Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 46221 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 46221 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da GLYPH 195.4 COGNOME NOME NOMECOGNOME nato a Milazzo il 25/02/21151avverso la sentenza del 14/03/2024della Corte di appello di Palermo; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Palermo ha confermato la assoluzione, per la particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen., decisa dal Tribunale di Palermo dal reato ex art. 328 cod. pen. ascritto a NOME COGNOME per avere, quale responsabile della competente area del Comune di Terrasini, omesso di consentire all’ingegnere NOME COGNOME nominato perito di curatela fallimentare, il richiesto accesso a atti, nonostante le diffide a adempiere rinvoltagli, come descritto nel capo di imputazione.
Ha anche confermato la condanna di Carano al risarcimento del danno e alal rifusione delle spese processuali nei confronti del Comune di Terrasini, costituitosi parte civile.
Nel ricorso presentato dal difensore di Carano si chiede l’annullamento della sentenza e il proscioglimento del ricorrente con la formula «il fatto non sussiste» o «il fatto non costituisce reato».
Si argomenta che nella sentenza è stato precisato che i solleciti evasi tardivamente dall’imputato sono solo due (non cinque, come indicato nella imputazione) e che egli provvide tempestivamente non appena rientrato dalla sospensione dal servizio (peraltro dichiarata illegittima con sentenza definitiva).
Si aggiunge che Carano, verificata l’esistenza (confermata dagli stessi testimoni incaricati dal Pubblico ministero) dei dati catastali presso il Comune, neanche disponeva degli strumenti per collegarsi telematicamente al catasto, mentre l’ingegner COGNOME ben poteva secondo legge, sicché non aveva interesse a chiedere al Comune l’accesso gli atti.
Si osserva, per altro verso, che il danno non patrimoniale, riconosciuto al Comune, può essere risarcito solo nei casi predeterminati dalla legge; che Carano non ha percepito illecitamente alcunché e il Comune non ha provato la sussistenza del danno come, invece, richiesto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso reitera, peraltro in termini generici, argomentazioni già vagliate dalla Corte di appello senza incorrere in manifeste illogicità.
La Corte ha considerato che soltanto due delle istanze inevase hanno riguardato il periodo in cui il ricorrente aveva la responsabilità di rispondere (le altre erano precedenti al suo insediamento nell’ufficio), ma che egli, nonostante le rituali diffide a adempiere, pur essendosi attivato per fornire le informazioni richieste (incaricando a questo scopo i suoi sottoposti) non ha risposto, nei termini di legge, neanche con una missiva interlocutoria, prima della sua sospensione dal servizio.
Circa l’interesse dell’ ingegner COGNOME ha osservato che l’inesistenza presso gli uffici comunali degli atti richiesti risultò all’esito delle ricerche effettuate, sicc comunque Carano avrebbe dovuto fornire una risposta tempestiva, seppure interlocutoria, a COGNOME.
Circa il risarcimento del danno, derivante da delitto contro la pubblica amministrazione, liquidato equitativamente, la Corte ha correttamente osservato che esso concerne il danno all’immagine dell’ente pubblico e che è previsto dal combinato disposto degli artt. 17, comma 30-ter d.l. n. 78 del 2009 e 7 legge 27 marzo 2001 n. 97. Al riguardo, ha correttamente escluso che il clamor fori costituisca un elemento essenziale del danno, ravvisandovi, invece, un elemento accessorio aggravante ai fini della sua liquidazione, rilevando, per altro verso, che tale liquidazione non esclude la responsabilità contabile del pubblico amministratore.
Pertanto, il ricorso risulta inammissibile e dalla dichiarazione della inammissibilità deriva ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma alla cassa delle ammende che si stima equo determinare in euro 3000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 22/10/2024