Riduzione pena rito abbreviato: quando è implicita nel calcolo della Corte d’Appello
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20338 del 2024, offre un importante chiarimento sul calcolo della pena in sede di appello, specialmente quando interviene una riqualificazione del reato. La questione centrale riguarda la riduzione pena rito abbreviato: deve essere sempre esplicitata nel dispositivo della sentenza di secondo grado? Secondo la Suprema Corte, la risposta è no, a condizione che la sua applicazione sia logicamente e matematicamente deducibile dal ragionamento del giudice.
I Fatti di Causa
Il caso nasce da un ricorso presentato da un imputato condannato in primo grado, con rito abbreviato, a quattro anni e quattro mesi di reclusione e 20.000,00 euro di multa per reati in materia di stupefacenti. La Corte d’Appello di Genova, riformando la prima sentenza, accoglieva parzialmente le richieste della difesa.
I giudici di secondo grado, infatti, derubricavano le fattispecie contestate nell’ipotesi di ‘lieve entità’, prevista dal comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. 309/1990. Questa riqualificazione giuridica, che attesta una minore gravità del fatto, portava a una drastica riduzione della sanzione finale, determinata in un anno e sei mesi di reclusione e 4.000,00 euro di multa.
Il Ricorso in Cassazione e la questione della riduzione pena rito abbreviato
Nonostante la significativa riduzione ottenuta, l’imputato proponeva ricorso in Cassazione per un motivo molto specifico e di natura procedurale. Sosteneva che la Corte d’Appello, nel rideterminare la pena, avesse omesso di applicare la riduzione di un terzo prevista per la scelta del rito abbreviato. Secondo la difesa, la sentenza impugnata non faceva alcuna menzione, né in motivazione né nel dispositivo, di tale beneficio, che invece è un diritto dell’imputato.
La doglianza si basava su un’interpretazione formalistica: l’assenza di un esplicito riferimento allo ‘sconto’ di pena per il rito avrebbe viziato il calcolo, rendendo la condanna illegittima.
Le Motivazioni della Suprema Corte
La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato, fornendo una lettura sostanziale e logica della sentenza d’appello. Secondo gli Ermellini, il provvedimento impugnato deve essere letto nel suo complesso, considerando l’intero iter logico-giuridico seguito dai giudici di secondo grado.
Il punto di partenza del ragionamento della Cassazione è che la Corte d’Appello aveva ben presente la pena iniziale (quattro anni e quattro mesi), che era già il risultato della riduzione per il rito abbreviato. Nel momento in cui ha riqualificato i reati in ‘lieve entità’, ha di fatto azzerato il calcolo precedente per effettuarne uno nuovo sulla base della diversa, e più favorevole, cornice edittale.
La Suprema Corte procede quindi a una sorta di ‘prova del nove’ matematica. Ipotizza che la pena base per il reato continuato, dopo la derubricazione, sia stata individuata dalla Corte territoriale in due anni e tre mesi di reclusione e 6.000,00 euro di multa. Applicando a questa base la riduzione di un terzo per il rito abbreviato, si ottiene esattamente la pena finale inflitta: un anno e sei mesi di reclusione e 4.000,00 euro di multa.
Questo calcolo dimostra, in modo inequivocabile, che la riduzione di pena è stata applicata, sebbene in modo implicito. La Corte d’Appello non l’ha ‘dimenticata’, ma l’ha correttamente inserita nel suo nuovo calcolo sanzionatorio. Non è necessario, pertanto, che ogni passaggio matematico sia pedissequamente riportato nel testo della sentenza, se il risultato finale è corretto e coerente con le premesse (scelta del rito e qualificazione giuridica del fatto).
Le Conclusioni
Con questa pronuncia, la Cassazione ribadisce un principio di prevalenza della sostanza sulla forma. Una sentenza non è viziata se un passaggio del calcolo della pena, come la riduzione per il rito abbreviato, non è verbalizzato esplicitamente, a patto che l’esito finale sia corretto e la sua logica ricostruibile. L’iter argomentativo del giudice, letto nella sua interezza, è ciò che conta. Questa decisione consolida la certezza del diritto, evitando che ricorsi basati su formalismi pretestuosi possano inficiare sentenze corrette nel loro impianto logico e sanzionatorio.
Se la Corte d’Appello ridetermina la pena, deve sempre menzionare esplicitamente la riduzione per il rito abbreviato?
No, secondo la Cassazione non è necessario. La riduzione si considera applicata se il calcolo finale della pena è matematicamente coerente con la sua applicazione, anche in assenza di una menzione esplicita nel testo della sentenza.
Come ha fatto la Cassazione a verificare l’applicazione della riduzione di pena in questo caso?
La Corte ha effettuato un calcolo inverso. Ha ipotizzato la pena base che la Corte d’Appello avrebbe determinato dopo la riqualificazione del reato e, applicando a quella la riduzione di un terzo, ha dimostrato che il risultato corrispondeva esattamente alla pena finale inflitta, confermando così che lo ‘sconto’ era stato implicitamente considerato.
Qual è stata la conseguenza della riqualificazione del reato in ‘fatto di lieve entità’?
La riqualificazione del reato ha permesso di applicare una cornice edittale molto più favorevole. Questo ha comportato una drastica diminuzione della pena, che è passata da quattro anni e quattro mesi a un anno e sei mesi di reclusione, dimostrando l’importanza di una corretta qualificazione giuridica del fatto.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 20338 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 20338 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME (CUI CODICE_FISCALE) nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 01/02/2023 della CORTE APPELLO di GENOVA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore AVV_NOTAIO, nel senso del rigetto del ricorso; lette le conclusioni della difesa, che insiste nell’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Genova, con la pronuncia indicata in epigrafe, in riforma della sentenza di primo grado (emessa in sede di giudizio abbreviato), ha derubricato le fattispecie in materia di stupefacenti contestate ai capi A, B e C, già ritenute in continuazione tra loro (più grave il capo A), ai sensi del quinto comma dell’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, così riducendo la pena finale inflitta a NOME COGNOME da quattro anni e quattro mesi di reclusione ed euro 20.000,00 di multa (così determinata in primo grado all’esito della riduzione per il rito) a un anno e sei mesi di reclusione ed euro 4.000,00 di multa.
Avverso l’ordinanza, nell’interesse l’imputato è stato proposto ricorso fondato su un motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.), con il quale si deduce la mancata riduzione della pena per il rito, non avendone la Corte d’appello fatta specifica menzione (tanto in motivazione quanto in dispositivo).
Le parti hanno concluso per iscritto nei termini di cui in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato, dovendosi leggere la sentenza impugnata, in particolare il dispositivo ove si fa riferimento al trattamento sanzionatorio, in un contesto unitario, laddove è chiaro l’iter logico-giuridico seguito dalla Corte territoriale.
Il giudice d’appello, difatti, evidenzia i motivi d’appello e, in particolare, l richiesta della difesa di riduzione della pena, già considerato il rito, da anni quattro e mesi quattro di reclusione ed euro 20.000,00 di multa a tre anni di reclusione e 6.600,00 di multa, previa derubricazione nell’ipotesi di «lieve entità». Dopo aver fatto esplicito riferimento al trattamento sanzionatorio di cui alla sentenza di primo grado in termini di quattro anni e quattro mesi di reclusione ed euro 20.000,00 di multa, quale pena finale già ridotta per la scelta del rito abbreviato, il giudice d’appello ridetermina la pena, cioè quella ridotta per il rito, a un anno e sei mesi di reclusione ed euro 4.000,00 di multa, previa riqualificazione dei reati, già ritenuti in continuazione tra loro (più grave il cap A), ai sensi del comma quinto dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990.
Sicché, in ragione di un mero calcolo matematico, deve ritenersi che la Corte territoriale abbia determinato la pena, derivante dal cumulo giuridico ex art. 81 cod. pen., in due anni e tre mesi di reclusione ed euro 6.000,00 di multa, poi ridotta per il rito alla pena di un anno e sei mesi di reclusione ed euro 4.000,00 di multa (di cui al dispositivo).
In conclusione, al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 10 aprile 2024 iglier COGNOME re
Il Presidente