Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 19451 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 19451 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 14/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME nata a ALBANELLA il 06/11/1974
avverso l’ordinanza del 17/02/2025 del TRIBUNALE di Salerno udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME
udito il P.G., NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 17 febbraio 2025, depositata il 3 marzo 2025, il Tribunale del riesame di Salerno ha confermato l’ordinanza cautelare di applicazione degli arresti domiciliari nei confronti di NOME COGNOME emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Salerno in relazione ai reati di cui agli artt. 12, comma 1, e 12, comma 5, d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286, commessi in Salerno da ottobre 2020 a marzo 2022.
In particolare, secondo la ricostruzione del g.i.p., confermata dal Tribunale del riesame, l’indagata avrebbe commesso atti idonei a promuovere l’ingresso nel territorio dello Stato di 72 cittadini extracomunitari ed altri diretti a favorire la permanenza nel territorio di altri 2 di essi mediante inoltro di istanze finalizzate alla costituzione di un rapporto di lavoro dipendente fittizio supportato da produzioni documentali altrettanto fittizie su fatturato e terreni in disponibilità delle aziende di cui era titolare. A suo carico,
secondo l’ordinanza impugnata, vi sarebbero dichiarazioni di correi, intercettazioni di conversazioni, e produzioni documentali.
Nell’ordinanza del riesame si ritiene anche che sussistano esigenze cautelari rinvenute nella presunzione di cui all’art. 275 cod. proc. pen. che assiste il titolo di reato e comunque nella esistenza di prossime occasioni di reato costituite dai periodici click day per la regolarizzazione dei rapporti di lavoro con immigrati.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso l’indagata, per il tramite del difensore, con i seguenti motivi, di seguito esposti nei limiti strettamente necessari ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Con il primo motivo deduce inosservanza della norma processuale dell’art. 309 commi 9 e 10, cod. proc. pen., in quanto il Tribunale del riesame ha depositato l’ordinanza soltanto il 3 marzo 2025, mentre non risulta depositato il relativo dispositivo; la misura è, pertanto, divenuta inefficace.
Con il secondo motivo deduce inosservanza della norma processuale degli artt. 405 e 407 cod. proc. pen. perché la responsabilità dell’imputata è stata desunta da atti che erano da ritenere inutilizzabili in quanto acquisiti una volta scaduto il termine delle indagini preliminari; il termine di durata delle indagini preliminari avrebbe dovuto farsi decorrere, infatti, dal 21 febbraio 2023, data dell’informativa conclusiva della polizia giudiziaria, e non dal 2 aprile 2024, data in cui in concreto il pubblico ministero ha iscritto il ricorrente nel registro degli indagati; è vero che al procedimento in esame non è applicabile ratione temporis l’art. 335-quater cod. proc. pen., però il Tribunale non poteva esimersi dal verificare in quale data è insorto l’obbligo per il pubblico ministero di iscrivere il ricorrente nel registro degli indagati.
Con il terzo motivo deduce violazione dell’art. 309 cod. proc. pen. in quanto il Tribunale del riesame ha illegittimamente respinto l’eccezione sulla inutilizzabilità degli interrogatori di garanzia degli altri indagati, atteso che il Tribunale può valutare soltanto gli atti presi in esame dal g.i.p. al momento di emissione della misura, e non quelli sopravvenuti.
Con il quarto motivo deduce violazione dell’art. 291 cod. proc. pen. in quanto il pubblico ministero non aveva chiesto alcuna misura nei confronti della ricorrente, soltanto dopo la richiesta di chiarimenti da parte del g.i.p. lo stesso ha precisato che la richiesta di misura riguardava anche la ricorrente, però il chiarimento non inficia l’eccezione atteso che sulla posizione della ricorrente non c’è alcuna valutazione dei gravi indizi di colpevolezza.
Con il quinto motivo deduce violazione di legge in punto di gravi indizi di colpevolezza per il reato ascritto, in quanto nessuna intercettazione riguarda la posizione della ricorrente; mai COGNOME cita la ricorrente nelle sue dichiarazioni; non sono stati trovati appunti su dazioni di denaro alla ricorrente.
Con il sesto motivo deduce violazione di legge in punto di esigenze cautelari, in quanto il Tribunale ha valorizzato a tal fine l’occasione di delitto derivante da i precaricamenti per i flussi per il click day previsto a febbraio 2025, che però è circostanza riferita in atti da un’annotazione di polizia giudiziaria successiva all’ordinanza impugnata, che quindi non avrebbe dovuto essere utilizzata per ricavare le esigenze cautelari.
3. La difesa dell’indagat a ha chiesto la discussione orale.
Con requisitoria orale il Procuratore Generale, NOME COGNOME ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Il difensore della ricorrente, avv. NOME COGNOME ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Dalla lettura degli atti, cui la Corte può accedere attesa la natura del vizio dedotto (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220093), emerge che il dispositivo della decisione del Tribunale del riesame è stato depositato il 17 febbraio 2025, ovvero lo stesso giorno dell’udienza camerale, come da attestazione del cancellier e posta in calce al provvedimento. Il 3 marzo, come riferisce lo stesso ricorso, è stata depositata anche la motivazione dell’ordinanza.
Ne consegue che sono stati rispettati sia il termine di 10 giorni di cui all’art. 309, comma 9, cod. proc. pen., che quello di 30 giorni di cui al decimo comma della medesima norma.
2. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
Nel sistema antecedente l’entrata in vigore del l’art. 335-quater cod. proc. pen. ancora applicabile al procedimento in esame, in quanto regolato dalla norma transitoria dell’art. 88-bis, comma 1, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 – la giurisprudenza di legittimità era giunta alla conclusione che ‘i l termine di durata delle indagini preliminari decorre dalla data in cui il pubblico ministero ha iscritto, nel registro delle notizie di reato, il nome della persona cui il reato è attribuito, senza che al g.i.p. sia consentito stabilire una diversa decorrenza, sicché gli eventuali ritardi indebiti nella iscrizione, tanto della notizia di reato che del nome della persona cui il reato è attribuito, pur se abnormi, sono privi di conseguenze agli effetti di quanto previsto dall’art. 407, comma terzo, cod. proc. pen., fermi restando gli eventuali profili di responsabilità disciplinare o penale del magistrato del P.M. che abbia ritardato l’iscrizione. ‘ (Sez. U, n. 40538 del 24/09/2009, COGNOME, Rv.
244376 -01; conforme, più di recente, Sez. 6, n. 4844 del 14/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275046 – 01).
La fattispecie della sentenza COGNOME era relativa proprio, come nel caso oggetto di questo giudizio, ad una ordinanza di misura coercitiva sottoposta a riesame.
Il ricorso mostra di essere consapevole dell’orientamento di legittimità e della corrispondenza ad esso della decisione del Tribunale del riesame, ma deduce che il Tribunale non poteva esimersi dal verificare in quale data è insorto l’obbligo per il pubblico ministero di iscrivere la ricorrente nel registro degli indagati, che, però, è una critica all’ordinanza impugnata che non evidenzia alcuna violazione di legge né alcun vizio logico della motivazione del provvedimento impugnato.
La deduzione secondo cui le dichiarazioni di COGNOME sono state acquisite a termini di indagini scaduti poggia, pertanto, su un presupposto in fatto errato ed autoriferito, atteso che ai fini della durata delle indagini preliminari deve tenersi conto della data del 2 aprile 2024 in cu i è avvenuta l’iscrizione del la ricorrente nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen.
Sebbene le superiori considerazioni siano assorbenti, va aggiunto che esattamente il Tribunale ha anche ricordato che gli elementi di prova acquisiti dal pubblico ministero dopo la scadenza dei termini delle indagini preliminari possono essere utilizzati ai fini cautelari solo se acquisiti “aliunde” nel corso di indagini estranee ai fatti oggetto del procedimento i cui termini siano scaduti, ovvero se provenienti da altri procedimenti relativi a fatti di reato oggettivamente e soggettivamente diversi, essendo comunque necessario che tali risultanze non siano il risultato di indagini finalizzate alla verifica e all’approfondimento degli elementi emersi nel corso del procedimento penale i cui termini sono scaduti (Sez. 5, n. 44147 del 13/06/2018, S., Rv. 274118 – 01).
Il terzo motivo, che deduce l’inutilizzabilità degli interrogatori di garanzia dei coimputati da cui sono stati tratti elementi di prova a carico della ricorrente, è infondato.
Il ricorso parte da un presupposto non corretto in diritto, ovvero che vi debba essere esatta corrispondenza tra gli elementi di prova valutati nell’ordinanza genetica e gli elementi di prova valutati nell’ordinanza emessa ex art. 309 cod. proc. pen.
In realtà, è ormai orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, che ‘a l Tribunale di cui all’art. 309 comma7 cod. proc. pen. è attribuito in via esclusiva il controllo sulla validità dell’ordinanza cautelare, con riguardo ai requisiti formali enumerati nell’art. 292 stesso codice, la cui carenza può essere dedotta solo con l’istanza di riesame. Inoltre, lo stesso Tribunale deve verificare, alla stregua degli artt. 273, 274, 275 e 280 cod. proc. pen. la legittimità dell’adozione della misura cautelare, avendo anzitutto riguardo alla situazione processuale coeva al provvedimento impugnato, senza, tuttavia, omettere di valutare anche gli elementi sopravvenuti, eventualmente a seguito dell’interrogatorio, purché dedotti nell’udienza camerale da celebrarsi nel termine
perentorio di dieci giorni dalla ricezione degli atti ‘ (Sez. U, n. 11 del 08/07/1994, COGNOME, Rv. 198212 -01; conforme Sez. 1, n. 4007 del 03/07/1995, COGNOME Rv. 202426 – 01) ‘.
Il principio di diritto della pronuncia COGNOME sull’obbligo di valutazione anche degli elementi sopravvenuti, purché dedotti nel contrad dittorio dell’udienza camerale, che trova un solido fondamento nell’art. 309, comma 9, cod. proc. pen., nella parte in cui afferma che il ‘T ribunale, se non deve dichiarare l’inammissibilità della richiesta, annulla, riforma o conferma l’ordinanza oggetto del riesame decidendo anche sulla base degli elementi addotti dalle parti nel corso dell’udienza ‘, è stato riproposto anche più di recente dalla giurisprudenza di legittimità, che ha precisato espressamente che ‘l ‘ambito conoscitivo del giudice del riesame è circoscritto alla valutazione delle acquisizioni coeve all’emissione dell’ordinanza coercitiva, delle sopravvenienze favorevoli all’indagato (art. 309, comma quinto, cod. proc. pen.) e degli ulteriori elementi “addotti dalle parti nel corso dell’udienza” (art. 309, comma 9, cod. proc. pen.), anche se non presentati al giudice che emise la misura (…)’ (Sez. 1, n. 34616 del 13/07/2007, COGNOME, Rv. 237764 – 01).
Non vi era, quindi, un ostacolo normativo ad utilizzare nella motivazione dell’ordinanza impugnata i verbali degli interrogatori di garanzia dei coindagati, ed il motivo di ricorso sul punto è, pertanto, infondato.
4. Il quarto motivo è inammissibile.
La lettura del motivo di ricorso non consente di comprendere a quale atto processuale faccia riferimento il ricorso quando scrive che alla posizione della ricorrente non è dedicato alcun approfondimento.
Se il motivo di ricorso si riferisce alla richiesta di misura cautelare, come sembra di capire, non è spiegato, peraltro, in che modo tale mancata valutazione incida sull’ordinanza impugnata, che, invece, contiene la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza riferiti alla posizione della ricorrente (che è attaccata con separato motivo di ricorso).
D’altra parte, a fronte del chiarimento del P.m., quanto all’errore materiale consistito nella mancata riproduzione del nominativo, ogni dubbio sull’esistenza di una richiesta cautelare è da ritenersi superato.
Il motivo è, pertanto, inammissibile per genericità e per mancanza di pertinenza con la motivazione dell’ordinanza impugnata.
Il quinto motivo, che deduce l’inesistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico della ricorrente, è infondato.
Il ricorso deduce che nessuna intercettazione riguarda la posizione della ricorrente, neanche la intercettazione n. 3672 del 1° febbraio 2022, deduce che non vi sono affermazioni eteroaccusatorie di COGNOME nei suoi confronti, che le presunte dazioni di
denaro desunte dall’agenda sequestrata non riguardano lei, deduce, da ultimo, che la ricorrente non è mai nominata da COGNOME, non è mai nominata da Monti.
Il motivo è infondato. A carico della ricorrente vi è nella struttura dell’ordinanza impugnata un corredo di prove documentali ed intercettive, che sono state poi legate dalle dichiarazioni rese dal coindagato COGNOME nell’interrogatorio di garanzia e dai documenti sequestrati nel corso delle perquisizioni eseguite insieme alle misure cautelari.
In questo contesto la circostanza che Trippa non sia citata nella conversazione n. 3672 è del tutto inconferente, perché nell’impianto dell’ordinanza impugnata la conversazione in questione è menzionata soltanto perché in essa si comprende la metodologia di lavoro di COGNOME e la sua ricerca di persone che dispongano di terreni che possano creare una apparenza di maggior consistenza delle aziende datrici di lavoro tale da giustificare le richieste di manodopera aggiuntiva, ovvero esattamente ciò che nella contestazione costituisce il contributo causale fornito dai coniugi COGNOME e COGNOME al gruppo di persone accusato di aver perpetrato i reati oggetto della indagine.
Allo stesso modo è irrilevante che COGNOME non sia citata dai coindagati COGNOME o COGNOME atteso che la stessa non doveva necessariamente aver contatti con tutta la rete delle persone coinvolte nella indagine.
Nei limiti della valutazione cautelare non è decisivo neanche che COGNOME non sia citata neanche da COGNOME; nella struttura dell’ordinanza impugnata, infatti, i contatti con COGNOME li tengono il marito della ricorrente ed il cognato della stessa, ma tra le aziende, il cui nome viene speso per presentare le domande di assunzione fittizia, ve ne sono anche di titolarità della ricorrente.
N on essendo in questione né l’identificazione corretta dell’indagat a né il suo contributo causale, che è documentale, la motivazione dell’ordinanza impugnata non può essere attaccata sotto il profilo della manifesta illogicità della motivazione, mentre spetterà al giudizio di merito verificare la consapevolezza soggettiva della ricorrente circa la sua partecipazione alle attività fraudolente e la spendita del nome da parte del marito nella presentazione delle domande.
La pronuncia cautelare, infatti, non è fondata su prove, ma su indizi, ed è tendente all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza, per cui il giudizio di legittimità deve limitarsi a verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che lo hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, senza possibilità di rilettura degli elementi probatori (Sez. U. n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828).
Il motivo è, pertanto, infondato.
6. Il sesto motivo è infondato.
In esso si ripropone la questione della inutilizzabilità degli atti sopravvenuti, stavolta con riferimento alle esigenze cautelari.
Il motivo è infondato per le stesse ragioni già indicate al punto 3 di questa sentenza, cui si fa rinvio.
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso, 14/05/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
CARMINE RUSSO