Rideterminazione pena stupefacenti: la Cassazione fissa i paletti temporali
La questione della rideterminazione pena stupefacenti a seguito degli interventi della Corte Costituzionale è un tema complesso e di grande rilevanza pratica. Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sui limiti applicativi della celebre sentenza n. 40 del 2019, chiarendo in quali casi non è possibile ottenere una riduzione della pena in fase esecutiva. La decisione sottolinea l’importanza del principio del tempus regit actum, ovvero l’applicazione della legge vigente al momento della commissione del reato, anche nel mutevole panorama legislativo in materia di droghe.
I fatti di causa
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un soggetto condannato per un reato concernente sostanze stupefacenti pesanti, commesso nell’agosto del 2013. L’interessato si era rivolto al giudice dell’esecuzione, la Corte di Appello di Lecce, chiedendo una revisione della propria pena. La richiesta si fondava sulla sentenza della Corte Costituzionale n. 40 del 2019, la quale aveva dichiarato illegittimo il minimo edittale di otto anni di reclusione per i reati di traffico di droghe pesanti, reintroducendo un trattamento sanzionatorio potenzialmente più favorevole.
La Corte di Appello aveva rigettato l’istanza. Contro tale decisione, il condannato ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo che la pronuncia della Consulta avrebbe dovuto comportare l’automatica caducazione della cornice edittale originaria e la sua sostituzione con una più mite, obbligando così il giudice a rimodulare la pena in melius.
L’impatto della rideterminazione pena stupefacenti e la successione di leggi
Per comprendere la decisione della Suprema Corte, è essenziale ricostruire la complessa successione di norme e sentenze costituzionali in materia.
1. Sentenza Cost. n. 32/2014: Questa pronuncia ha dichiarato incostituzionale la c.d. legge “Fini-Giovanardi”, che aveva parificato il trattamento sanzionatorio per droghe leggere e pesanti. L’effetto di questa sentenza è stato la “reviviscenza” della normativa precedente, la quale, però, per le droghe pesanti prevedeva un minimo di pena detentiva di otto anni, superiore ai sei anni previsti dalla legge dichiarata incostituzionale. Per il principio di legalità e di irretroattività della legge penale sfavorevole, questo trattamento più severo poteva applicarsi solo ai reati commessi dopo la pubblicazione della sentenza del 2014.
2. Sentenza Cost. n. 40/2019: Successivamente, la Corte Costituzionale è intervenuta proprio su quel minimo edittale di otto anni “resuscitato” dalla sentenza del 2014, dichiarandolo a sua volta incostituzionale per violazione del principio di proporzionalità della pena.
Il ricorrente nel caso di specie basava la sua richiesta proprio su quest’ultima sentenza. Tuttavia, il suo ragionamento non ha convinto la Cassazione.
Le motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza. Il punto cruciale della motivazione risiede nel momento in cui è stato commesso il reato: 8 agosto 2013.
A quella data, non era ancora intervenuta la sentenza n. 32 del 2014. Di conseguenza, la cornice edittale applicabile al fatto era quella, più favorevole, che prevedeva un minimo di pena di sei anni, e non quella successiva (e più severa) di otto anni.
La sentenza della Corte Costituzionale n. 40 del 2019, che ha inciso sul minimo di otto anni, è quindi, secondo la Cassazione, “palesemente priva di influenza” per i fatti commessi prima della sentenza n. 32 del 2014. In altre parole, non si può chiedere di beneficiare di una sentenza che ha dichiarato incostituzionale una norma più sfavorevole che, per ragioni temporali, non è mai stata applicabile al proprio caso. Il ricorrente era già stato giudicato sulla base della cornice edittale più mite (minimo sei anni) e non poteva, quindi, invocare una successiva pronuncia che ha mitigato una pena più aspra a lui mai applicata.
Conclusioni
La decisione riafferma un principio fondamentale nell’applicazione delle sentenze della Corte Costituzionale in materia penale: la loro efficacia retroattiva in bonam partem trova un limite logico e giuridico nella situazione specifica del condannato. La possibilità di ottenere una rideterminazione pena stupefacenti è legata indissolubilmente alla normativa effettivamente applicata nel giudizio di cognizione. Se il condannato è già stato sanzionato secondo la cornice edittale più favorevole disponibile al momento del fatto, non può beneficiare di interventi correttivi successivi che riguardano regimi sanzionatori più severi e a lui mai applicati. La Corte ha inoltre condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, a causa della palese infondatezza del ricorso.
Perché la richiesta di riduzione della pena è stata respinta?
La richiesta è stata respinta perché il reato era stato commesso nel 2013. A quell’epoca, la legge prevedeva una pena minima più favorevole (sei anni) rispetto a quella (otto anni) introdotta dalla reviviscenza normativa causata dalla sentenza Costituzionale n. 32/2014. Di conseguenza, la sentenza n. 40/2019, che ha abbassato la pena minima da otto anni, non era applicabile al suo caso.
Qual è l’effetto principale della sentenza della Corte Costituzionale n. 40 del 2019?
L’effetto principale di tale sentenza è stato dichiarare l’illegittimità costituzionale del minimo edittale di otto anni di reclusione per i reati legati alle droghe pesanti, che era tornato in vigore dopo la sentenza n. 32 del 2014. Questo impone una revisione del trattamento sanzionatorio per coloro che sono stati condannati sulla base di quel minimo edittale più severo.
Una sentenza della Corte Costituzionale che rende una pena più favorevole si applica sempre retroattivamente?
Sì, in linea di principio una sentenza della Corte Costituzionale che rende una pena più favorevole ha efficacia retroattiva. Tuttavia, come chiarito in questo caso, la sua applicazione concreta dipende dalla normativa effettivamente in vigore e applicata al momento del reato. Non si può beneficiare di una sentenza che mitiga una norma più severa se quella norma non era applicabile al proprio caso.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3237 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 3237 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 12/10/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a VIBO VALENTIA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 08/03/2023 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
NOME COGNOME ricorre per cassazione, tramite il difensore di fiducia, avverso l’ordinanza in epigrafe, con la quale la Corte di appello di Lecce, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato la sua istanza, intesa alla rideterminazione della pena a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019. Nell’unico motivo deduce violazione di legge: secondo il ricorrente, la menzionata sentenza implicherebbe, rispetto ai fatti già giudicati, la caducazione della cornice edittale di riferimento, e la sua sostituzione con una cornice più favorevole, onde il giudice dell’esecuzione sarebbe stato obbligato a rimodulare in melius la pena.
Il ricorso è inammissibile, perché aspecifico e manifestamente infondato.
Occorre rammentare che, in tema di disciplina penale degli stupefacenti, la reviviscenza dell’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49 – determinatasi per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014 – resuscitò, per le droghe cosiddette pesanti, quali quelle di causa, un trattamento sanzionatorio meno favorevole per il reo (il minimo di pena detentiva salì da sei ad otto anni), applicabile tuttavia, in base al principio di legalità, solo ai fatti di reato commessi successivamente alla declaratoria di illegittimità costituzionale. Sono questi i fatti interessati dalla successiva sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del superiore minimo edittale; sentenza la cui adozione impone ora, in linea di principio, la rivisitazione in executivis del trattamento sanzionatorio (tra le molte, Sez. 1, n. 2036 del 11/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278198-01). Alle condotte, aventi ad oggetto droghe pesanti, che fossero state commesse nel corso della vigenza delle disposizioni attinte dalla sentenza costituzionale n. 32 del 2014, anche se giudicate dopo la pubblicazione di quest’ultima le disposizioni medesime continuavano ad applicarsi (Sez. 5, n. 14863 del 21/12/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 281138-02; Sez. 4, n. 46415 del 22/06/2018, P., Rv. 273990- 01). Tali condotte sono già state sanzionate secondo la cornice edittale avente sei anni (e non otto) di pena detentiva minima. Rispetto ad esse – e la condotta di causa, posta in essere il 08/08/2013, vi rientra – la sentenza costituzionale n. 40 del 2019 è palesemente priva di influenza, come correttamente rilevato dal G.E. nell’impugnata ordinanza.
Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – per i profili di colpa connessi all’irritualità dell’impugnazione (Corte cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende che si stima equo determinare, in rapporto alle questioni dedotte, in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2023.