Riduzione Pena Tentativo: Quando la Decisione del Giudice è Insindacabile
L’applicazione della riduzione pena tentativo è uno dei momenti più delicati nel processo di determinazione della sanzione penale. Ma fino a che punto la decisione del giudice su ‘quanto’ ridurre la pena può essere contestata? Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione fa luce sui limiti del sindacato di legittimità, ribadendo il principio della discrezionalità del giudice di merito.
Il caso analizzato offre spunti fondamentali per comprendere come la giurisprudenza bilancia la necessità di una pena giusta con l’autonomia decisionale dei tribunali.
Il Caso: Dalla Condanna per Tentata Rapina al Ricorso in Cassazione
La vicenda processuale ha origine dalla condanna di un imputato per il reato di concorso in tentata rapina. In primo grado, il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Gela, dopo aver affermato la responsabilità penale, procedeva a determinare la pena. Successivamente, la Corte d’Appello di Caltanissetta, in parziale riforma della prima sentenza, escludeva una circostanza aggravante ma confermava la condanna per il reato principale, ricalcolando il trattamento sanzionatorio.
Nonostante la parziale riforma, la difesa dell’imputato decideva di presentare ricorso per Cassazione, non contestando la colpevolezza, ma un aspetto specifico della determinazione della pena.
L’Unico Motivo di Ricorso: La Contestazione sulla Riduzione della Pena
Il fulcro del ricorso alla Suprema Corte era un unico motivo: la violazione di legge e il vizio di motivazione riguardo alla quantificazione della riduzione pena tentativo ai sensi dell’art. 56 del codice penale. Secondo la difesa, i giudici di merito non avevano adeguatamente motivato la scelta di non applicare la massima riduzione possibile, e la Corte d’Appello aveva omesso di rispondere a questa specifica doglianza.
In sostanza, si chiedeva alla Cassazione di valutare se la diminuzione di pena operata fosse congrua rispetto alla gravità del tentativo.
La Decisione della Cassazione sulla Riduzione Pena Tentativo
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. Questa decisione conferma un orientamento giurisprudenziale consolidato, che pone dei paletti ben precisi alla possibilità di contestare in sede di legittimità la quantificazione della pena decisa dai giudici di merito.
La Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, una sanzione tipica per i ricorsi ritenuti inammissibili.
Le Motivazioni: Il Principio della Discrezionalità del Giudice di Merito
La motivazione della Suprema Corte è chiara e si fonda su un principio cardine del nostro ordinamento: la graduazione della pena rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Questo potere non è assoluto, ma deve essere esercitato in aderenza ai principi generali stabiliti dagli articoli 132 e 133 del codice penale, che impongono al giudice di tenere conto della gravità del reato e della capacità a delinquere del colpevole.
Secondo la Cassazione, un ricorso che mira semplicemente a ottenere una nuova valutazione della congruità della pena, senza dimostrare che la decisione del giudice sia frutto di arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico, non può essere accolto. Nel caso specifico, la Corte ha rilevato che il giudice d’appello aveva, in realtà, assolto al proprio onere motivazionale. Nella sentenza impugnata era stato specificato che la riduzione operata a titolo di tentativo era stata significativa, superiore a un terzo e quasi prossima alla metà, dimostrando quindi una valutazione ponderata e non arbitraria.
Conclusioni: Limiti al Sindacato di Legittimità sulla Pena
L’ordinanza in esame ribadisce un insegnamento fondamentale: il giudizio di Cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. Non è compito della Suprema Corte sostituire la propria valutazione a quella del giudice che ha esaminato direttamente i fatti e le prove. La quantificazione della pena, inclusa la riduzione pena tentativo, è un’operazione che per sua natura implica una valutazione discrezionale. Tale valutazione può essere censurata solo quando la motivazione è assente, manifestamente illogica o contraddittoria. In tutti gli altri casi, la decisione del giudice di merito sulla misura della pena è e rimane insindacabile in sede di legittimità.
È possibile contestare in Cassazione la quantità di pena ridotta per un reato tentato?
No, non è possibile ottenere una nuova valutazione nel merito della congruità della pena. La censura è ammessa solo se la decisione del giudice di merito risulta arbitraria, palesemente illogica o priva di motivazione, ma non per una semplice richiesta di una riduzione maggiore.
Qual è il potere del giudice nel decidere la riduzione della pena?
Il giudice ha un potere discrezionale nella graduazione del trattamento sanzionatorio. Questo potere deve essere esercitato seguendo i criteri generali indicati negli artt. 132 e 133 del codice penale (gravità del reato, capacità a delinquere, ecc.).
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in denaro, stabilita dal giudice, in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18788 Anno 2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Data Udienza: 06/05/2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18788 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Composta da
– Presidente –
NOME
CC – 06/05/2025
R.G.N. 4150/2025
NOME COGNOME
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Gela il 03/04/1996
avverso la sentenza del 11/09/2024 della Corte d’appello di Caltanissetta
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME
Rilevato che con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Caltanissetta, in parziale riforma della sentenza in data 14 novembre 2023 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Gela, per la parte che in questa sede interessa, previa esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 71 del d.lgs. n. 159/2011, ha confermato l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato in relazione al reato di concorso in tentata rapina (artt. 110, 56, 628 cod. pen.) procedendo alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio.
Rilevato che la difesa dell’imputato ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte territoriale deducendo con motivo unico violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alla mancata risposta al motivo di gravame nel quale si contestava la scelta operata dal Giudice di primo grado in punto di riduzione della pena in applicazione dell’art. 56 cod. pen.
considerato che l’unico motivo di ricorso, con cui si contesta vizio di motivazione in ordine all’omessa applicazione della massima riduzione ex art. 56 cod. pen. della pena per il concorso nella tentata rapina ascritto all’odierno ricorrente, risulta manifestamente infondato, perchØ, secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza, la graduazione del trattamento sanzionatorio, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, che lo esercita, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., cosicchØ nel giudizio di cassazione Ł comunque non deducibile la censura che
miri ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione, non sia frutto di arbitrio o di ragionamento illogico;
che nel caso di specie l’onere argomentativo del giudice in relazione al giudizio sulla pena risulta adeguatamente assolto (si veda pag. 4 della impugnata sentenza, ove si Ł indicata una riduzione a titolo di tentativo della pena base in misura superiore ad un terzo e quasi prossima alla metà);
Rilevato , pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 06/05/2025.
Il Presidente NOME COGNOME