Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 30447 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 30447 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PALERMO il 19/04/1975
avverso l’ordinanza del 10/02/2025 del GIP TRIBUNALE di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa dal G.u.p. del Tribunale di Palermo il 24 aprile 2024, irrevocabile il 4 dicembre 2024, NOME COGNOME veniva condannato, con rito abbreviato, tenuto conto del limite di cui agli artt. 71 e 78 cod. pen., alla pena di 20 anni di reclusione per i reati ascrittigli ai capi 1) e 22) della rubrica, pre riconoscimento della continuazione tra i predetti reati sub 1) e 22) e quelli giudicati con sentenza emessa dalla Corte di appello di Palermo 1’8 aprile 2011, irrevocabile il 27 settembre 2012.
Con ordinanza pronunciata in data 11 dicembre 2024, il giudice dell’esecuzione, preso atto della mancata impugnazione della sentenza prima indicata, divenuta definitiva il 4 dicembre 2024, rideterminava, ai sensi dell’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen., la pena inflitta al SEIDITA in 17 anni e 8 mesi di reclusione, applicando l’ulteriore riduzione di 1/6 solo sulla frazione di pena concernente i due reati per i quali vigeva l’istituto premiale in caso di mancata impugnazione (capi 1 e 22): siccome per tali reati era stata inflitta complessivamente la pena di 14 anni di reclusione, con l’ulteriore riduzione del sesto si arrivava a 11 anni e 8 mesi di reclusione, cui, poi, andavano aggiunti i 6 anni complessivi per i reati-satellite giudicati nel diverso procedimento definito con la citata sentenza della Corte di appello di Palermo (per un totale, appunto, di 17 anni e 8 mesi).
La difesa del SEIDITA proponeva opposizione avverso detta ordinanza, chiedendo di estendere la riduzione del sesto anche ai reati-satellite giudicati nel diverso procedimento, poi unificati a quelli già menzionati, sulla base degli argomenti indicati dal punto 1) al punto 11) del provvedimento oggi impugnato.
Con detto ultimo provvedimento, indicato in epigrafe, il G.i.p. del Tribunale di Palermo rigettava l’opposizione, valorizzando: a) la natura eccezionale della norma di cui all’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen.; b) l’insegnamento della Cassazione espresso, tra le altre, da Sez. 1, n. 17890 del 2017, secondo il quale l’applicazione della continuazione tra reati giudicati con il rito ordinario e alt giudicati con il rito abbreviato comporta che soltanto nei confronti di questi ultimi – siano essi reati cd. satellite ovvero reati che integrino la violazione più grave deve essere applicata la riduzione di un terzo della pena, a norma dell’art. 442, comma 2, cod. proc. pen.; c) la considerazione unitaria del reato continuato solo per gli effetti che sono espressamente previsti dalla legge; d) la mancanza di una espressa disciplina che estenda gli effetti dell’istituto premiale de quo anche retroattivamente ovvero alle ipotesi non contemplate, sicché tale istituto non poteva trovare applicazione, nella specie, ai reati-satellite, giudicati in data
antecedente all’entrata in vigore della norma, per i quali l’imputato aveva proposto impugnazione.
Ha proposto ricorso per cassazione l’interessato, per il tramite del difensore, deducendo, con un unico e articolato motivo, violazione ed erronea applicazione dell’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen. in relazione agli artt. 73, 76, 80 e 81 cod. pen.
La difesa del ricorrente rileva che la disposizione in commento è collocata nell’ambito dell’art. 442 e, quindi, costituisce espressione, come il comma 2, della “natura premiale della scelta processuale di essere giudicati con abbreviato”: entrambe le disposizioni avrebbero natura sostanziale.
Assume che l’effetto premiale può essere connesso, per identità di “logica finalistica”, anche alla scelta di non contestare l’entità dell’aumento applicato per la continuazione; del resto, opinando altrimenti, si perderebbe di logica e proporzionalità.
Evidenzia, ancora, che tutti i reati oggetto della sentenza in esecuzione sono stati giudicati con rito abbreviato.
Insiste sul concetto di unicità della pena, scolpito dagli artt. 73, 76, 80 e 81 cod. pen., osservando che il cumulo giuridico implicato dal reato continuato comporta la perdita di autonomia sanzionatoria degli altri reati.
Infine, esclude la natura eccezionale della disposizione di cui all’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen., di cui non si richiede alcuna applicazione analogica.
Il Procuratore generale di questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso, condividendo la valutazione del giudice dell’esecuzione circa la natura eccezionale della norma di cui al comma 2-bis dell’art. 442 cod. proc. pen. e lo scopo deflattivo ad essa inerente, che non ricorrerebbe nel caso in esame.
Ad avviso del Procuratore generale, un’applicazione nei sensi indicati dal ricorrente porterebbe ad estendere il beneficio anche a sentenze che non hanno concluso un giudizio abbreviato e per le quali vi è stata impugnazione, così ampliando l’ambito applicativo di una norma eccezionale in assenza di una medesima ratio e di esigenze sistematiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va, perciò, rigettato.
Ai fini di un miglior inquadramento della specifica questione al vaglio, occorre premettere che l’art. 442 cod. proc. pen., in tema di rito abbreviato, è stato modificato, per effetto dell’art. 24, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 150 del 2022,
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mediante l’introduzione del comma 2-bis, in base al quale «quando né l’imputato, né il suo difensore hanno proposto impugnazione contro la sentenza di condanna, la pena inflitta è ulteriormente ridotta di un sesto dal giudice dell’esecuzione», che vi provvede ai sensi degli artt. 676, comma 1, e 667, comma 4, cod. proc. pen.
Il presupposto a regime, per l’applicazione dell’ulteriore sconto di pena nel rito speciale, è, quindi, individuato dal legislatore nell’irrevocabilità della decisio di primo grado per mancata proposizione dell’impugnazione da parte dell’imputato (quando è ammessa l’impugnazione personale) e del difensore.
La riforma delineata dal d.lgs. n. 150 del 2022 ha, infatti, lo scopo di ridurre la durata del procedimento penale celebrato con rito alternativo, favorendo la definizione del giudizio dopo la decisione di primo grado, così da evitare l’ingresso del procedimento stesso nella fase delle impugnazioni, quali che l’ordinamento in concreto consenta nel singolo caso, allorquando – trattandosi di sentenza di condanna, emessa all’esito di giudizio assoggettato al rito abbreviato – l’imputato e il difensore valutino come non sorretta da un apprezzabile interesse la prospettiva di sottoporre a nuova verifica la decisione emessa dal primo giudice e considerino, proprio in virtù della nuova opportunità offerta dalla norma, più conveniente rinunciarvi al fine di assicurare all’imputato stesso la riduzione (ulteriore rispetto a quella determinata dalla scelta del rito) pari alla frazione di sesto della pena irrogata.
2.1. Nelle prime conformi decisioni di legittimità intervenute dopo la novella del 2022 si è decisamente affermato che è soltanto la radicale mancanza dell’impugnazione che, determinando l’effetto deflattivo perseguito, integra il presupposto necessario per fruire della riduzione ulteriore della pena contemplata dal comma 2-bis della norma, non potendosi ad essa assimilare la rinuncia all’impugnazione già proposta.
A quest’ultimo riguardo, si è osservato che l’atto abdicativo non è idoneo a porre nel nulla, per il principio di esaurimento degli effetti dell’impugnazione (che è atto autoreferenziale, avente la funzione di dare avvio al grado successivo di giudizio, ovvero, nel caso di mancata proposizione, di determinare l’irrevocabilità della decisione), il giudizio superiore ormai instaurato. Il premio, assicurato dall’ulteriore riduzione di pena di un sesto, “remunera”, del resto, la mancata instaurazione del giudizio di impugnazione, non semplici esiti accelerati di quest’ultimo, che si avrebbero in caso di impugnazione proposta e poi rinunciata (Sez. 1, n. 49255 del 26/09/2023, Bartolomeo, Rv. 285683 – 01; Sez. 1, n. 51180 del 12/10/2023, COGNOME, Rv. 285583 – 01).
Nello stesso senso, a proposito di un’impugnazione dichiarata inammissibile perché tardiva, si è espressa Sez. 1, n. 14014 del 09/01/2025, COGNOME non mass.
Investita degli aspetti di diritto intertemporale connessi all’entrata in vigore della novella de qua, Sez. 1, n. 16054 del 10/03/2023, COGNOME, Rv. 284545 – 01, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen. per contrasto con gli artt. 3, 25, 27 e 117 Cost. in relazione all’art. 7 CEDU, nella parte in cui non prevede che il beneficio dell’ulteriore riduzione di pena di un sesto per mancata impugnazione della sentenza di condanna si applichi anche ai procedimenti penali pendenti in fase di impugnazione e a quelli definiti con sentenza divenuta irrevocabile prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, posto che la condizione processuale che ne consente l’applicazione, costituita dall’irrevocabilità della sentenza per mancata impugnazione, in quanto soggetta al principio del “temous regit actum”, è ravvisabile solo rispetto a sentenze di primo grado divenute irrevocabili dopo l’entrata in vigore dell’indicato d.lgs., pur se pronunciate antecedentemente, sicché non risulta violato né il principio di retroattività della “lex mitior”, che riguarda le sole disposizioni che definiscono i reati e le pene che li sanzionano e la cui applicazione è preclusa ex art. 2, comma quarto, cod. pen. ove sia stata pronunziata sentenza definitiva, né quelli di eguaglianza e di responsabilità penale, in quanto il trattamento sanzionatorio difforme è giustificato dalla diversità delle situazioni da disciplinare e non può essere percepito come ingiusto dal condannato che abbia inteso perseguire il medesimo obiettivo con una diversa scelta processuale.
3.1. L’importanza della pronuncia anche ai fini che qui rilevano suggerisce di riportarne integralmente i brani salienti.
«2.4.1. Venendo alla questione oggetto del giudizio, deve affermarsi che, tenendo presenti i principi espressi da Sez. U., Lista, dal punto di vista del diritto intertemporale, deve farsi applicazione del principio tempus regit actum, sotto il profilo che la condizione processuale, che consente di discernere la normativa applicabile, attiene all’irrevocabilità della sentenza di primo grado per mancata proposizione dell’impugnazione, condizione che può ravvisarsi unicamente per le sentenze di primo grado che siano divenute irrevocabili dopo l’entrata in vigore della legge di riforma, anche se pronunciate in data anteriore.
Si noti che la condizione processuale è, in questo caso, caratterizzata da due concorrenti elementi: uno di tipo negativo (mancata presentazione dell’impugnazione); l’altro di tipo positivo (irrevocabilità della sentenza).
Del resto, lo spartiacque per l’applicazione della novella (irrevocabilità della sentenza), si verifica soltanto se, entro il termine finale per proporre l’impugnazione, essa non è proposta perché, altrimenti, l’atto della parte impedirebbe proprio il passaggio in giudicato.
L’irrevocabilità della sentenza, per mancata presentazione della impugnazione, è dunque il discrimen per l’applicazione della novella, poiché è richiesto, per beneficiare dell’ulteriore diminuente di un sesto, che l’impugnazione non sia stata proposta.
L.] 2.6. Priva di fondamento è la questione della retroattività, anche se posta sotto il profilo degli effetti sanzionatori con riguardo all’art. 25 Cost.
2.6.1. Deve essere anzitutto sottolineato che l’applicazione retroattiva, ex art. 25, secondo comma, Cost., non è configurabile per la natura mista (processuale e sostanziale) della diminuente.
Il collegamento esistente tra il mancato compimento di un atto processuale (l’impugnazione) e la diminuente del trattamento sanzionatorio impedisce di applicare retroattivamente la seconda in presenza del primo.
È proprio l’esaurimento della fase processuale e, anzi, dello stesso giudizio – presupposto che determina l’applicabilità dell’ulteriore diminuzione di un sesto che impedisce l’applicazione retroattiva della nuova disposizione ai procedimenti pendenti in fase di impugnazione.
2.6.2. Sotto altro angolo visuale, va ricordato che non è configurabile alcuna lesione del principio di retroattività della lex mitior che, di per sé, imponga l’applicazione dell’istituto a prescindere da una disciplina transitoria che ne regoli l’applicazione (sentenza della Corte costituzionale n. 236 del 2011).
La Corte europea dei diritti dell’uomo, nell’affermare che il principio di retroattività della lex mitior è un corollario di quello di legalità, consacrato dall’art. 7 della CEDU, ha però fissato dei limiti al suo ambito di applicazione, desumendoli dalla stessa norma convenzionale; in conseguenza, essa ha affermato che il principio in questione, come in generale «le norme in materia di retroattività contenute nell’art. 7 della Convenzione», concerne le sole disposizioni che definiscono i reati e le pene che li reprimono.
La ristretta portata del principio convenzionale – confermata dal riferimento che la giurisprudenza europea fa alle fonti internazionali e comunitarie (art. 15 del Patto internazionale sui diritti civili e politici ed art. 49 della Carta di Nizza) e pronunce della Corte di giustizia dell’Unione europea – implica dunque che il principio di retroattività della lex mitior riconosciuto dalla Corte di Strasburgo riguardi esclusivamente la fattispecie incriminatrice e la pena, mentre sono estranee all’ambito di operatività di tale principio, così delineato, le ipotesi in c non si verifica un mutamento, favorevole al reo, nella valutazione sociale del fatto, che porti a ritenerlo penalmente lecito o comunque di minore gravità.
2.6.3. Se, dunque, non sussiste alcun contrasto convenzionale a cagione dell’impossibilità di applicare la diminuente di un sesto ai procedimenti pendenti in fase di impugnazione (e anche a quelli definiti in data anteriore all’entrata
vigore della novella), non risulta neanche ipotizzabile l’illegittimità costituzional della medesima previsione.
Opera, nell’ordinamento interno, il (più favorevole) principio di cui all’art. 2, quarto comma, cod. pen.
Quest’ultimo, infatti, riguarda ogni disposizione penale successiva alla commissione del fatto, che apporti modifiche in mellus di qualunque genere alla disciplina di una fattispecie criminosa, incidendo sul complessivo trattamento riservato al reo, mentre il principio convenzionale ha una portata più circoscritta, concernendo le sole norme che prevedono i reati e le relative sanzioni.
Pertanto, se la disposizione di cui all’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen., che non è applicabile ai giudizi definiti in data anteriore alla sua entrata in vigore non si pone in contrasto con l’art. 7 della CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, e quindi non viola l’art. 117, primo comma, Cost., deve concludersi per la sua piena legittimità costituzionale anche con riguardo agli artt. 3, 25 e 27 Cost.
Opera, in tal caso, la clausola, pure di maggiore favore, contenuta nell’art. 2, quarto comma, cod. pen. che, nell’assicurare l’applicazione della lex mitior anche oltre l’ambito stabilito dalla Convenzione EDU, introduce però il limite del giudicato: «se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile».
2.6.4. Per i procedimenti pendenti in fase di impugnazione, invece, la compatibilità costituzionale dell’applicazione non retroattiva della disposizione, che per le ragioni dette è rispondente al principio di cui all’art. 25 Cost., è assicurat proprio dai principi di eguaglianza e di responsabilità penale.
Sotto il primo profilo, infatti, non è ravvisabile alcuna frizione costituzionale tra situazione diverse: l’ulteriore riduzione di un sesto è prevista soltanto per colui che non ha presentato impugnazione, sicché quando essa è stata proposta, il parametro costituzionale è rispettato.
Sotto il secondo profilo, del resto, il condannato non può percepire come “ingiusto” il trattamento sanzionatorio irrogato proprio perché, a differenza di colui che non ha proposto impugnazione, ha perseguito il medesimo obiettivo (e fors’anche quello di ottenere una pronuncia più favorevole in senso assoluto) secondo un diverso percorso, sicché non può attendersi l’ulteriore riduzione prevista per colui che l’impugnazione non abbia proposto».
3.2. Nel confermare i principi espressi dalla sentenza ora richiamata, Sez. 1, n. 19778 del 14/02/2024, Marino, non mass., ha aggiunto ulteriori considerazioni a sostegno, osservando, in particolare, che «Ciò che rileva è che la scelta di non proporre impugnazione (avverso la sentenza emessa in
abbreviato) ricada validamente nel periodo di vigenza della nuova disposizione, anche se la sentenza è stata depositata prima del 30 dicembre 2022, posto che solo nella ipotesi di ‘coesistenza della norma di favore e del presupposto processuale (la scelta di non impugnare) può dirsi che l’effetto premiale sia stato «previsto e voluto» dal soggetto processuale che ne invoca l’effetto. Quando la disposizione di favore non era vigente nessun effetto premiale – in caso di mancata impugnazione – poteva rientrare in un range di prevedibilità e, dunque, la scelta processuale è frutto di valutazioni del tutto diverse».
Nella stessa decisione si è definito non pertinente il riferimento «al noto caso COGNOME contro Italia, posto che in tal caso si era lesa (tramite una legge di pretesa interpretazione autentica) la legittima aspettativa di ottenere un trattamento sanzionatorio – più favorevole – correlato ad una norma vigente al momento della proposizione della domanda di abbreviato. Qui invece la norma di favore è di assoluta novità ed è correlata al mancato esercizio della facoltà di impugnazione, sicché al momento in cui è stata operata la scelta del rito abbreviato non vi era alcuna aspettativa da tutelare in tal senso».
3.3. Ulteriori spunti d’interesse, a proposito dei meccanismi premiali conseguenti a scelte processuali individuali, si traggono da alcuni passaggi della sentenza Corte cost. n. 208 del 19 dicembre 2024, che ha dichiarato illegittimo il comma 2-bis dell’art. 442 cod. proc. pen. nella parte in cui non prevede che il giudice dell’esecuzione può concedere altresì la sospensione della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, quando il giudice della cognizione non abbia potuto provvedervi perché la pena allora determinata era superiore ai limiti di legge che consentono la concessione di tali benefici.
Sul tema più generale, osserva il Giudice delle leggi che «…la diminuzione della pena conseguente a scelte processuali individuali non è una graziosa concessione al condannato, ma riflette la precisa logica sinallagmatica – la cui legittimità costituzionale non è qui in discussione – adottata dal legislatore, che garantisce un minor carico sanzionatorio a chi volontariamente rinunci a esercitare parti integranti del proprio diritto costituzionale di difesa, fornendo così u contributo al più rapido ed efficiente funzionamento del sistema penale nel suo complesso…».
Quanto al più specifico tema del meccanismo premiale previsto dall’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen., si afferma quanto segue:
«3.3.- Ora, l’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen., in questa sede all’esame, stabilisce anch’esso un meccanismo premiale, per effetto del quale la pena viene «ridotta di un sesto» nell’ipotesi in cui il condannato in esito a un giudizio abbreviato non proponga impugnazione contro la sentenza. Tale riduzione
è espressamente indicata quale “ulteriore” rispetto a quella della metà o di un terzo prevista dal comma 2.
In entrambi i meccanismi normativi, la pena originariamente determinata dal giudice sulla base degli ordinari criteri di cui agli artt. 133 e 133-bis cod. pen subisce una modificazione ex lege, in omaggio a logiche deflattive del contenzioso penale: rispetto all’ipotesi del comma 2, al fine di incentivare il ricorso al r abbreviato, caratterizzato dalla rinuncia alle garanzie del contraddittorio nella formazione della prova; rispetto a quella, ora all’esame, del comma 2-bis, allo scopo di indurre il condannato a rinunciare ad impugnazioni miranti unicamente a una riduzione della pena inflittagli (così la relazione finale della Commissione di studio per elaborare proposte di riforma in materia di processo e sistema sanzionatorio penale, nonché in materia di prescrizione del reato, attraverso la formulazione di emendamenti al disegno di legge A.C. 2435, pagina 27).
Nell’una e nell’altra ipotesi, il legislatore si ripromette dunque di ottenere un risparmio di tempi e di energie per il già sovraccarico sistema penale italiano, riducendo per quanto possibile – rispettivamente – il numero di giudizi dibattimentali e di impugnazioni.
La peculiarità della riduzione “ulteriore” di pena di cui al comma 2-bis risiede, però, nella circostanza che alla rideterminazione della pena è chiamato il giudice dell’esecuzione, anziché il giudice della cognizione…».
Conclude, sul punto, la Corte costituzionale rilevando che «…la rinuncia all’impugnazione della sentenza di condanna, dalla quale dipende la riduzione di un sesto della pena, è sacrificio diverso e ulteriore rispetto alla rinuncia all garanzie del dibattimento, che è già “compensata” dalla riduzione della metà o di un terzo prevista dal comma 2 dell’art. 442 cod. proc. pen.».
3.4. Non si reputa superfluo, infine, richiamare alcuni passaggi di Sez. U, n. 35852 del 22/02/2018, COGNOME, Rv. 273547 – 01, che ha affermato il principio per cui «L’applicazione della continuazione tra reati giudicati con il rit ordinario e altri giudicati con il rito abbreviato comporta che soltanto nei confronti di questi ultimi – siano essi reati cd. satellite ovvero reati che integrino violazione più grave – deve essere applicata la riduzione di un terzo della pena, a norma dell’art. 442, comma secondo, cod. proc. pen.».
Nel giustificare la conclusiva opzione per l’orientamento da cui scaturirà il principio di diritto appena riportato, osservano le Sezioni Unite:
« 3. Il primo orientamento – seguito nel presente processo dalla Corte di appello di Napoli – afferma che, in caso di riconoscimento della continuazione tra reati giudicati con rito ordinario e altri giudicati con rito abbreviato, anche sono quelli giudicati con il rito alternativo ad integrare la violazione più grave,
diminuzione per il rito si applica esclusivamente per tali reati e non su quelli “satellite” giudicati con il rito ordinario.
L’orientamento si fonda principalmente sulla natura processuale della riduzione di pena prevista dall’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. e sulla conseguente applicabilità soltanto alle pene inflitte per i reati giudicati, per scelt dell’imputato, con quel rito: l’autonomia dei procedimenti e l’applicazione del principio di premialità esigono che la diminuente venga riconosciuta esclusivamente in relazione al rito celebrato in forma contratta e non sono consentite estensioni della disciplina di favore oltre i casi espressamente stabiliti (Sez. 5, n. 47073 del 20/06/2014, COGNOME, Rv. 262144). La riduzione del trattamento sanzionatorio, in altri termini, resta subordinata, tassativamente e senza eccezioni, al fatto che la condanna sia intervenuta a seguito di un giudizio abbreviato (Sez. 6, n. 33856 del 09/07/2008, COGNOME, Rv. 240798).
Si rimarca che la ragione giustificativa della diminuzione di un terzo, sottesa alla previsione normativa di cui al terzo comma dell’art. 442 cod. proc. pen., deve essere individuata nell’intento di accordare un incentivo, o premio, per la scelta del procedimento speciale a prova contratta, o allo stato degli atti (Sez. 1, n. 43024 del 25/09/2003, COGNOME, Rv. 226595) e si sottolinea che l’opposta soluzione ermeneutica darebbe luogo a un’ingiustificata omologazione del trattamento per situazioni radicalmente diverse, equiparando la posizione dell’imputato giudicato col rito abbreviato a quella dell’imputato giudicato col rito ordinario. E non solo: perché a seguire le ragioni dell’orientamento non condiviso si giungerebbe alla paradossale conclusione che andrebbe simmetricamente riconosciuto “che la medesima continuazione applicata in un giudizio ordinario dovrebbe comportare un aumento per i reati satelliti non ridotto di un terzo, ancorché gli stessi reat siano stati giudicati col rito abbreviato”.
Nell’ambito di tale filone interpretativo, Sez. 6, n. 58089 del 16/11/2017, Wu, richiama la chiara funzione premiale ed incentivante della riduzione di cui all’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. rispetto alla scelta dell’imputato di procedere all’accertamento nelle forme «più economiche» del rito abbreviato e rimarca che questa funzione sarebbe del tutto assente nell’ipotesi dell’eventuale applicazione del beneficio successivamente alla definizione irrevocabile del giudizio; osserva poi, che il testo dell’art. 533 cod. proc. pen. assegna esplicit rilevanza, in tema di unificazione del trattamento sanzionatorio, alle «norme sul concorso di reati e di pene o sulla continuazione», ma non anche a quelle sui riti.
5.3. Si comprende, quindi, come il tentativo di ritenere anche quei reati separatamente giudicati «oggetto del rito speciale», cioè, inseriti nel giudizio abbreviato che si è celebrato e, quindi, “meritevoli” di beneficiare della riduzione per il rito alternativo, si risolva in una ricostruzione che non soltanto è artificio
e non ha alcuna base normativa, ma che appare in irriducibile contrasto con la natura e la ratio dell’istituto premiale. Benché i precedenti fatti siano riconsiderati dal giudice del giudizio abbreviato che sta giudicando altri reati, al fine di verificar la sussistenza del vincolo della continuazione, e benché il giudice possa intervenire sulle pene inflitte per tali reati con le sentenze irrevocabili, è evidente che per ess non si celebra affatto un nuovo processo, né sarebbe possibile farlo.
Così come non celebra un nuovo processo il giudice dell’esecuzione che, in forza dell’art. 671 cod. proc. pen., verifica la sussistenza del vincolo dell continuazione tra reati definitivamente ma separatamente giudicati e ridetermina la pena complessiva. E si è già sottolineato che il giudice della cognizione che ritiene la continuazione tra i reati giudicati e quelli oggetto di sentenze di condanna irrevocabili opera con gli stessi poteri del giudice dell’esecuzione.
Se, quindi, quei reati sono stati giudicati in un diverso processo, nel corso del quale l’imputato aveva scelto di non chiedere l’ammissione al rito alternativo, non vi è ragione di operare sulle pene per essi inflitte la riduzione di cui all’ar 442, comma 2 cod. proc. pen. che è, appunto, una diminuente processuale legata ad una scelta operata dall’imputato nel processo di cognizione entro limiti temporali rigidamente fissati dal codice di rito: pena la violazione del principio di eguaglianza che, come postula trattamento eguale per eguali situazioni, così presuppone trattamenti diversi per diverse situazioni».
Ritiene il Collegio che l’itinerario giurisprudenziale percorso non possa che coerentemente condurre alle seguenti conclusioni.
Il beneficio dell’ulteriore riduzione di un sesto di cui all’art. 442, comma 2bis, cod. proc. pen., inserito dall’art. 24, comma 1, lett. c), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, si applica in presenza della condizione processuale costituita dalla irrevocabilità della sentenza per mancata impugnazione che, in quanto soggetta al principio del “tempus regit actum”, è ravvisabile solamente rispetto a sentenze di primo grado divenute irrevocabili dopo l’entrata in vigore del citato d.lgs. n. 150 del 2022, pur se pronunciate antecedentemente.
Invero, solo nella ipotesi di ‘coesistenza’ della norma di favore e del presupposto processuale (la scelta di non impugnare) vengono salvaguardati, al contempo:
l’effetto deflattivo perseguito dalla novella de qua;
la logica sinallagmatica adottata dal legislatore in funzione del meccanismo premiale contemplato (C. cost., n. 280 del 2024, cit.);
il rispetto del principio del “tempus regit actum”, correlato a un fatto processuale;
la previsione e volontà dell’effetto premiale in capo al soggetto chen invoca l’applicazione (Sez. 1, n. 19778 del 2024, cit.);
il rispetto dei principi di eguaglianza e responsabilità penale;
la conseguente giustificazione del trattamento sanzionatorio difforme da quello applicabile a chi non si trovi nella situazione processuale de qua, posto che a situazioni diverse si applicano discipline diverse.
Il precipitato logico di tale conclusione, ovviamente, porta ad escludere l’applicabilità del meccanismo premiale ulteriore, introdotto dal d.lgs. n. 150 del 2022, a soggetti che non si trovino nella condizione processuale appena illustrata, come nel caso dell’odierno ricorrente SEIDITA, con riferimento ai reati-satellite giudicati con la sentenza emessa dalla Corte di appello di Palermo in data 8 aprile 2011, irrevocabile il 27 settembre 2012, unificati dal vincolo della continuazione, in sede di cognizione, a quelli, di cui ai capi 1) (considerato il più grave) e 22) dell rubrica, giudicati con sentenza resa dal G.u.p. del Tribunale di Palermo il 24 aprile 2024, irrevocabile il 4 dicembre 2024.
Ed invero, sebbene tutti i reati unificati siano stati giudicati, nei due separat procedimenti, con rito abbreviato, solo quelli costituenti oggetto della sentenza più recente presentano i requisiti per l’ammissione all’ulteriore beneficio premiale di cui all’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen.: a) perché l’imputato non ha presentato appello (mentre lo ha fatto nell’antecedente procedimento); b) perché la sentenza è divenuta irrevocabile in data successiva a quella del 30 dicembre 2022, giorno di entrata in vigore della novella (mentre la sentenza antecedente è divenuta irrevocabile il 27 settembre 2012).
Per quanto suggestive, le argomentazioni difensive, che vorrebbero attribuire alla disposta continuazione (concepita come una sorta di “ombrello” unificatore) effetto omologante di situazioni processuali tutt’affatto diverse, non possono che essere disattese.
Se, infatti, si aderisse alla tesi difensiva si eluderebbero, irragionevolmente: a) l’effetto deflattivo perseguito dalla novella de qua e la logica sinallagmatica adottata dal legislatore in funzione del meccanismo premiale contemplato; b) il rispetto del principio del “tempus regit actum”, correlato a un fatto processuale; c) il rispetto dei principi di eguaglianza e responsabilità penale, che sarebbero, appunto, decisamente violati nel caso in cui, come vorrebbe il difensore del ricorrente, situazioni diverse venissero disciplinate in modo uguale, tenuto conto, tra l’altro, che, quando la disposizione di favore non era vigente, nessun effetto premiale – in ipotesi di mancata impugnazione – poteva rientrare in un range di prevedibilità (Sez. 1, n. 19778 del 2024, cit.).
Del tutto correttamente, pertanto, il giudice dell’esecuzione ha limitato, nella specie, l’applicazione del beneficio dell’ulteriore riduzione del sesto ai sol reati per i quali ricorrevano le condizioni processuali richieste dalla norma e dalla condivisa giurisprudenza sin qui sviluppatasi in argomento.
6.
Sulla base delle esposte considerazioni, il ricorso va, in conclusione, rigettato, dal che discende la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 14 maggio 2025
Il Consigliere estensore
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Il Presidente