Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 8115 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 8115 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 14/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOME, nato a Carrara il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 2/5/2023 della Corte di appello di Brescia
Visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO; udito il AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo di rigettare il ricorso; udito l’AVV_NOTAIO, difensore del ricorrente, che ha concluso chiedendo di accogliere il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 2 maggio 2023 la Corte di appello di Brescia ha confermato la sentenza emessa il 2 novembre 2021 dal Tribunale di Mantova,
con cui NOME COGNOME è stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per il reato di cui all’art. 385 cod. pen.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, che ha dedotto la violazione della legge, per essere stata rigettata l’istanza di rimessione in termini per proporre giudizio abbreviato, formulata con motivo aggiunto, depositato il 15 aprile 2023. Il ricorrente ha osservato che, nelle more tra la pronuncia di primo grado e la celebrazione del giudizio di appello, il D.Igs. n. 150 del 2022 aveva introdotto l’art. 442, comma 2 bis, cod. proc. pen., che prevede, in caso di sentenza di condanna emessa a seguito di rito abbreviato, la riduzione da parte del giudice dell’esecuzione di 1/6 della pena inflitta, nell’ipotesi di mancata impugnazione.
Il ricorrente ha esposto di avere rappresentato al giudice di appello che, in caso di ammissione al rito alternativo, avrebbe rinunciato agli altri motivi di appello e chiesto l’applicazione di una sanzione ridotta di un terzo, convertita in pena pecuniaria nel numero massimo di rate concedibili, previa ulteriore riduzione di 1/3. Con il rigetto dell’istanza, la Corte territoriale non avrebbe valutato l’ottica della riforma Cartabia, finalizzata sia alla deflazione dei processi sia, e soprattutto, alla valorizzazione delle misure sostitutive alla detenzione. Una interpretazione diversa da quella favorevole alla riduzione della pena imporrebbe di rimettere la questione al vaglio della Corte costituzionale, in quanto costituirebbe una violazione dei diritti garantiti dagli artt. 3, 24, 111 Cost. e dall’art. 6 CEDU, oltre che dell’art. 2 cod. pen., poiché gli imputati verrebbero ad essere trattati irragionevolmente in maniera diversa in ragione soltanto della maggiore o minore lentezza della Procura e dei Tribunali nel trattare le loro vicende processuali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
L’art. 24, lett. c), D.Igs. n. 150 del 2022 ha introdotto il comma 2-bis dell’art. 442 cod. proc. pen., secondo cui «quando né l’imputato, né il suo difensore hanno proposto impugnazione contro la sentenza di condanna, la pena inflitta è ulteriormente ridotta di un sesto dal giudice dell’esecuzione», che vi provvede de plano ex art. 676, comma 1, e 667, comma 4, cod. proc. pen.
Il presupposto, per l’applicazione dell’ulteriore sconto di pena in sede esecutiva, è l’irrevocabilità della decisione di primo grado per mancata proposizione dell’impugnazione da parte dell’imputato (quando è ammessa l’impugnazione personale) e del difensore. La riforma introdotta dal D.Igs. n. 150
del 2022 ha, infatti, lo scopo di ridurre la durata del procedimento penale, favorendo la definizione della causa dopo la decisione di primo grado.
Come già affermato da questa Corte (tra le altre, cfr: Sez. 1, n. 16054 del 10/03/2023, Moccia, Rv. 284545 – 01), il novello art. 442, comma 2 bis, cit. non si applica retroattivamente ai procedimenti penali pendenti in fase di impugnazione né a quelli definiti con sentenza divenuta irrevocabile prima dell’entrata in vigore del D.Igs. n. 150 del 2022, essendo soggetto al principio tempus regit actum. Ciò non viola il principio di retroattività della lex mitíor, che riguarda le sole disposizioni che definiscono i reati e le pene, che li sanzionano (mentre l’art. 442, comma 2-bis cod. proc. pen. ha natura mista, cioè processuale e sostanziale), né quelli di eguaglianza e di responsabilità penale, in quanto il trattamento sanzionatorio difforme tra chi nel corso del primo grado ha optato per il rito dibattimentale e colui che, invece, ha chiesto il giudizio abbreviato e poi non ha presentato impugnazione avverso la relativa condanna non può essere percepito come ingiusto, in quanto conseguenza di diverse scelte processuali.
Il legame esistente tra la mancata proposizione dell’impugnazione e l’irrevocabilità della sentenza di primo grado, elementi che rendono applicabile l’ulteriore sconto di pena disposto dal giudice dell’esecuzione, rende evidente che, nel caso in esame, non può porsi alcuna questione di restituzione nel termine, posto che l’atto che impedisce l’accesso alla riduzione di pena è già stato compiuto e ha introdotto la fase processuale dell’impugnazione; fase che la norma premiale vuole evitare.
3.1. Quanto alla rinuncia ai motivi, pure prospettata dalla difesa, è sufficiente rilevare che l’atto abdicativo, mai presentato, non potrebbe comunque porre nel nulla il giudizio di appello che si è già svolto (Corte Cost. sentenza n. 155 del 1990; Sez. U, n. 16101 del 27/03/2002, D., Rv. 221278).
Del resto, non è concepibile una richiesta di restituzione nel termine non già collegata alla necessità di compiere un atto del processo ma finalizzata, invece, a revocare un atto processuale che si è tempestivamente proposto e che, oggi, si vorrebbe porre nel nulla.
3.2. Alla luce di quanto precede deve affermarsi che è corretta la decisione della Corte di appello di rigettare la richiesta del ricorrente, tesa ad ottenere la restituzione nel termine per proporre giudizio abbreviato, al fine di usufruire della riduzione della pena ai sensi dell’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen..
In definitiva, precisato, inoltre, che le argomentazioni esposte al § 2 rendono evidente che non può accogliersi la sollecitazione del ricorrente a sollevare questione di illegittimità costituzionale, deve affermarsi che il ricorso è inammissibile e ciò comporta, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché – non sussistendo ragioni di esonero – della sanzione pecuniaria, equitativamente determinata in euro 3.000,00, in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
Così deciso il 14/2/2024