Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 20346 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 20346 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME COGNOME nato a Madrid (SPAGNA) il 19/6/1974 avverso l’ordinanza della Corte d’Appello di Napoli del 22/11/2024 letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 22.11.2024, la Corte d’Appello di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha provveduto su due istanze di COGNOME, la prima di applicazione della riduzione di pena ex art. 442, comma 2bis , cod. proc. pen. e la seconda di applicazione dell’indulto.
In particolare, la difesa, con la prima istanza, ha evidenziato che COGNOME è stato condannato dalla Corte d’Appello di Napoli con sentenza del 20.11.2023 (definitiva il 27.4.2024), previa rimessione in termini per il rito abbreviato, alla pena di cinque anni e quattro mesi di reclusione per il reato di cui agli artt. 73-80
d.P.R. n. 309 del 1990, non impugnata. Di conseguenza, ha chiesto la riduzione del sesto ex art. 442, comma 2bis , cod. proc. pen., richiamando il principio espresso dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 52274 del 2016, ritenuto estensibile al caso di specie. Con la seconda istanza, inoltre, ha chiesto di applicare sulla medesima la detrazione di tre anni, come da provvedimento di indulto già emesso dal Tribunale di Napoli nel 2015.
Ciò promesso, la Corte d’Appello ha ricostruito che COGNOME fu condannato dal Tribunale di Napoli il 17.9.2015 alla pena di dodici anni di reclusione per i delitti di cui agli artt. 74, 73 e 80 del d.P.R. n. 309 del 1990 per fatti compiuti tra il 2005 e l’a prile 2006. La sentenza non fu impugnata e divenne irrevocabile, sicché venne emesso l’ordine di esecuzione n. 2648/2017 del 25.11.2021 per una pena di nove anni di reclusione, in quanto contestualmente il pubblico ministero aveva erroneamente richiesto l’applicazione dell’indulto, non consentito per il delitto di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e per l’aggravante di cui al successivo art. 80.
La Corte di Appello di Napoli, però, accolse, in qualità di giudice dell’esecuzione, una successiva istanza dell’imputato di rimessione in termini per proporre appello e dichiarò la cessazione degli effetti del passaggio in giudicato della sentenza, revocando l’ordine di esecuzione del 25.11.2021. La nuova sentenza di appello del 20.11.2023, in riforma della sentenza impugnata, assolse COGNOME, su concorde richiesta delle parti, dal delitto associativo e, previo giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sull ‘ aggravante ex art. 80 d.P.R. n. 309 del 1990, gli inflisse, ai sensi dell’art. 599bis cod. proc. pen., la pena di cinque anni e quattro mesi di reclusione e 16.000 euro di multa. La sentenza è passata in giudicato il 27.4.2024 e il Procuratore generale ha emesso l’ordine di esecuzione Siep n. 743/2024. Con la seconda istanza, la difesa chiede appunto di applicare la ulteriore detrazione di pena di tre anni derivante dall’indulto, a proposito del quale si deduce che a Ortega fu notificato il 27.11.2022 un mandato di arresto europeo per una condanna di pena residua a nove anni, che dunque teneva conto della diminuzione per l’indulto.
L’ordinanza impugnata ha innanzitutto respinto questa seconda istanza, in quanto la richiesta di indulto del pubblico ministero non ha mai avuto riscontro in alcun provvedimento del giudice dell’esecuzione e, dunque, sia il primo ordine di esecuzione sia il successivo mandato di arresto europeo hanno tenuto conto di una detrazione di pena mai disposta. Del resto, il primo ordine di esecuzione è stato espressamente revocato dalla Corte d’Appello di Napoli con il provvedimento di restituzione in termini.
Quanto, poi, alla prima istanza, la Corte d’Appello ha ritenuto, intanto, che in astratto il beneficio della riduzione di un sesto per la mancata impugnazione della
sentenza si applichi anche ai procedimenti penali definiti con sentenza irrevocabile dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022, sia a pure a seguito come nel caso di specie -della restituzione in termini.
Tuttavia, ha ritenuto che l’istanza di COGNOME non sia in concreto accoglibile, perché la giurisprudenza di legittimità ha già affermato che la riduzione non è applicabile nel caso di irrevocabilità della sentenza a seguito della rinuncia all’appello: la ratio della riforma, infatti, è la riduzione della durata del procedimento, che non si realizza quando la fase dell’impugnazione è ritualmente introdotta (e l’imputato valuti poi più conveniente rinunciare all’appello), sicché solo la radicale mancanza dell’impugnazione determina l’effetto deflattivo perseguito: nel caso di specie, peraltro, non vi è stata la totale rinuncia ai motivi con riferimento alla assoluzione per il reato associativo e al trattamento sanzionatorio.
Avverso la predetta ordinanza, ha proposto ricorso il difensore di Ortega, articolando un unico motivo, con cui deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., violazione o erronea applicazione della legge penale e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
In ordine alla prima istanza, il ricorso richiama le argomentazioni della sentenza delle Sezioni unite n. 52974 del 2016, riguardante la sanatoria della pronuncia contumaciale illegittima con la restituzione del termine per impugnare, sostenendo che, per beneficiare della riduzione del sesto, era sufficiente che, dopo l’entrata in vigore della riforma Cartabia, la sentenza di primo grado non fosse irrevocabile.
La Corte d’Appello non ha tenuto conto dei motivi che nel caso di specie hanno portato alla restituzione nel termine per impugnare, né che con l’atto di appello veniva chiesto il giudizio abbreviato proprio per consentire all’imputato di accedere alla scelta negatagli con la celebrazione del processo contumaciale (in ordine al quale era stata riconosciuta la sua mancata conoscenza incolpevole). Pertanto, il requisito della mancata impugnazione della sentenza di primo grado non è applicabile al caso di specie, in quanto la restituzione in termini aveva ad oggetto proprio la possibilità di impugnazione per effetto della reintegrazione delle garanzie difensive del primo grado.
Negando l’applicazione della riduzione ad Ortega, invece, si determina una disparità di trattamento tra chi ha avuto conoscenza del procedimento (così potendo esercitare il diritto di richiedere il rito alternativo e quello di ottenere la ulteriore riduzio ne per effetto della mancata impugnazione) e chi non l’ha avuta.
Sulla seconda istanza, il ricorso evidenzia che la motivazione della Corte d’Appello è in palese contraddizione con l’ordine di esecuzione del 2021 e il
mandato d’arresto europeo del 2022, i quali danno atto della riduzione di pena, per effetto dell’indulto concesso con provvedimento del Tribunale collegiale di Napoli in sede esecutiva in data 17.9.2015 (irrevocabile il 2.2.2016).
Anche a ritenere che l’indulto sia stato concesso erroneamente, vale il principio per cui, se la causa ostativa era conosciuta dal giudice dell’esecuzione, l’errore avrebbe dovuto essere fatto valere con l’impugnazione. In mancanza, la relativa decisione è definitiva e non può essere revocata nella stessa sede esecutiva per effetto di una successiva istanza del pubblico ministero.
Con requisitoria scritta del 15.2.2025, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso, osservando, quanto alla prima istanza di COGNOME, che non ricorre né il requisito della mancata impugnazione, né quello della integrale rinuncia ai motivi d’appello , e, quanto alla seconda istanza, che essa si basa su una premessa insussistente, cioè l’avvenuta concessione dell’indulto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è parzialmente fondato nei termini che si esporranno di seguito.
Non è in discussione, innanzitutto, che, essendo stata emessa la prima sentenza di condanna del 2015 nella contumacia dell’imputato (lo attesta anche il provvedimento impugnato), sia applicabile il principio -affermato nella pronuncia delle Sezioni unite più volte citata sia nell’ordinanza della Corte d’Appello , sia nel ricorso -secondo cui la restituzione nel termine per appellare la sentenza contumaciale, ai sensi dell’art. 175, comma secondo, cod. proc. pen., nel testo vigente prima dell’entrata in vigore della l. 28 aprile 2014, n. 67, comporta la facoltà per l’imputato, che non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento, di chiedere al giudice di appello di essere ammesso a un rito alternativo al dibattimento (Sez. U, n. 52274 del 29/9/2016, COGNOME, Rv. 268107 – 01).
Né è revocabile in dubbio che la nuova disciplina di cui all’art. 442, comma 2bis , cod. proc. pen., introdotto dall’art. 24, comma 1, lett. c), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, sia da ritenersi di natura sostanziale e, dunque, suscettibile di applicazione retroattiva ove più favorevole, con l’unico limite costituito dal giudicato, secondo la previsione generale dell’art. 2, quarto comma, cod. pen.: con la conseguenza che il beneficio dell’ulteriore riduzione di pena di un sesto per mancata impugnazione della sentenza di condanna si applica rispetto a sentenze di primo grado divenute irrevocabili dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022, pur se pronunciate antecedentemente (Sez. 1, n. 42681 del 27/9/2023,
COGNOME, Rv. 285394 -01; Sez. 1, n. 16054 del 10/3/2023, COGNOME, Rv. 284545 -01).
Alla luce di tali coordinate, si può, dunque, affermare, come correttamente premesso anche dall’ordinanza impugnata, che nella vicenda in questione: a) la sentenza di condanna di primo grado d i Ortega, al momento dell’entrata in vigore dell’art. 442, comma 2 -bis , cod. proc. pen., non poteva considerarsi non più impugnabile -e, quindi, irrevocabile – per effetto della dichiarazione di non esecutività che il giudice aveva dovuto adottare ai sensi degli artt. 175, comma 7, e 670, comma 3, cod. proc. pen.; b) nel giudizio di appello, conseguente alla impugnazione proposta a seguito della restituzione in termini, COGNOME era tornato nella condizione di richiedere la definizione del processo con un rito alternativo.
Ciò premesso, nel caso di specie il ricorrente, nel giudizio di appello celebrato dopo l’entrata in vigore della c.d. riforma Cartabia a seguito della rimessione in termini, ha proceduto ad un concordato ex art. 599bis cod. proc. pen., avente ad oggetto l’accoglimento dei motivi d’appello relativi al reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e una riduzione di pena per il rito abbreviato in relazione ai restanti reati.
Non risulta che l a conseguente sentenza della Corte d’Appello di Napoli sia stata fatto oggetto di ricorso per cassazione, che pure è ammesso, benché limitatamente a casi ben determinati (v. Sez. 1, n. 944 del 23.10.2019, dep. 2020, M., Rv. 276102 -01; Sez. 2, n. 22002 del 10/4/2019, COGNOME, Rv. 276102).
La peculiarità del caso sottoposto all’esame del collegio risiede nel fatto che non ha potuto trovare stretta applicazione lo schema procedimentale desumibile dal disposto del nuovo art. 442, comma 2bis , cod. proc. pen., il quale evidentemente presuppone che l’imputato sia stato ammesso al rito abbreviato nel giudizio di primo grado, secondo le norme variamente dettate in via generale dagli artt. 438, 449, comma 2, 458, 461, comma 3, 554ter , cod. proc. pen., e che la sentenza di condanna all’esito del giudizio non sia stata impugnata.
Non avrebbe potuto esigersi che tale schema venisse rispettato, tenuto conto che l’imputato, per effetto della restituzione nel termine ex art. 175 cod. proc. pen. per impugnare la sentenza contumaciale emessa in un dibattimento ordinario, era stato posto nella condizione di chiedere al giudice di appello di essere ammesso a un rito alternativo.
Dunque, egli, non solo non avrebbe potuto astenersi dal proporre impugnazione contro la sentenza di condanna, ovvero ciò per cui era stato specificamente rimesso in termini, ma soprattutto non avrebbe in alcun modo potuto formulare, se non appunto in appello, la richiesta di giudizio abbreviato, la
acquiescenza alla cui decisione determina l’applicazione della riduzione del sesto della pena prevista dal comma 2bis dell’art. 442 cod. proc. pen.
Si tratta, dunque, di valutare se il disposto della norma in questione trovi applicazione al solo caso dell’imputato condannato all’esito di giudizio abbreviato in primo grado che non frapponga appello o se non possa essere esteso al caso in cui, dopo l’entrata in vigore dell’art. 442, comma 2 -bis , cod. proc. pen., il processo definito in primo grado con giudizio ordinario penda nel grado di appello, nel quale per la prima volta l’imputato, a seguito della mancata conoscenza incolpevole del processo, sia nella condizione di chiedere eventualmente il giudizio abbreviato per essere stato restituito in termini ex art. 175 cod. proc. pen.
4. In questa prospettiva, sembra utile considerare che la riforma delineata sul punto dal d.lgs. n. 150 del 2022 ha lo scopo di ridurre la durata del procedimento penale celebrato con rito alternativo, favorendo la definizione del giudizio dopo la decisione di primo grado e senza dare luogo ai gradi successivi (appello, ove previsto, o giudizio di legittimità) quando la loro introduzione, alla luce della valutazione rimessa alla parte privata, non sia giustificata da un preminente interesse: a fronte della mancata impugnazione della sentenza, l’imputato otterrà, in sede esecutiva, l’ulteriore riduzione di un sesto della pena irrogata (Sez. 1, n. 49255 del 26/9/2023, Bartolomeo, in motivazione).
Si è affermato, pertanto, che è la radicale mancanza dell’impugnazione, che, determinando l’effetto deflattivo perseguito, integra il presupposto necessario per fruire della riduzione ulteriore della pena contemplata dal comma 2bis dell ‘art. 442, comma 2bis ; tanto è vero che la norma ha individuato nel giudice dell’esecuzione quello competente a sancire la riduzione, da ciò potendosi trarre conferma che la condizione legittimante la riduzione non può essere integrata dalla diversa fattispecie della rinuncia all’impugnazione già proposta, nel qual caso il giudice competente sarebbe stato individuato nello stesso giudice della cognizione che vi avrebbe provveduto nel contesto provvedimentale dichiarativo dell’inammissibilità sopravvenuta dell’impugnazione (Sez. 1, n. 51180 del 12/10/2023, COGNOME, in motivazione).
5. Se, dunque, la ratio dell’art. 442, comma 2 -bis , cod. proc. pen., è quella di favorire la contrazione dei tempi del procedimento, si può affermare che nel caso di specie tale effetto deflattivo si è effettivamente concretizzato nel giudizio d’appello e che ciò si è verificato per effetto della scelta dell’imputato , sia di accedere al rito alternativo sia di non impugnare la sentenza.
È vero che tale situazione è rimasta integrata solo nel giudizio di secondo grado, ma ciò è dipeso dalla mancata conoscenza del procedimento di primo grado,
con la conseguenza che il ricorrente, ottenuta la restituzione in termini, ha dovuto necessariamente impugnare la sentenza che aveva definito quel procedimento per evitare che acquisisse forza esecutiva. Resta, invece, il fatto che la sentenza d’appello , con cui era stata applicata in sede di cognizione la riduzione di un terzo per il rito abbreviato, non è stata impugnata.
Non vi è motivo, pertanto, per non riconoscere l’operatività del meccanismo premiale previsto dall’art. 442, comma 2 -bis , cod. proc. pen., cui consegue un ulteriore sconto di pena all’imputato : lo scopo perseguito dal legislatore con tale norma ‘ di ottenere un risparmio di tempi e di energie ‘ (Corte cost., sent. n. 208 del 2024) è stato concretamente assecondato.
Si deve ritenere, pertanto, che il requisito della radicale mancanza dell’impugnazione di cui all’art. 442, comma 2 -bis , cod. proc. pen. può essere preteso solo a fronte di una sentenza di condanna di primo grado emessa in un procedimento di cui l’imputato abbia avuto una conoscenza effettiva (tanto da avere potuto concretamente richiedere la definizione del giudizio allo stato degli atti) e va, quindi, inteso come riferibile, più in generale, alla sentenza emessa all’esito del procedimento foss’anche di secondo grado -cui l’ imputato sia stato nella condizione di partecipare effettivamente.
A ciò consegue, quindi, che l’ordinanza debba essere annullata limitatamente alla mancata applicazione della riduzione di cui all’art. 442, comma 2bis , cod. proc. pen.
Quanto, poi, alla doglianza relativa al rigetto della richiesta di applicazione di una ulteriore riduzione di pena per effetto della già avvenuta concessione dell’indulto in relazione ai reati oggetto della sentenza di cui si è fin qui trattato, l’ordinanza impugnata non è censurabile sul punto.
L’applicazione dell’indulto ex L. n. 241 del 2006 richiede un provvedimento del giudice, che può intervenire direttamente in sede di cognizione con la sentenza di condanna ove sia stata emessa dopo l’entrata in vigore della legge stessa, oppure, a i sensi dell’art. 672 cod. proc. pen., in sede di esecuzione con ordinanza resa dopo aver proceduto, a norma dell’art. 667, comma 4, cod. proc. pen., su istanza di parte.
Ebbene, non ha trovato riscontro la prospettazione difensiva, offerta sin dall’incidente di esecuzione e riproposta nel ricorso per cassazione, secondo cui l’indulto sarebbe stato già applicato dal Tribunale di Napoli, sicché l’ordine di esecuzione del pubblico ministero del 2024 erroneamente non ne avrebbe tenuto conto quando ha determinato la pena da espiare.
In realtà, il difensore non è riuscito a dare dimostrazione se non della circostanza che nel precedente ordine di esecuzione del 2021 la Procura Generale
aveva dato atto di avere richiesto al giudice dell’esecuzione l’applicazione dell’indulto.
Ma la Corte d’Appello di Napoli attesta nell’ordinanza impugnata che nessun provvedimento del giudice dell’esecuzione applicativo del condono è mai stato adottato (anche perché richiesto per titoli di reato che, ai sensi dell’art. 1, comma 2. lett. b, L. n . 241 del 2006, erano espressamente esclusi dall’ambito di applicazione dell’indulto) , mentre il ricorso avversa genericamente il rigetto sul punto, reiterando la doglianza nei medesimi termini ma senza confrontarsi con la motivazione del provvedimento.
Questa parte del motivo di ricorso, pertanto, deve essere disattesa.
7. Alla luce di quanto fin qui osservato, dunque, l’ordinanza impugnata come già sopra anticipato -deve essere annullata limitatamente alla mancata applicazione della riduzione di cui all’art. 442, comma 2bis , cod. proc. pen.
L’annullamento deve essere pronunciato senza rinvio, potendosi procedere direttamente in questa sede alla rideterminazione della pena nei limiti di un sesto già prefissati dalla legge: di conseguenza, la pena inflitta al ricorrente con la sentenza della Corte d’Appello di Napoli del 20.11.2023 (irrevocabile il 27.4.2024) deve essere rideterminata nella misura di anni quattro, mesi cinque, giorni dieci di reclusione ed euro 13.333 di multa.
Nel resto, il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata, limitatamente alla mancata applicazione della riduzione di cui all’art. 442, comma 2 bis, c.p.p., che dispone, e ridetermina la pena inflitta in anni quattro, mesi cinque, giorni dieci di reclusione e euro 13.333 di multa. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 7.3.2025