME, sindaco del comune di Borgorose dal 27 maggio 2013 e rieletto nel 2018, a fronte dell’inerzia del responsabile dell’ufficio tecnico, aveva omesso di dare esecuzione all’ordinanza sindacale del 4 maggio 2001, che disponeva la rimozione di un manufatto abusivo, emessa per ragioni di giustizia- trattandosi di manufatto abusivo realizzato su suolo demaniale-, di sicurezza pubblica e ordine pubblico- trattandosi di opera che ostruiva e intralciava la circolazione stradale-, di igiene e sanità- in considerazione della situazione di degrado dell’area-, nonostante la richiesta inoltratagli personalmente dal Desideri il 6 giugno 2016 e dei ripetuti solleciti della Regione Lazio del 25.9.2017, del 20 e 22.11.2017 e dell1.2.2018. Accertato il 31 maggio 2018 e permanente, secondo l’imputazione modificata in data 13 luglio 2021.
A differenza del Tribunale, la Corte di appello ha ritenuto la natura di reato a consumazione istantanea, considerando irrilevante la protrazione degli effetti del mancato compimento dell’atto dovuto e l’invio di solleciti da parte del Desideri al fine di ottenere l’adempimento anche tardivo dell’ordinanza sindacale, emessa il 4 maggio 2001 rimasta per anni ineseguita.
E ciò in applicazione del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale nei casi di cui al primo comma dell’art. 328 cod. pen. non assume rilevanza la richiesta della parte interessata al compimento dell’atto, atteso che anche la semplice inerzia rispetto ad una attività che per legge deve essere compiuta senza ritardo può integrare l’indebito rifiuto, pacificamente configurabile anche in caso di inerzia omissiva che, ritardando il compimento dell’atto oltre i termini prescritti dalla legge, si risolve in un rifiuto implicito, essendo necessaria una manifestazione di volontà formale (Sez. 6, n.10051 del 20/11/2012, Nolé, Rv. 255717).
Da tale impostazione discende la ritenuta irrilevanza delle sollecitazioni del Desideri dirette al Calisse ai fini del calcolo della prescrizione con individuazione della decorrenza del termine dall’assunzione della carica da parte del Calisse, essendo ancorato a tale momento l’obbligo di dare esecuzione all’ordinanza di demolizione, emessa nel lontano 2001.
A fronte delle questioni poste dalla difesa del COGNOME relative: 1) all’insussistenza della situazione di pericolo denunciata dal Desideri perché smentita dal sopralluogo della Asl del 29 settembre 2016; 2) all’assenza di pericolo per la pubblica incolumità per essere la strada interessata dal restringimento non più ad uso pubblico; 3) alla natura solo urbanistica della violazione sanzionata dall’ordinanza di demolizione, e 4) alla intervenuta
prescrizione del reato, essendo l’obbligo di eseguire l’ordinanza, rimasta ineseguita per i precedenti 12 anni, decorrente dal momento di assunzione della carica, stante la natura omissiva e istantanea del reato, la Corte di appello ha escluso di poter pervenire all’assoluzione dell’imputato, ritenendo meritevoli di approfondimento vari aspetti della vicenda a fronte della opposta prospettazione delle parti – essendo dubbia la natura demaniale del bene, dubbia la natura edilizia o igienico- sanitaria delle ragioni fondanti il provvedimento-, e prevalente la causa di non procedibilità, maturata in epoca successiva e prossima al 27 novembre 2020, trattandosi di atto dovuto dal nuovo sindaco, informato della vicenda dal Desideri nel corso di un incontro avvenuto poco dopo l’assunzione della carica per ammissione dello stesso imputato, che anche nella memoria depositata in questa sede sostiene di averne avuto cognizione già dal 2009 nella veste di consigliere comunale.
Le censure della parte civile attengono, quindi, alla erronea individuazione del termine di decorrenza del termine di prescrizione perché non fondata su dati probatori certi, ma sulle dichiarazioni dell’imputato, prive di riscontro, sul mancato rilievo attribuito ai numerosi inviti rivolti al Calisse quantomeno a partire dalla diffida del 6 giugno 2016, ed al protrarsi dell’inerzia omissiva dell’imputato a fronte dei solleciti formali, dimostrativi, nella prospettiva del ricorrente, degli effetti permanenti dell’omissione.
Il ricorso, tuttavia, trascura la centralità attribuita dal giudice di appell alla qualificazione del reato come rifiuto di atti di ufficio, ravvisabile anche i caso di inerzia omissiva, come nel caso di specie, quale reato di natura istantanea, atteso che l’inerzia integra il rifiuto implicito di compiere l’att dovuto e che il rifiuto non presuppone necessariamente la richiesta dell’interessato, a differenza di quanto sostenuto nel ricorso. E ciò in ragione del fatto che l’atto dovuto per ragioni di giustizia, igiene o sanità o sicurezza pubblica, essendo destinato ad incidere su beni di valore primario, non è ancorato alla domanda del singolo interessato o alla esigenza di tutela dell’interesse del singolo, ma trova nella legge la fonte dell’obbligo del pubblico ufficiale di provvedere senza ritardo per arginare la messa in pericolo di detti interessi pubblici, sicché il mancato sollecito compimento dell’atto entro il più breve tempo possibile ovvero “senza ritardo”, integra di per sé il reato, la cui consumazione coincide con la omissione del provvedimento dovuto in assenza di giustificazioni.
In tale prospettiva assume rilievo la sussistenza di una situazione oggettiva di pericolo e di urgenza che imponga, a prescindere dalla richiesta o sollecitazione di parte, il compimento dell’atto dovuto, occorrendo, pertanto, l’oggettiva indifferibilità dell’atto poiché è la situazione di pericolo concret
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correlata all’omissione ad avere rilevanza; ma è proprio della sussistenza di tale presupposto essenziale che la Corte di appello dubita e questo dato, benché rilevante, è del tutto trascurato dal ricorrente, che non tiene conto della circostanza che anche nella sentenza di primo grado si dà atto della presenza del manufatto in lamiera su un’area, a parere del Desideri, demaniale; del lungo contenzioso tra il Comune, il Desideri e i proprietari del manufatto; delle condizioni fatiscenti dello stesso e dell’esito del sopralluogo del 29 settembre 2016, nel corso del quale il personale dell’Asl aveva rilevato che “l’orto è infestato da vegetazione spontanea, la legnaia, essendo sprovvista di opportune chiusure, potrebbe ospitare animali indesiderati o pericolosi, comunque, al momento non individuati”.
Tuttavia, pur considerando l’ordinanza emessa dal precedente sindaco e rimasta non attuata per anni, quantomeno “formalmente” adottata anche per motivi pubblici di igiene, sanità e sicurezza (così a pag.7 della sentenza), e pur ritenendo sussistente, secondo la prospettazione della parte civile, la necessità e l’urgenza di eseguirla, la Corte di appello ha correttamente ancorato il compimento dell’attività doverosa da parte del COGNOME all’assunzione della carica di sindaco dal 27 maggio 2013 (pag. 7-8 della sentenza impugnata) o, quantomeno, al momento in cui aveva avuto conoscenza diretta della situazione, rappresentatagli nel corso di un incontro con il Desideri, avvenuto poco dopo l’assunzione della carica, individuando in tale momento la decorrenza del termine di prescrizione del reato.
3.1. Le contestazioni del Desideri relative a tale profilo individuano momenti diversi, valutabili nella diversa prospettiva in cui assume rilevanza la persistenza dell’interesse, ancorata alle sollecitazioni rivolte al sindaco, e alla permanenza dell’inerzia omissiva.
Ma sul punto, come già detto, i giudici di appello hanno applicato i principi affermati da questa Corte secondo i quali, consistendo il reato di rifiuto di atti di ufficio nel mancato adempimento di un’attività doverosa, essendo il soggetto obbligato all’adempimento a compierlo appena possibile, la consumazione del reato si verifica nel momento stesso in cui si è verificata l’omissione o è stato opposto il rifiuto. L’agente è punibile per reato istantaneo senza che abbia nessun rilievo l’ininterrotta protrazione dell’inattività individuale, giacché la legge non riconosce alcuna efficacia giuridica a detta persistenza e nemmeno all’eventuale desistenza (in tal senso, Sez. 6, n. 10137 del 24/06/1998, COGNOME, Rv. 211569). Si è precisato, che, proprio per tale natura, l’omissione può essere «di breve o di lunga durata» senza che ciò incida sulla configurabilità e sussistenza del reato, potendo tale profilo essere solo «funzionale piuttosto ad apprezzare, ai fini del trattamento sanzionatorio, la condotta post delictum dell’agente».
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3.2. Alla luce di tali principi e delle perplessità evidenziate in sentenza sulla esistenza oggettiva della situazione di urgenza e di pericolo prospettata dalla parte civile, la protrazione dell’inerzia del Calisse oltre il termine indicato nell’ordinanza per provvedere d’ufficio alla demolizione del manufatto non incide sulla natura istantanea del reato e sul momento iniziale di decorrenza del termine di prescrizione, configurandosi il reato di rifiuto di atti di ufficio come reato di pericolo e non di danno.
In tale prospettiva e, come già detto, in ragione della dubbia sussistenza dei presupposti necessari per ritenere non più giustificabile il ritardo nel compimento dell’atto dovuto, non risulta incoerente né manifestamente illogico il mancato rilievo attribuito dai giudici di appello alla persistenza dell’interesse del Desideri all’esecuzione, anche tardiva, dell’ordinanza del 2001, non potendo detto interesse e le sollecitazioni rivolte al sindaco delimitare la protrazione del rifiuto e la permanenza del reato sino al compimento dell’atto o quantomeno sino alla data sentenza di primo grado. Sul punto si osserva che la permanenza indicata dal Desideri sino alla cessazione della carica di sindaco va ben oltre la data della sentenza di primo grado.
3.3. Si osserva ancora che, quand’anche si seguisse l’impostazione del ricorrente, individuando distinte omissioni in relazione alle varie segnalazioni rivolte al sindaco, occorrerebbe sempre ancorare il rifiuto dell’atto da compiere senza ritardo, al presupposto di una situazione di urgenza oggettiva, che si è già detto è stata ritenuta dubbia, specie a fronte della risalenza dell’ordinanza e della mancanza di successive verifiche di conferma.
Risulta, quindi, correttamente ritenuto maturato il termine di prescrizione in data precedente alla sentenza di primo grado e la conseguente revoca delle statuizioni civili.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, equitativamente determinata in tremila euro.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, 24 gennaio 2025
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