Riduzione Pena Collaboratore: i Limiti del Ricorso secondo la Cassazione
La riduzione pena collaboratore di giustizia è un istituto cruciale nel contrasto alla criminalità organizzata, ma la sua applicazione non è automatica né garantita nella massima estensione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 21743/2024) ha ribadito i confini del sindacato di legittimità su questo tema, sottolineando l’ampio potere discrezionale del giudice di merito. Analizziamo insieme la decisione e le sue implicazioni.
Il Caso in Esame
La vicenda giudiziaria riguarda un soggetto condannato per reati di eccezionale gravità, tra cui omicidio aggravato. In sede di appello, la Corte di Assise di Appello, pur riconoscendo la circostanza attenuante speciale della collaborazione (art. 416 bis.1 c.p.), aveva rideterminato la pena senza applicare la riduzione nella sua massima estensione possibile.
I motivi del ricorso in Cassazione
L’imputato ha presentato ricorso alla Suprema Corte lamentando proprio questa mancata applicazione della massima riduzione di pena. Secondo la difesa, la Corte d’Appello avrebbe violato la legge e motivato in modo insufficiente la sua decisione, limitando un beneficio che, a suo dire, doveva essere concesso in misura più ampia.
La Riduzione Pena Collaboratore e il Potere del Giudice
Il cuore della questione ruota attorno alla natura del potere del giudice nel quantificare lo sconto di pena per chi collabora con la giustizia. L’articolo 133 del codice penale conferisce al giudice un potere discrezionale nella commisurazione della pena, da esercitare sulla base di criteri specifici come la gravità del reato e la capacità a delinquere del reo. Questo potere si estende anche alla valutazione delle circostanze, come quella della collaborazione.
La tardività delle dichiarazioni come fattore decisivo
La Corte di Cassazione, nel dichiarare il ricorso inammissibile, ha evidenziato come la Corte d’Appello avesse fornito una motivazione logica e coerente. In particolare, i giudici di merito avevano dato peso alla ‘tardività delle dichiarazioni’ del collaboratore, un fattore che aveva reso più difficoltosa l’attività degli inquirenti. Questa valutazione, essendo priva di vizi logici evidenti, è stata ritenuta insindacabile in sede di legittimità.
Le Motivazioni della Suprema Corte
La Cassazione ha chiarito che il ricorso, sebbene formalmente presentato come una ‘violazione di legge’, in realtà mirava a una nuova e diversa valutazione del merito della vicenda. Il ricorrente, infatti, non contestava l’errata applicazione di una norma, ma la logicità della motivazione con cui il giudice aveva esercitato il suo potere discrezionale.
Gli Ermellini hanno ribadito un principio consolidato: il giudizio di Cassazione non è un terzo grado di merito. Non è possibile, in questa sede, sollecitare una ‘lettura alternativa’ degli elementi di prova o delle valutazioni fattuali già compiute dai giudici dei gradi precedenti. Il compito della Suprema Corte è verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione, non sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito. Poiché la motivazione della Corte d’Appello era coerente e adeguata, il ricorso è stato dichiarato manifestamente infondato e quindi inammissibile.
Conclusioni
L’ordinanza in esame offre importanti spunti di riflessione. In primo luogo, conferma che la riduzione pena collaboratore non è un automatismo matematico, ma il risultato di una valutazione discrezionale del giudice, che deve essere adeguatamente motivata. In secondo luogo, sottolinea come la tempestività e l’utilità concreta della collaborazione siano elementi centrali per ottenere il massimo beneficio possibile. Infine, ribadisce i limiti strutturali del ricorso per Cassazione: non si può chiedere alla Suprema Corte di riesaminare i fatti, ma solo di controllare la legalità e la logicità della decisione impugnata.
È possibile ricorrere in Cassazione per ottenere una maggiore riduzione di pena come collaboratore di giustizia?
No, se il ricorso non contesta una violazione di legge ma si limita a criticare la valutazione discrezionale del giudice di merito (come la quantificazione della riduzione), quando questa sia supportata da una motivazione logica e coerente. Il ricorso sarebbe un tentativo inammissibile di ottenere un nuovo giudizio sui fatti.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le censure sollevate erano manifestamente infondate e miravano a sollecitare una lettura alternativa dei fatti, non consentita in sede di legittimità. La motivazione della Corte territoriale sull’esercizio del potere discrezionale era stata ritenuta coerente e adeguata.
Quale elemento è stato decisivo per la Corte nel non concedere la massima riduzione di pena?
L’elemento decisivo, valorizzato dalla Corte di merito e ritenuto legittimo dalla Cassazione, è stata la ‘tardività delle dichiarazioni’ del collaboratore. Questo ritardo ha reso più difficili le attività degli inquirenti, giustificando così una riduzione di pena inferiore al massimo previsto dalla legge.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 21743 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 21743 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a CASTELLAMMARE DI STABIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 26/09/2023 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
Rilevato che con la sentenza impugnata la Corte di Assise di Appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza di condanna pronunciata dal Gip del Tribunale di Napoli del 7/10/2021 ha ritenuto la sussistenza della circostanza attenuante di cui all’art. 416 bis.1, comma primo, cod. pen. e, riconosciuta la diminuente di cui all’art. 416 bis.1, comma terzo, cod. pen. con le già concesse attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, ha rideterminato la pena in anni otto di reclusione e confermato nel resto la condanna nei confronti di COGNOME in relazione al reato di cui agli artt. 575, 577, 416 bis.1 cod. pen.;
Rilevato che con il ricorso si deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla mancata applicazione nella massima estensione della riduzione di pena prevista dall’art. 416 bis.1, comma terzo, cod. pen.
Rilevato che le doglianze oggetto del ricorso, formulata anche nei termini della violazione di legge ma che afferisce esclusivamente la logicità della motivazione, è manifestamente infondata in quanto la Corte territoriale, con il riferimento alla tardività delle dichiarazioni, tanto che le attività degli inquirenti sono state difficoltose, ha dato coerente e adeguato conto dell’esercizio del potere discrezionale riconosciuto al giudice di merito nell’applicazione dei criteri di cui all’a rt. 133 cod. pen. e ciò, in assenza di evidenti vizi logici, rende insindacabile la conclusione sul punto (Sez. Un. n. 12602 del 17/12/2015, dep. Rv. 266818; Sez. 7, n. 10481 del 19/01/2022, Deplano, Rv. 283044 – 01);
Ritenuto pertanto che il ricorso è inammissibile in quanto i criteri di giudizio applicati sono corretti e le censure sono pertanto manifestamente infondate e comunque tese a sollecitare una diversa e alternativa lettura che non è consentita in questa sede (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv 280601; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Furlan, Rv. 276062);
Considerato che alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il contenuto del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento della somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 18/4/2024