Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 22015 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 22015 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 15/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a TORRE ANNUNZIATA il 09/11/1976
avverso la sentenza del 27/10/2023 del TRIBUNALE di Mantova udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria della Procura generale, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; letta la memoria depositata dal difensore dell’imputato.
RILEVATO IN FATTO
La Corte di appello di Brescia, con la sentenza indicata in epigrafe, ha dichiarato inammissibile, perché proposto avverso sentenza non appellabile, l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza con la quale, il 27 ottobre 2023, il Tribunale di Mantova lo aveva dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 186, comma 7, d. Igs. 30 aprile 1992, n. 285, commesso in Suzzara (MN) il 1° agosto 2019, condannandolo alla pena di mesi sette di arresto ed euro 2000 di ammenda, sostituita con la pena dei lavori di pubblica utilità da svolgersi presso l’Ente Azienda Speciale Consortile Socialis, per complessive ore 420.
La Corte territoriale, avendo COGNOME la difesa COGNOME esplicitamente qualificato l’impugnazione quale appello, ha ritenuto che questo fosse il mezzo di impugnazione effettivamente voluto e propriamente denominato, da ciò la sanzione dell’inammissibilità. È stata comunque disposta la trasmissione degli atti alla Corte di cassazione, per l’ipotesi in cui tale interpretazione non fosse condivisa.
Con un secondo motivo, il ricorrente aveva denunciato la violazione dell’art. 186, comma 7, cod. strada, in relazione alla insussistenza del fatto contestato, considerando la concreta situazione verificatasi. Secondo la difesa, lo stato di confusione determinato dall’intervento cumulativo di più pattuglie con armi in punto, nonostante la reazione remissiva del Battaglia, aveva ingenerato confusione circa gli scopi perseguiti dalla Polizia, per cui l’imputato non era stato consapevole dell’avvertimento del diritto all’assistenza del difensore, con ciò difettando il presupposto necessario della procedura, che prende avvio con la richiesta di sottoporsi al test strumentale ovvero alle analisi cliniche,
indipendentemente dall’esito della stessa. La polizia giudiziaria, si assume, è tenuta ad avvertire la persona sottoposta alle indagini che ha facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia nel procedere al compimento dell’accertamento, quindi prima di procedervi.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione.
Il difensore dell’imputato, con memoria tempestivamente depositata, ha insistito per la declaratoria di ammissibilità dell’appello e, in ogni caso, pe l’annullamento della sentenza di primo grado.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte d’appello, con la singolare tecnica motivazionale adottata, pur affermando di ritenere maggiormente convincente la tesi della non convertibilità dell’appello proposto in ricorso per cassazione, ha disposto in tale ultimo senso.
Tale opzione, è condivisibile e corretta.
Nella giurisprudenza di legittimità, si è affermato che, in tema di impugnazioni, allorché un provvedimento giurisdizionale sia impugnato dalla parte interessata con un mezzo di gravame diverso da quello legislativamente prescritto, il giudice adito, prescindendo da qualunque analisi valutativa in ordine all’indicazione della parte, deve limitarsi, a norma dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., a verificare l’oggettiva impugnabilità del provvedimento, nonché l’esistenza di una gt/oluntas impugnationis, consistente nell’intento di sottoporre l’atto impugnato a sindacato giurisdizionale e, quindi, a trasmettere gli atti, non necessariamente previa adozione di un atto giurisdizionale, al giudice competente (Sez. 5, n. 42578 del 27/09/2024, Prencipe, Rv. 287234 – 02).
Secondo altro orientamento, (Sez. 4, n. 1441 del 21/11/2023 (dep. 2024), COGNOME, Rv. 285634 – 01) è inammissibile l’impugnazione proposta con un mezzo di gravame diverso da quello prescritto, nel caso in cui dall’esame dell’atto emerga che la parte abbia intenzionalmente interposto il mezzo di gravame non consentito dalla legge.
Nella presente fattispecie, a prescindere dall’adesione all’uno o all’altro degli indicati orientamenti, non vi sono ragioni per ritenere che il ricorrente abbia intenzionalmente proposto una impugnazione legislativamente non prevista; ciò si evince dal tenore dell’atto di impugnazione, come indica il contenuto dei motivi, che solo in parte lambiscono il merito, essendo sostanzialmente dipendenti dalla esatta ricostruzione in diritto degli elementi costitutivi della fattispe incriminatrice.
Ciò premesso, effettivamente la sentenza di primo grado non è soggetta , ad appello, e, quindi la stessa va impugnata con ricorso ordinario in cassazione, ai sensi dell’art. 606 cod.proc.pen., in quanto si tratta di sentenza esplicitamente dichiarata inappellabile.
I più recenti interventi legislativi hanno senza dubbio ampliato il novero dei casi di inappellabilità delle sentenze. In particolare, la sostituzione del comma 3 dell’art. 593 cod.proc.pen. ad opera dell’art. 34, comma 1, lett. a), del d. Igs. n. 150/2022, in attuazione della delega contenuta nell’art. 1, comma 13, lett. c) ed e) della legge n. 134/2021, ha comportato l’attuale formulazione del comma 3 dell’art. 593 cod.proc.pen., secondo cui: «sono in ogni caso inappellabili le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda o la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, nonché le sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa».
A differenza del testo precedente, frutto, da ultimo, della modifica apportata dall’art. 2, comma 1, lett. a) e b) del d. Igs. n. 11/2018 (limitata all’aggiunta del parole “in ogni caso” e del periodo “e le sentenze di proscioglimento relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda o con pena alternativa”), in attuazione della delega contenuta nell’art. 1 comma 84 lett. I) della legge n. 103/2017, il testo attuale aggiunge alle sentenze inappellabili quelle di condanna alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, nonché precisa che le sentenze di proscioglimento sono inappellabili quando risultano relative non più soltanto alle contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda o con pena alternativa, ma ai reati (quindi, anche ai delitti) puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa.
Questa Sezione ha già ritenuto ammissibile il ricorso proposto avverso sentenza di primo grado applicativa del lavoro di pubblica utilità in sostituzione
della pena detentiva , (il riferimento è a Sez. 4, n. 42455 del 11/10/2023, Njie, n.nn., in cui la Corte ha ritenuto il ricorso ritualmente proposto ai sensi dell’ar 606, comma 2, cod. proc. pen. perché le sentenze che applicano la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità sono inappellabili ai sensi dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen.). Tale conclusione è da condividersi, stante il tenore letterale della norma in esame, interessata dai recenti interventi legislativi.
6. In questa sede, peraltro, non rileva la questione affrontata, con esiti invero non univoci, sulla inappellabilità anche delle sentenze di condanna per le quali la pena pecuniaria sia stata applicata in sostituzione di pena detentiva, versandosi nella diversa ipotesi di espressa previsione legislativa. Sicché, appare del tutto eccentrico il richiamo operato dal difensore nominato d’ufficio alla giurisprudenza formatasi sul punto specifico, inerente al diverso caso dell’appellabilità delle sentenze di condanna a pena congiunta, con conversione di quella detentiva in pena pecuniaria.
7. Entrando nel merito dell’impugnazione, va poi rilevato che il reato contestato non è prescritto. A causa della successione di diverse leggi in materia di prescrizione (I. 23 giugno 2017, n. 103, I. 9 gennaio 2019, n. 3 e I. 27 settembre 2021, n. 134), si è posto un complesso problema di diritto intertemporale, tale da generare anche un contrasto giurisprudenziale rispetto alla normativa applicabile con riferimento ai reati commessi nel periodo compreso tra il 3 agosto 2017, data di entrata in vigore della I. n. 103 del 2017, e il 31 dicembre 2019, quale è quello oggetto di esame. Detto contrasto è stato risolto dalle Sezioni Unite, che hanno stabilito il seguente principio di diritto: «per i reati commessi dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre 2019 si applica la disciplina di cui alla legge n. 103 del 2017. Per i reati commessi a partire dal 10 gennaio 2020 trova applicazione la disciplina di cui alla legge n. 134 del 2021» (Informazione provvisoria n. 19/2024 diramata dalla Suprema Corte, all’esito dell’udienza del 12 dicembre 2024).
8. I motivi di ricorso sono manifestamente infondati.
La difesa afferma che il giudice di merito avrebbe dovuto rilevare la nullità della procedura, alla luce di alcune pronunce della Corte di legittimità che avevano ritenuto applicabile la disposizione di cui all’art. 114 disp. att. cod. proc. pen. anche nell’ipotesi di reato concretata dal rifiuto opposto all’accertamento dello stato di
alterazione da assunzione di sostanze alcoliche, in quanto l’avviso deve precedere l’avvio del procedimento di accertamento.
9. In contrario, va dato atto che la più recente giurisprudenza della Corte di legittimità ha ripetutamente negato la sussistenza dell’obbligo di dare avviso al
conducente della facoltà di farsi assistere da un difensore ai sensi dell’art. 114
disp. att. cod. proc. pen. in caso di rifiuto di sottoporsi all’accertamento, in quanto la presenza del difensore è considerata funzionale a garantire che l’attuazione di
un accertamento tecnico, in quanto non ripetibile, sia condotta nel rispetto dei diritti della persona sottoposta alle indagini (Sez. 4, n.16816 del 14/01/2021,
COGNOME Rv. 281072 – 01; Sez. 4, n. 34355 del 25/11/2020, COGNOME, Rv. 279920 –
01; Sez. 4, n. 29939 del 23/09/2020, COGNOME, Rv. 280028 – 01). In conformità
candtale orientamento, deve ritenersi che la tesi sostenuta in ricorso poggi su erronei presupposti in diritto.
10. Il ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza della Corte Cost. n.186 del 2000 e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria d’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così è deciso, 15/05/2025