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Rientro illegale straniero: nuova condanna legittima

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un cittadino straniero condannato per essere rientrato in Italia dopo un’espulsione. La Corte ha stabilito che il rientro illegale straniero, anche se successivo a un’espulsione disposta come misura alternativa alla detenzione, costituisce un reato autonomo e non comporta solo il ripristino della pena precedente. Inoltre, ha chiarito che nel procedimento di patteggiamento non sussiste l’obbligo per il giudice di informare l’imputato sulla possibilità di accedere a pene sostitutive.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rientro Illegale Straniero: la Cassazione Conferma la Nuova Condanna

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7417 del 2025, ha affrontato un importante caso di rientro illegale straniero, stabilendo principi chiari sulla configurabilità del reato e sulle garanzie procedurali nel contesto del patteggiamento. La decisione chiarisce che il ritorno non autorizzato in Italia dopo un’espulsione, anche quando questa sia stata disposta come misura alternativa alla detenzione, integra un nuovo e autonomo delitto, e non una semplice violazione che comporta solo il ripristino della pena originaria. Analizziamo nel dettaglio la vicenda e le motivazioni della Corte.

I Fatti del Caso: Un Appello contro il Patteggiamento

Il caso nasce dal ricorso di un cittadino straniero condannato tramite patteggiamento dal Tribunale di Brescia per i reati di reingresso illegale nel territorio dello Stato e false dichiarazioni a un pubblico ufficiale. L’imputato aveva impugnato la sentenza lamentando due vizi principali:

1. Erronea applicazione della legge penale: Secondo la difesa, il suo rientro in Italia, avvenuto dopo un’espulsione disposta dal Tribunale di Sorveglianza come misura alternativa alla detenzione, non avrebbe dovuto configurare un nuovo reato. A suo avviso, l’unica conseguenza avrebbe dovuto essere il ripristino della pena detentiva sostituita, previa emissione di un nuovo provvedimento di espulsione.
2. Violazione di legge processuale: L’imputato lamentava la mancata informazione da parte del giudice sulla possibilità di accedere a pene sostitutive e la mancata fissazione dell’udienza prevista dall’art. 545-bis c.p.p., ritenendo lese le sue garanzie difensive.

Il Rientro Illegale Straniero è un Reato Autonomo

La Corte di Cassazione ha respinto il primo motivo di ricorso, definendolo manifestamente infondato. Richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale, i giudici hanno ribadito un principio fondamentale: il rientro illegale straniero nel territorio dello Stato, senza autorizzazione, entro dieci anni da un’espulsione disposta dal magistrato di sorveglianza come misura alternativa, costituisce il delitto previsto dall’art. 13, comma 13-bis, del d.lgs. 286/1998.

La Corte ha chiarito che non vi è alcuna duplicazione ingiustificata della sanzione. La violazione del divieto di reingresso è un fatto che offende autonomamente gli interessi tutelati dal sistema di controllo dei flussi migratori. Il ripristino della pena originaria, invece, non è una nuova sanzione, ma la semplice conseguenza del venir meno della “condizione risolutiva” a cui era subordinata la sostituzione della pena: la permanenza fuori dal territorio nazionale.

Le Garanzie sulle Pene Sostitutive nel Patteggiamento

Anche il secondo motivo è stato giudicato inammissibile. La Corte ha sottolineato che l’art. 545-bis c.p.p., che impone al giudice di avvisare le parti sulla possibilità di convertire la pena in sanzioni sostitutive, è una norma dettata esclusivamente per il giudizio ordinario.

Il procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti (patteggiamento) è un rito alternativo basato sull’accordo tra accusa e difesa. In questo contesto, come previsto dall’art. 448 c.p.p., sono le parti stesse ad avere la facoltà di concordare l’applicazione di eventuali pene sostitutive, senza che sia previsto un intervento integrativo del giudice. La natura dispositiva del rito, liberamente scelto dall’imputato, esclude l’applicabilità di garanzie pensate per il dibattimento.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha fondato la sua decisione su due pilastri argomentativi distinti. Per quanto riguarda il rientro illegale straniero, ha chiarito che la norma incriminatrice e il meccanismo di ripristino della pena operano su piani diversi e non sovrapponibili. Il primo punisce un comportamento illecito autonomo, mentre il secondo è una conseguenza automatica della violazione delle condizioni di una misura di favore. Citando precedenti specifici, la Corte ha affermato che il reingresso abusivo di chi è già stato espulso costituisce un illecito distinto, che giustifica una sanzione penale autonoma.

Sul versante processuale, la motivazione si è concentrata sulla differente logica che governa il giudizio ordinario e i riti alternativi. Il patteggiamento è un rito premiale che si fonda sulla volontà delle parti. L’obbligo informativo previsto dall’art. 545-bis c.p.p. è funzionale a un contesto, quello dibattimentale, in cui la decisione sulla pena è interamente rimessa al giudice. Nel patteggiamento, invece, l’accordo sulla pena è il cuore del procedimento, e la legge già conferisce alle parti la possibilità di includere in tale accordo anche le pene sostitutive. Imporre un avviso da parte del giudice sarebbe contrario alla natura negoziale e dispositiva del rito.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce con fermezza due principi cardine. Primo: il rientro illegale straniero dopo un’espulsione come misura alternativa alla detenzione è sempre un reato, distinto e autonomo dalla violazione che comporta il ripristino della pena detentiva originaria. Secondo: le garanzie procedurali previste per il giudizio ordinario, come l’avviso sulla possibilità di accedere a pene sostitutive, non si estendono automaticamente al rito del patteggiamento, data la sua natura consensuale. La declaratoria di inammissibilità del ricorso, con la conseguente condanna alle spese e a un’ammenda, sancisce la correttezza dell’operato del giudice di merito e conferma la solidità dell’impianto normativo e giurisprudenziale in materia.

Chi commette un rientro illegale straniero dopo un’espulsione disposta come misura alternativa alla detenzione, commette un nuovo reato?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, il rientro non autorizzato nel territorio dello Stato, in queste circostanze, configura il reato autonomo previsto dall’art. 13, comma 13-bis del d.lgs. 286/1998.

La procedura di patteggiamento prevede l’obbligo per il giudice di avvisare l’imputato sulla possibilità di pene sostitutive?
No. La Corte ha stabilito che l’obbligo informativo previsto dall’art. 545-bis c.p.p. si applica esclusivamente al giudizio ordinario e non al procedimento speciale del patteggiamento, che si basa sull’accordo tra le parti.

Cosa succede alla pena originaria quando uno straniero espulso come misura alternativa rientra illegalmente in Italia?
Oltre a essere processato per il nuovo reato di rientro illegale, viene ripristinata l’esecuzione della pena detentiva originaria che era stata sostituita con l’espulsione. Il ripristino non è una nuova sanzione, ma la conseguenza della violazione della condizione alla base della misura alternativa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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