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Rideterminazione pena pecuniaria: la Cassazione decide

La Cassazione ha annullato un’ordinanza che negava la rideterminazione pena pecuniaria a un condannato. A seguito di una sentenza della Corte Costituzionale che ha abbassato il valore minimo giornaliero per la conversione della pena, il giudice dell’esecuzione deve procedere a una nuova valutazione, anche in presenza di una sentenza definitiva, interpellando le parti.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rideterminazione Pena Pecuniaria: L’Impatto delle Sentenze Costituzionali sul Giudicato Penale

Una sentenza definitiva può essere modificata? In linea di principio, no. Tuttavia, il sistema giuridico prevede delle eccezioni, specialmente quando interviene la Corte Costituzionale a modificare le regole del gioco. Un recente caso esaminato dalla Corte di Cassazione ha riaffermato l’obbligo per il giudice di procedere alla rideterminazione pena pecuniaria quando i criteri di calcolo vengono dichiarati incostituzionali, anche se la condanna è già passata in giudicato. Questa pronuncia chiarisce il concetto di “flessibilità del giudicato” e delinea il corretto percorso che il giudice dell’esecuzione deve seguire.

I Fatti del Caso: Dalla Condanna alla Richiesta di Revisione

La vicenda trae origine da una condanna per un reato tributario. L’imputato, attraverso un patteggiamento, aveva visto la sua pena detentiva di 4 mesi di reclusione convertita in una pena pecuniaria di 30.000 euro. Tale conversione era stata effettuata sulla base di un valore giornaliero di 250 euro, che all’epoca rappresentava il minimo previsto dalla legge (art. 53, L. n. 689/1981).

Successivamente, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 28 del 2022, ha dichiarato illegittima quella norma, stabilendo che il valore minimo giornaliero per la conversione non dovesse essere 250 euro, ma 75 euro. Forte di questa pronuncia, il condannato ha chiesto al Giudice dell’esecuzione di ricalcolare la sua pena pecuniaria sulla base del nuovo e più favorevole parametro.

La Decisione del Giudice dell’Esecuzione

Contrariamente alle aspettative, il Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Torino ha rigettato la richiesta. Le sue motivazioni si basavano su tre punti principali:
1. La situazione economica del condannato non era tale da giustificare una riduzione.
2. L’importo di 250 euro al giorno rientrava comunque nei limiti massimi di legge (all’epoca e oggi fissati a 2.500 euro).
3. La pena originaria era comunque congrua e proporzionata alla gravità del reato.
In sostanza, il giudice ha ritenuto di non dover intervenire su una pena che, sebbene calcolata con un parametro minimo poi dichiarato incostituzionale, era formalmente legittima al momento della sua applicazione.

La Sentenza della Cassazione e la Rideterminazione Pena Pecuniaria

La Corte di Cassazione ha completamente ribaltato la decisione di primo grado, accogliendo il ricorso del condannato. I giudici supremi hanno chiarito che il rigetto della richiesta di rideterminazione pena pecuniaria era errato. Il principio fondamentale applicato è quello della “flessibilità del giudicato”.

Questo principio stabilisce che quando una sentenza della Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità di una norma penale che non riguarda il reato in sé, ma la commisurazione della sanzione (come in questo caso), e la pena non è stata ancora interamente eseguita, il giudice dell’esecuzione ha il dovere di intervenire per adeguare la pena ai nuovi parametri, in favore del condannato.

Le Motivazioni della Corte

La Cassazione ha spiegato che l’illegalità della sanzione non derivava dal superamento dei limiti massimi, ma dalla circostanza oggettiva che il quadro normativo di riferimento era cambiato. La pena era stata concordata e applicata sulla base di un paradigma (il minimo di 250 euro) che non esiste più perché dichiarato incostituzionale. Pertanto, il trattamento sanzionatorio era diventato illegale ex post.

Di fronte a questo mutamento, il giudice dell’esecuzione non aveva la discrezionalità di confermare la vecchia pena, ma avrebbe dovuto procedere a una “riduzione necessaria”. La Corte ha anche specificato la procedura corretta da seguire: il giudice avrebbe dovuto interpellare le parti (accusa e difesa) per tentare di raggiungere un nuovo accordo sulla pena, conformemente a quanto previsto dal codice di procedura penale (art. 188 disp. att. c.p.p.). Solo in caso di mancato accordo o di un accordo ritenuto incongruo, il giudice avrebbe potuto decidere autonomamente, applicando i criteri generali di commisurazione della pena.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

La sentenza in commento rafforza un principio di civiltà giuridica: gli effetti favorevoli di una declaratoria di incostituzionalità devono potersi estendere anche a chi è già stato condannato con sentenza definitiva, purché la pena non sia esaurita. La rideterminazione pena pecuniaria non è una facoltà, ma un obbligo per il giudice, che deve ripristinare la legalità della sanzione alla luce delle nuove norme. Questa decisione garantisce che nessuno sconti una pena calcolata sulla base di una legge che lo stesso ordinamento ha riconosciuto come ingiusta e contraria alla Costituzione.

Una sentenza della Corte Costituzionale può modificare una pena già diventata definitiva?
Sì. In base al principio della “flessibilità del giudicato”, se la sentenza della Corte Costituzionale dichiara incostituzionale una norma relativa alla commisurazione della sanzione (e non alla definizione del reato) e la pena non è stata ancora interamente eseguita, il giudice dell’esecuzione è tenuto a rideterminare la pena in favore del condannato.

Cosa deve fare il giudice dell’esecuzione se la Corte Costituzionale modifica i criteri per la conversione di una pena detentiva in pecuniaria?
Il giudice deve procedere a una “riduzione necessaria” della pena. La procedura corretta prevede di interpellare le parti (pubblico ministero e difesa) per cercare un nuovo accordo sulla sanzione. Solo in caso di mancato accordo o se l’accordo raggiunto è ritenuto incongruo, il giudice può decidere autonomamente secondo i criteri di legge.

Perché la pena originaria è stata considerata illegale dalla Cassazione, pur rientrando nei limiti di legge al momento dell’applicazione?
L’illegalità non deriva dal superamento dei limiti massimi, ma dalla circostanza che il parametro minimo utilizzato per il calcolo della conversione (250 euro giornalieri) è stato successivamente dichiarato incostituzionale. La pena, quindi, si basava su un presupposto normativo che è stato rimosso dall’ordinamento, rendendo il trattamento sanzionatorio oggettivamente non più conforme alla legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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