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Riduzione pena mancata impugnazione: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha stabilito che la riduzione di un sesto della pena per mancata impugnazione, introdotta dalla Riforma Cartabia, spetta anche all’imputato che, giudicato in assenza in primo grado, abbia ottenuto la restituzione nel termine per appellare. Se l’imputato, una volta celebrato il giudizio d’appello con rito abbreviato, non impugna la nuova sentenza, realizza l’effetto deflattivo voluto dalla norma, meritando il beneficio. La Corte ha quindi annullato la decisione del giudice dell’esecuzione che aveva negato la riduzione, rideterminando direttamente la pena. È stata invece respinta la richiesta di applicazione di un indulto per mancanza di un provvedimento formale che lo avesse concesso.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Riduzione pena per mancata impugnazione: sì al beneficio anche dopo appello ‘necessario’

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 20346 del 2025, offre un importante chiarimento sull’applicazione della riduzione pena per mancata impugnazione prevista dalla Riforma Cartabia. Il caso esaminato riguarda una situazione processuale complessa: un imputato condannato in primo grado in sua assenza, che ha dovuto necessariamente proporre appello per poter accedere al rito abbreviato. La Suprema Corte ha stabilito che, se la sentenza d’appello non viene a sua volta impugnata, il beneficio della riduzione di un sesto della pena spetta comunque.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da una condanna in primo grado emessa nel 2015 nei confronti di un imputato per reati legati agli stupefacenti. La sentenza fu pronunciata in contumacia (oggi, assenza), poiché l’interessato non aveva avuto conoscenza del procedimento. Divenuta irrevocabile, veniva emesso un ordine di esecuzione.

Successivamente, l’imputato otteneva una ‘restituzione in termini’, ossia il diritto di proporre appello fuori tempo massimo, proprio perché era stata riconosciuta la sua incolpevole mancata conoscenza del processo. Nel giudizio di appello, le parti raggiungevano un accordo (il cosiddetto ‘concordato in appello’ ex art. 599-bis c.p.p.), che portava a un’assoluzione per il reato associativo e a una rideterminazione della pena per gli altri reati, applicando la riduzione prevista per il rito abbreviato.

Questa nuova sentenza d’appello non veniva impugnata e diventava definitiva. A questo punto, la difesa presentava istanza al giudice dell’esecuzione per ottenere l’ulteriore riduzione di un sesto della pena prevista dall’art. 442, comma 2-bis, c.p.p. per la mancata impugnazione. La Corte d’Appello, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava però la richiesta, ritenendo che il beneficio non fosse applicabile poiché un’impugnazione (l’appello) era stata di fatto proposta.

La Decisione della Cassazione sulla riduzione pena per mancata impugnazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’imputato su questo specifico punto, annullando senza rinvio l’ordinanza impugnata e rideterminando direttamente la pena con la riduzione di un sesto.

I giudici hanno chiarito che l’interpretazione della Corte d’Appello era eccessivamente formalistica e non teneva conto della ratio della norma. La Corte ha inoltre rigettato la doglianza del ricorrente relativa alla presunta applicazione di un indulto, confermando la decisione del giudice dell’esecuzione per assenza di un provvedimento formale che lo avesse concesso.

Le Motivazioni

Il cuore della motivazione della Cassazione risiede nell’analisi dello scopo della norma introdotta dalla Riforma Cartabia. L’obiettivo dell’art. 442, comma 2-bis, c.p.p., è quello di incentivare la rapida definizione dei processi, premiando con uno sconto di pena chi rinuncia a proseguire nei gradi di giudizio successivi. Questo produce un ‘effetto deflattivo’, riducendo il carico di lavoro delle corti d’appello e della stessa Cassazione.

Nel caso di specie, l’imputato si trovava in una situazione del tutto particolare. Non avendo avuto conoscenza del processo di primo grado, non aveva potuto scegliere il rito abbreviato in quella sede. L’unico modo per recuperare questa facoltà e per far valere le proprie difese era impugnare la sentenza di primo grado, una volta ottenuta la restituzione in termini. L’appello, quindi, non era una scelta per contestare nel merito una decisione presa in un processo a cui aveva partecipato, ma un atto necessario per rimediare a una violazione delle sue garanzie difensive.

La Cassazione ha ragionato come segue: l’effetto deflattivo si è concretamente realizzato quando l’imputato ha scelto di non impugnare la sentenza d’appello, accettando la pena in essa definita. È in quel momento che la sua condotta ha assecondato lo scopo del legislatore. Pretendere la mancata impugnazione della sentenza di primo grado, in un contesto dove l’impugnazione era l’unica via per esercitare un diritto fondamentale, sarebbe stato illogico e contrario ai principi del giusto processo.

La Corte ha quindi affermato che il requisito della ‘radicale mancanza dell’impugnazione’ deve essere inteso in senso sostanziale. Esso si riferisce alla sentenza emessa all’esito del procedimento in cui l’imputato ha potuto effettivamente e consapevolmente partecipare. In questo caso, tale sentenza era quella d’appello.

Le Conclusioni

Questa sentenza rappresenta un importante precedente per la corretta interpretazione della riduzione pena per mancata impugnazione. Essa stabilisce un principio di equità e sostanza sulla forma: il beneficio premiale non può essere negato a chi è costretto a impugnare per sanare una violazione dei propri diritti difensivi avvenuta nel grado precedente. La valutazione va fatta sulla condotta tenuta dall’imputato una volta che le sue garanzie sono state pienamente ripristinate. La decisione di non proseguire con ulteriori ricorsi dopo la sentenza d’appello è sufficiente a integrare il presupposto per l’applicazione della riduzione, contribuendo efficacemente all’obiettivo di economia processuale voluto dalla riforma.

La riduzione di pena di un sesto si applica se l’imputato, giudicato in assenza, è costretto ad appellare per accedere al rito abbreviato?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che se l’imputato, una volta ottenuta la restituzione in termini e celebrato il giudizio d’appello (con rito abbreviato), non impugna la nuova sentenza, ha diritto alla riduzione. L’appello in questo caso è visto come un atto necessario per ripristinare le garanzie difensive e non come una scelta che preclude il beneficio.

Qual è lo scopo della norma che prevede la riduzione di pena per mancata impugnazione?
Lo scopo principale, come evidenziato dalla Corte, è quello di incentivare la rapida definizione dei procedimenti penali. Premiando la scelta di non impugnare una sentenza, si riduce il carico di lavoro dei tribunali di grado superiore (effetto deflattivo), ottenendo un risparmio di tempi e risorse per il sistema giudiziario.

È possibile ottenere l’applicazione di un indulto basandosi solo su una richiesta del pubblico ministero o su un precedente ordine di esecuzione che ne teneva conto?
No. La Corte ha confermato che l’applicazione dell’indulto richiede un provvedimento formale e specifico del giudice competente. In assenza di tale provvedimento, la semplice richiesta di una parte o il riferimento in atti precedenti non è sufficiente a dimostrare che il beneficio sia stato effettivamente concesso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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