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Rifiuto atti d’ufficio: condanna al risarcimento

Un responsabile comunale, assolto per particolare tenuità del fatto dal reato di rifiuto atti d’ufficio (art. 328 c.p.), ha visto confermato dalla Cassazione l’obbligo di risarcire il danno d’immagine al Comune. L’omessa risposta a una richiesta di accesso agli atti, anche se poi rivelatisi inesistenti, integra comunque un illecito civile che lede il prestigio della Pubblica Amministrazione. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rifiuto atti d’ufficio: Anche l’assoluzione per tenuità non salva dal risarcimento

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 46221/2024, ha stabilito un principio fondamentale che distingue la responsabilità penale da quella civile per i pubblici funzionari. Anche quando un’omissione viene considerata penalmente non punibile per la sua ‘particolare tenuità’, essa può comunque generare un obbligo di risarcimento per il danno causato all’ente pubblico. Questo caso, riguardante un rifiuto atti d’ufficio, dimostra come il silenzio della Pubblica Amministrazione abbia un costo, sia in termini di immagine che economici per il funzionario responsabile.

I Fatti del Caso

Un responsabile dell’area competente di un Comune si trovava accusato del reato previsto dall’art. 328 del codice penale. L’accusa era di aver omesso di consentire l’accesso a documenti richiesti da un ingegnere, nominato perito nell’ambito di una curatela fallimentare. Nonostante le diffide, il funzionario non aveva fornito alcuna risposta.

Nei primi due gradi di giudizio, il funzionario era stato assolto penalmente per la ‘particolare tenuità del fatto’ ai sensi dell’art. 131-bis c.p. Tuttavia, la Corte d’Appello aveva confermato la sua condanna al risarcimento del danno nei confronti del Comune, costituitosi parte civile, e al pagamento delle spese processuali. Il funzionario ha quindi proposto ricorso in Cassazione, chiedendo un’assoluzione piena e contestando la sussistenza del danno.

La Decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando di fatto la decisione della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno ritenuto che le argomentazioni del ricorrente fossero generiche e già correttamente valutate nei gradi precedenti. La sentenza impugnata, secondo la Cassazione, non presentava vizi logici o giuridici, consolidando così l’obbligo risarcitorio a carico del funzionario.

Le Motivazioni della Corte sul Rifiuto Atti d’Ufficio

La Corte ha chiarito un punto cruciale del dovere del pubblico ufficiale. Indipendentemente dal fatto che i documenti richiesti fossero effettivamente presenti o meno negli archivi comunali, il funzionario aveva l’obbligo di rispondere. La legge impone di fornire una risposta tempestiva, anche se solo per comunicare l’avvio di una ricerca o l’inesistenza degli atti. Il silenzio totale costituisce una violazione dei doveri d’ufficio.

La difesa del ricorrente, basata sul fatto che l’ingegnere avrebbe potuto ottenere le informazioni altrove (ad esempio, direttamente dal Catasto), è stata respinta. La Cassazione ha sottolineato che l’esistenza di canali alternativi non elimina l’obbligo della Pubblica Amministrazione di rispondere a una richiesta formale. L’inerzia, in questo contesto, configura un illecito che va oltre la mera questione penale e si traduce in una responsabilità civile per il danno arrecato.

Il Danno all’Immagine e la Responsabilità Civile

Un aspetto centrale della sentenza riguarda la liquidazione del danno all’immagine dell’ente pubblico. La Corte ha confermato che questo tipo di danno è previsto dalla normativa per i reati contro la Pubblica Amministrazione. Il comportamento omissivo del funzionario ha leso il prestigio e l’affidabilità del Comune, generando un danno non patrimoniale risarcibile.

È stato inoltre precisato che il clamor fori, ovvero la risonanza mediatica del caso, non è un requisito indispensabile per riconoscere il danno all’immagine, ma piuttosto un elemento che può aggravarne l’entità in sede di liquidazione. La condotta illecita del pubblico ufficiale è di per sé sufficiente a ledere l’immagine dell’ente che rappresenta.

Le Conclusioni

La sentenza n. 46221/2024 della Cassazione invia un messaggio chiaro ai funzionari pubblici: la responsabilità non si esaurisce sul piano penale. Anche un’omissione giudicata di ‘particolare tenuità’ può comportare significative conseguenze economiche. L’obbligo di rispondere alle istanze dei cittadini e dei professionisti è un dovere inderogabile che, se violato, non solo integra il reato di rifiuto atti d’ufficio, ma fa sorgere anche una responsabilità civile per il danno causato alla credibilità e all’immagine della Pubblica Amministrazione.

È possibile essere condannati al risarcimento del danno anche se si viene assolti per particolare tenuità del fatto?
Sì. La sentenza chiarisce che l’assoluzione penale per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) non esclude la responsabilità civile. Il fatto, pur non essendo penalmente punibile, costituisce comunque un illecito che obbliga l’autore a risarcire i danni cagionati, come il danno all’immagine dell’ente pubblico.

Un pubblico ufficiale deve rispondere a una richiesta di accesso agli atti anche se i documenti richiesti non esistono presso il suo ufficio?
Sì. La Corte di Cassazione ha affermato che il pubblico ufficiale ha il dovere di fornire una risposta tempestiva, anche se solo interlocutoria o per comunicare l’inesistenza degli atti richiesti. L’omissione totale di una risposta costituisce una violazione dei doveri d’ufficio.

Perché il Comune ha diritto al risarcimento del danno in un caso di rifiuto atti d’ufficio?
Il Comune ha diritto al risarcimento perché il comportamento omissivo del proprio funzionario lede l’immagine, il prestigio e l’affidabilità dell’ente pubblico. Questo danno non patrimoniale, previsto dalla legge per i reati contro la pubblica amministrazione, deriva direttamente dalla condotta illecita del dipendente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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