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Rideterminazione pena: no se il rito non è ammesso

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un condannato all’ergastolo che chiedeva la rideterminazione pena a trent’anni di reclusione. La richiesta si basava su una normativa transitoria che apriva al giudizio abbreviato per i reati puniti con l’ergastolo. La Corte ha stabilito che, non essendo mai stato ammesso al rito abbreviato, il ricorrente non poteva beneficiare della relativa riduzione di pena. La normativa in questione è stata qualificata come processuale, soggetta al principio ‘tempus regit actum’, e non come norma penale sostanziale più favorevole, escludendo così l’applicazione retroattiva.

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Pubblicato il 25 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rideterminazione pena e giudizio abbreviato: la Cassazione fa chiarezza

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 38622 del 2024, torna a pronunciarsi su un tema complesso e dibattuto: la possibilità di ottenere una rideterminazione pena per i condannati all’ergastolo a seguito delle modifiche normative sul giudizio abbreviato. La decisione ribadisce un orientamento consolidato, distinguendo nettamente tra norme processuali e sostanziali e tracciando i confini applicativi del principio della legge penale più favorevole. Questo caso offre spunti cruciali per comprendere come il diritto si adatta nel tempo e quali sono i limiti del cosiddetto ius superveniens in fase esecutiva.

I fatti del caso

Il ricorrente era stato condannato in via definitiva alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno per sei mesi, con sentenza divenuta irrevocabile nel luglio 2002. Successivamente, ha avanzato istanza al giudice dell’esecuzione per ottenere la rideterminazione della pena in trent’anni di reclusione. La richiesta si fondava sull’applicazione di una normativa transitoria (art. 4-ter del d.l. n. 82/2000) che, per un breve periodo, aveva esteso la possibilità di accedere al giudizio abbreviato anche per i reati punibili con l’ergastolo, precedentemente esclusi.

Nel corso del suo processo d’appello, l’imputato aveva effettivamente chiesto l’ammissione al rito abbreviato, condizionandola però alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. La Corte d’assise d’appello dell’epoca respinse tale richiesta, ritenendo la rinnovazione superflua. Di conseguenza, l’imputato non fu mai ammesso al rito speciale e non poté beneficiare della relativa riduzione di pena.

La questione giuridica: rideterminazione pena e norme transitorie

Il nucleo della questione giuridica verte sulla natura della norma transitoria che consentiva l’accesso al rito abbreviato in appello. Il ricorrente sosteneva che tale norma avesse natura sostanziale, incidendo sulla quantità della pena, e che dovesse quindi applicarsi retroattivamente in base al principio della lex mitior (legge più favorevole), come sancito anche dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (caso Scoppola c. Italia).

Secondo questa tesi, il diniego all’ammissione al rito, dipeso da una scelta discrezionale del giudice d’appello sulla rinnovazione dell’istruttoria, avrebbe creato una disparità di trattamento irragionevole. La difesa chiedeva quindi che, in sede esecutiva, venisse sanata questa situazione, applicando retroattivamente il beneficio della sostituzione dell’ergastolo con la pena di trent’anni.

La decisione della Corte di Cassazione e la sua importanza per la rideterminazione pena

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. La decisione si allinea a una giurisprudenza ormai consolidata, sia della stessa Cassazione (anche a Sezioni Unite) che della Corte Costituzionale.

I giudici hanno ribadito che il principio discendente dalla sentenza Scoppola si applica solo a coloro che, in un preciso lasso di tempo, furono effettivamente ammessi al giudizio abbreviato. Non può essere esteso a chi, come il ricorrente, non ha mai avuto accesso a quel rito. Il presupposto essenziale per la conversione della pena è l’avvenuta ammissione al giudizio abbreviato, non la semplice richiesta.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione su una distinzione fondamentale: quella tra norme processuali e norme sostanziali. La norma transitoria invocata dal ricorrente (art. 4-ter d.l. n. 82/2000) non disciplina l’entità della pena (aspetto sostanziale), ma le condizioni e i termini per accedere a un rito alternativo (aspetto processuale). In quanto norma processuale, essa è soggetta al principio tempus regit actum, secondo cui gli atti del processo sono regolati dalla legge in vigore al momento del loro compimento.

Di conseguenza, non può trovare applicazione il principio di retroattività della legge penale più favorevole (lex mitior), che riguarda esclusivamente le norme sostanziali (quelle che definiscono i reati e le sanzioni). La Corte ha sottolineato che la scelta del legislatore di legare la possibilità di ‘recuperare’ il rito abbreviato in appello alla condizione della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale era una scelta ragionevole. Essa mirava a bilanciare l’estensione del beneficio con la funzione deflattiva del rito, che si realizza solo quando l’imputato rinuncia al pieno contraddittorio dibattimentale. Poiché nel caso del ricorrente il dibattimento si era già integralmente svolto senza rinnovazione, non vi era più spazio per una tale rinuncia.

Infine, la Corte ha evidenziato come le questioni sollevate fossero già state ampiamente esaminate e respinte in precedenti ricorsi dello stesso condannato, trovando un ostacolo insormontabile nel principio del giudicato esecutivo, che impedisce di rimettere in discussione all’infinito una condanna definitiva in assenza di nuovi e rilevanti elementi di diritto.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un importante principio di diritto: i benefici legati a un rito processuale, come la riduzione di pena per il giudizio abbreviato, sono inscindibilmente connessi all’effettiva celebrazione di quel rito secondo le regole vigenti in quel momento. La mancata ammissione, anche se dovuta a decisioni processuali dell’organo giudicante, non può essere ‘sanata’ a posteriori in sede esecutiva attraverso una richiesta di rideterminazione pena. La distinzione tra disciplina processuale e sostanziale rimane un cardine del nostro sistema, limitando l’applicazione retroattiva della lex mitior alle sole norme che incidono direttamente sul precetto penale o sulla sanzione.

È possibile ottenere la rideterminazione pena da ergastolo a 30 anni in base a norme successive che hanno modificato il giudizio abbreviato, anche se non si è stati ammessi a tale rito?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che il presupposto essenziale per la conversione della pena è l’effettiva ammissione al giudizio abbreviato. La sola richiesta, se respinta, non è sufficiente per ottenere il beneficio in fase esecutiva.

Le norme transitorie che regolano l’accesso al giudizio abbreviato sono considerate di natura sostanziale o processuale?
Secondo la sentenza, queste norme hanno natura meramente processuale. Esse non definiscono l’entità della sanzione, ma solo i termini e le condizioni per accedere a un rito alternativo. Pertanto, sono soggette al principio ‘tempus regit actum’ e non alla retroattività della legge più favorevole.

Perché il principio affermato nella sentenza europea Scoppola c. Italia non è stato applicato in questo caso?
Il principio della sentenza Scoppola non è stato applicato perché riguarda situazioni diverse. Quel principio si applica a chi era stato effettivamente ammesso al rito abbreviato durante un determinato periodo di vigenza normativa. Nel caso di specie, il ricorrente non è mai stato ammesso a tale rito, pertanto la sua situazione non è sovrapponibile a quella del caso Scoppola.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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