Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 33803 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 33803 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Calarasi (Romania) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Trieste del 17.10.2023
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso; udito il difensore dell’imputato, avvocato NOME COGNOME, che si è riportato ai motivi del ricorso chiedendone l’accoglimento;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’Appello di Trieste in data 17.10.2023 ha confermato la sentenza di condanna alla pena di anni uno di reclusione per il reato di cui all’art. 20, comma 14, d.lgs. 6 febbraio 2007, n. 30 emessa in data 20.1.2021 nei confronti di NOME COGNOME dal Tribunale di Trieste, per aver fatto rientro nel territorio italiano senza autorizzazione dopo
essere stato raggiunto da un decreto di allontanamento del AVV_NOTAIO di Viterbo che gli era stato notificato in data 26.7.2016.
Avverso la predetta sentenza, il difensore dell’imputato ha proposto ricorso, articolando due motivi.
2.1 Con un primo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606 lett. b) cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione della legge penale ovvero di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nell”applicazione della legge penali, in particolare dell’art. 20 comma 14 D.Igs. n. 30 del 2007.
Lamenta che la Corte d’Appello di Trieste non abbia valutato se sussistessero effettivamente i pericoli per la sicurezza dello Stato o per la pubblica sicurezza o per l’ordine pubblico, sulla base dei quali era stato emesso dal AVV_NOTAIO di Viterbo il decreto di allontanamento dal territorio italian Evidenzia che, non a caso, un successivo decreto di allontanamento emesso nei confronti di NOME nel 2017 dallo stesso AVV_NOTAIO sia stato annullato nel 2018 dal Tribunale di Perugia e censura che i giudici di secondo grado non abbiano tenuto conto di tale provvedimento, nonostante ne avessero la disponibilità.
2.2 Con un secondo motivo, il difensore deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
I giudici di merito le hanno negate perché dopo il rientro in Italia l’imputato è stato condannato per ulteriori reati, senza tuttavia considerare, al contempo, la giovane età di NOME e le condizioni di vita disagiate che lo hanno costretto a rientrare nel territorio dello Stato per sostenere la sua famiglia, motivo per cui anche i reati successivi rappresentano “la reazione” a tali condizioni di vita. Inoltre, la Corte d’Appello di Trieste non ha considerato che le pene inflitte per i reati successivi sono state già scontate dall’imputato, con ricadute positive in ordine al suo reinserimento sociale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME è infondato per le ragioni di seguito esposte.
Quanto al primo motivo, che era stato già dedotto con l’atto di appello, la Corte d’Appello di Trieste, premettendo correttamente che la possibilità di sindacato del provvedimento amministrativo da parte del giudice penale può essere esercitata entro determinati limiti, ha affermato che, nel caso dell’art. 20 D.Lgs. n. 30 del 2007, la fattispecie penale non punisce direttamente
l’inosservanza dell’atto amministrativo, trovando anzi il suo presupposto nel fatto che il provvedimento stesso sia stato inizialmente ottemperato: quindi, la trasgressione riguarda il divieto di reingresso nel territorio italiano e non l’ordi di allontanamento. Di conseguenza, la eventuale disapplicazione – hanno sostenuto i giudici di secondo grado – comporterebbe una non consentita invalidazione a posteriori del provvedimento, che nel frattempo ha esaurito i suoi effetti con l’avvenuta espulsione.
Si tratta di motivazione condivisibile, del tutto in linea con la giurisprudenza di legittimità, secondo cui quando un atto giuridico è assunto quale dato della fattispecie penale, esso può essere sindacato dal giudice penale nei soli limiti e con gli specifici mezzi previsti dalla legge. In particolare, se si tratta di provvedimento amministrativo, esso può essere incidentalmente sindacato dal giudice penale, in quanto illegittimo, quando è la sua inosservanza a costituire reato (Sez. U, n. 19601 del 28.2.2008, COGNOME).
Nel caso di specie, invece, il decreto del AVV_NOTAIO, di cui si chiede di vagliare la legittimità, non è stato direttamente violato; anzi, il provvedimento era stato esattamente osservato con la fuoriuscita dell’imputato dal territorio nazionale.
Peraltro, deve tenersi conto che, per il combinato disposto degli artt. 20, comma 11, e 20-ter D.Lvo n. 30 del 2007, se il provvedimento di allontanamento del AVV_NOTAIO è seguito dall’ordine di esecuzione del AVV_NOTAIO, interviene la convalida del tribunale , sede della sezione specializzata in materia di immigrazione; con la conseguenza che, ove così sia stato anche nel caso di specie, sarebbe già stata esercitata nella sede a ciò deputata la verifica della sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge.
Altrimenti, ai sensi dell’art. 22 D.Lgs. n. 30 del 2007 il provvedimento del AVV_NOTAIO per motivi di sicurezza dello Stato o per motivi di ordine pubblico è comunque ricorribile in sede amministrativa, mentre quello emesso per motivi di pubblica sicurezza può essere sindacato dal giudice ordinario: evidentemente nel caso di specie l’imputato non ha proposto ricorso (cosa che invece ha sostenuto di aver fatto in occasione di un successivo provvedimento di allontanamento) o, se lo ha fatto, non ha sortito esito positivo.
Si è di fronte, dunque, a un provvedimento amministrativo che ha avuto esecuzione pur in presenza della possibilità di azionare la tutela giurisdizionale davanti ad altra autorità giudiziaria competente, sicché non può essere richiesto un successivo sindacato del giudice penale, a fortiori quando il reato non consista nell’inosservanza del provvedimento stesso.
Resta il fatto che, quand’anche sia l’inosservanza del provvedimento amministrativo a costituire reato, è in ogni caso escluso che il giudice penale possa procedere ad una rivalutazione dei presupposti di fatto assunti a base
dell’atto, come sollecita nel caso di specie il ricorrente quando fonda le proprie doglianze sulla circostanza di merito che «l’imputato non rappresentava e non rappresenta una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale dello Stato».
Quanto al secondo motivo, la Corte d’Appello di Trieste ha giustificato il diniego delle circostanze attenuanti generiche innanzitutto mediante il richiamo ai quattro precedenti specifici dell’imputato; in secondo luogo, ha destituito di fondamento l’argomento difensivo secondo cui NOME era rientrato in Italia allo scopo di ricongiungersi con i suoi familiari e di sostenerli economicamente, evidenziando che dopo la trasgressione del divieto di reingresso l’imputato è stato condannato per altri tre furti commessi tra la fine del 2017 e l’inizio de 2018.
Si tratta di una motivazione del tutto esaustiva: il riferimento ai precedenti specifici e ai reati commessi dopo il reingresso, oltre che comprovato dal certificato del casellario giudiziale, è certamente appropriato e dimostra che la Corte d’Appello di Trieste abbia fatto buon governo dei principi più volte enunciati in sede di legittimità, secondo cui, al fine di ritenere o escludere l circostanze attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed att a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento può risultare sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/7/2020, Rv. 279549 – 02).
In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/4/2017, Rv. 271269 – 01).
E, nel caso di specie, la motivazione non è contraddittoria (giacché, al contrario, dal riferimento ai precedenti specifici e alle condanne successive al fatto giudicato, né è disceso coerentemente un giudizio di non meritevolezza delle attenuanti generiche), né carente (giacché il riferimento agli elementi ritenuti rilevanti per escludere l’applicazione delle circostanze ex art. 62 -bis cod. pen. è risultato ampiamente giustificativo del diniego).
Consegue, a quanto fin qui considerato, il rigetto del ricorso proposto nell’interesse di NOME, che, pertanto, deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
7 A
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 24.5.2024