Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 13103 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 13103 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TARANTO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 19/05/2023 del GIP TRIBUNALE di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette/sentite le conclusioni del PG
Il Procuratore generale, NOME COGNOME, chiede il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME ricorre avverso l’ordinanza del 19 maggio 2023 del G.i.p. del Tribunale di Milano che, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza volta a ottenere la riduzione di un sesto della pena ex art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen., in ordine ai procedimenti definiti con sentenza definitiva il 4 april 2021, e con sentenza definitiva il 18 dicembre 2021.
Il giudice dell’esecuzione ha evidenziato che le sopra indicate sentenze erano divenuta irrevocabili prima dell’entrata in vigore della norma di cui all’art. 442 comma 2-bis, cod. proc. pen., che quindi non poteva trovare applicazione.
Il ricorrente denuncia erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 2, quarto comma, cod. pen., perché il giudice dell’esecuzione, rigettando la domanda in forza del fatto che le sentenze di condanna erano divenute irrevocabili prima dell’entrata in vigore della norma che ha introdotto il comma 2-bis nell’art. 442 cod. proc. pen., avrebbe omesso di considerare che la norma generale di cui all’art. 2, quarto comma, cod. pen. non poteva più essere condizionata e impedita dall’intervento del giudicato del provvedimento di condanna.
Il ricorrente, infatti, ritiene che l’assunto secondo il quale la retroattivit norma favorevole sopravvenuta non sia ammissibile dopo la sentenza definitiva o il decreto penale di condanna esecutivo debba essere rivalutato in forza del fatto che tale retroattività è legata al principio di uguaglianza e ragionevolezza ex art. 3 Cost.
Secondo il ricorrente, quindi, l’affermarsi nel tempo di valori ritenuti d maggiore rilevanza dell’intangibilità del giudicato (quali, ad esempio, la legalità della pena, la libertà personale e la rieducazione del reo) avrebbero dovuto far rivalutare il dogma del giudicato, unitamente a una differente concezione del principio di retroattività (come già avviene per gli istituti di cui agli artt. 625 630, 669 e 671 cod. proc. pen., nonché di cui all’art. 30 legge 11 marzo 1953, n. 87)
Il ricorrente, pertanto, solleva questione di legittimità costituzionale dell’ar 2, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui non consente l’applicazione della lex mitior in presenza del giudicato, anche alla luce del valore che il principio di retroattività favorevole ha assunto nell’ambito della giurisprudenza comunitaria, secondo la quale il procedimento penale non si conclude con il giudicato, bensì con la cessazione dell’esecuzione della pena, e alla luce del fatto che la giurisprudenza
di legittimità più volte ha avuto modo di chiarire che i principi della liber personale e di legalità della pena non sono meno importanti del principio di stabilità dei rapporti giuridici.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Giova in diritto ricordare che l’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 24, comma 1, lett. c), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, stabilisce che «quando né l’imputato, né il suo difensore hanno proposto impugnazione contro la sentenza di condanna, la pena inflitta è ulteriormente ridotta di un sesto dal giudice dell’esecuzione», il quale vi provvede de plano ai sensi degli artt. 676, comma 1 e 667, comma 4, cod. proc. pen.
Sul punto, la giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di chiarire come sia manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen. per contrasto con gli artt. 3, 25, 27 e 117 Cost. in relazione all’art. 7 CEDU, nella parte in cui non prevede che il beneficio dell’ulteriore riduzione di pena di un sesto per mancata impugnazione della sentenza di condanna si applichi anche ai procedimenti penali pendenti in fase di impugnazione e a quelli definiti con sentenza divenuta irrevocabile prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, posto che la condizione processuale che ne consente l’applicazione, costituita dall’irrevocabilità della sentenza per mancata impugnazione, in quanto soggetta al principio del tempus regit actum, è ravvisabile solo rispetto a sentenze di primo grado divenute irrevocabili dopo l’entrata in vigore dell’indicato decreto legislativo, pur s pronunciate antecedentemente, sicché non risulta violato né il principio di retroattività della lex mitior, che riguarda le sole disposizioni che definiscono i reati e le pene che li sanzionano e la cui applicazione è preclusa ex art. 2, comma quarto, cod. pen. ove sia stata pronunziata sentenza definitiva, né quelli di eguaglianza e di responsabilità penale, in quanto il trattamento sanzionatorio difforme è giustificato dalla diversità delle situazioni da disciplinare e non può essere percepito come ingiusto dal condannato che abbia inteso perseguire il medesimo obiettivo con una diversa scelta processuale (Sez. 1, n. 42681 del 27/09/2023, Proshka, Rv. 285394).
In forza di quanto sopra, il Collegio ritiene infondata la questione di legittimit costituzionale dell’art. 2, quarto comma, cod. pen.; sul punto, si evidenzia che la nuova disciplina, rispetto alla quale non sono state previste disposizioni transitorie, ha natura sostanziale, con conseguente possibilità di applicazione retroattiva ove più favorevole, con l’unico limite costituito dal giudicato, secondo la previsione
generale dell’art. 2, quarto cornma, cod. pen., che la Corte costituzionale ha già ritenuto legittimo, riconoscendone il fondamento nella «esigenza di salvaguarda la certezza dei rapporti ormai esauriti» (Corte cost., 20 maggio 1980, n. 74).
D’altronde, sempre la Corte costituzionale, con la sentenza n. 236 del 2011, ha avuto modo di chiarire che, «se si ritenesse che il principio di retroattività della legge penale più favorevole, affermato dalla Corte di Strasburgo, si differenzi per la sua rigidità da quello che aveva già trovato riconoscimento nella giurisprudenza di questa Corte, nel senso che tale principio non tollera deroghe o limitazioni giustificate da situazioni particolari, se ne dovrebbe vedere in questa sua caratteristica il profilo veramente innovativo, fermo rimanendo in ogni caso che il momento in cui la norma CEDU va ad integrare il primo comma dell’art. 117 Cost., da questo ripete il suo rango nel sistema delle fonti, con tutto ciò che segue, in termini di interpretazione e bilanciamento, che sono le ordinarie operazioni cui questa Corte è chiamata in tutti i giudizi di sua competenza (sentenza n. 317 del 2009).
Dalla sentenza della Corte europea del 17 settembre 2009 (Scoppola contro Italia) però non emerge una novità siffatta.
Nulla la Corte ha detto per far escludere la possibilità che, in presenza di particolari situazioni, il principio di retroattività in mítius subisca deroghe o limitazioni: è un aspetto che la Corte non ha considerato, e che non aveva ragione di considerare, date le caratteristiche del caso oggetto della sua decisione.
È però significativo che la Corte abbia espressamente posto un limite, escludendo che il principio in questione possa travolgere il giudicato (nella sentenza si fa esclusivo riferimento a leggi penali posteriori adottate prima della pronuncia di una sentenza definitiva), diversamente da quanto prevede nel nostro ordinamento l’art. 2, secondo e terzo comma, cod. pen.».
In conclusione, il principio di retroattività della disposizione penale più favorevole al reo – previsto a livello di legge ordinaria dall’art. 2, secondo, terzo quarto comma, cod. pen. – non è stato costituzionalizzato dall’art. 25, secondo comma, Cost., che si è limitato a sancire l’irretroattività delle norme incriminatrici e, in generale, delle norme penali più severe: esso, dunque, ben può subire deroghe per via di legislazione ordinaria, quando ne ricorra una sufficiente ragione giustificativa.
Nel caso in esame, pertanto, l’ordinanza impugnata ha correttamente escluso la possibilità di applicazione retroattiva della nuova disciplina, considerato che le sentenze di condanna oggetto dell’istanza sono divenute irrevocabili prima dell’introduzione del comma 2-bis dell’art. 442 cod. proc. pen. ad opera del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150.
In forza di quanto sopra, il ricorso deve essere rigettato. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 07/12/2023