Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26027 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26027 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a MILANO il 04/02/1978
avverso l’ordinanza del 07/03/2025 della CORTE APPELLO di NAPOLI udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’o rdinanza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha dichiarato inammissibile l’istanza con cui NOME COGNOME aveva chiesto rideterminarsi la pena inflittagli con la sentenza del Tribunale di Napoli, in data 18 gennaio 2010 divenuta irrevocabile il 13 Aprile 2011, in relazione al reato previsto dall’articolo 73, commi 1 e 5, d.P.R. n. 309 del 1990 e 99, quarto comma, cod. pen. a seguito delle modifiche normative introdotte dal d.l. n. 146 del 2013, dal d.l. n. 36 del 2014 e della decisione della Consulta n. 251 del 2012, che ha dichiarato l’il legittimità costituzionale dell’articolo 69, quarto comma, cod. pen. nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della
circostanza attenuante di cui all’articolo 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 sulla recidiva di cui all’articolo 99, quarto comma, cod. pen.
A ragione osserva che il trattamento sanzionatorio, così come risulta dalla produzione documentale fornita dalle parti, risulta interamente espiato dal 17 Aprile 2019 al 4 aprile 2024 e che in tale peculiare situazione, come affermato dalla richiamata giurisprudenza di legittimità anche a Sezioni Unite, al giudice dell’esecuzione è precluso procedere all’invocata rideterminazione del la pena essendosi ormai prodotti effetti irreversibili.
Avverso questa decisione ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del suo difensore, NOME COGNOME sviluppando un unico motivo per violazione di legge con riferimento alla mancata applicazione del principio della fungibilità di cui all’articolo 657 cod. proc. pen.
Lamenta che l’ordinanza impugnata non ha tenuto conto che la pena inflitta con la sentenza del Tribunale di Napoli, in data 18 gennaio 2010 divenuta irrevocabile il 13 Aprile 2011, al momento della presentazione dell’istanza non era stata ancora interamente espiata posto che essa rientra in un cumulo ancora in esecuzione e che la carcerazione già sofferta, in applicazione del principio di fungibilità e del favor rei, deve essere imputata ad altra sentenza di condanna per un reato più grave, quella emessa dalla Corte di appello di Napoli in data 21 Aprile 2022, divenuta irrevocabile il 19 ottobre 2023, avente ad oggetto reati ostativi commessi prima della detenzione
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità per la genericità delle censure ed è comunque manifestamente infondato.
La giurisprudenza di legittimità ha sempre costantemente affermato che l’esaurimento del rapporto esecutivo costituisce causa ostativa alla rideterminazione della pena conseguente alla declaratoria di illegittimità costituzionale (ex multis Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014, COGNOME, Rv. 260697.)
Nel solco tracciato da questo consolidato orientamento è stato ribadito più di recente che «l’interesse concreto ed attuale del condannato alla rideterminazione della pena inflitta con sentenza irrevocabile sulla base di parametri edittali più favorevoli vigenti, a seguito di dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma penale riguardante il trattamento sanzionatorio, sussiste non solo se la pena non sia stata ancora interamente espiata, ma anche quando una quota della pena espiata in eccesso rispetto alla sopravvenuta cornice edittale più favorevole,
possa essere imputata alla condanna per altro reato, ai sensi dell’art. 657, comma terzo, cod. proc. pen., sempre che la detenzione in eccesso sia sofferta dopo la commissione del reato per cui si chiede la fungibilità» (Sez. 6, n. 27403 del 10/06/2016, COGNOME, Rv. 267365 più recente cfr. Sez. 1, n. 20248 del 19/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275811 -01; Sez. 1 n. 13072 del 03/03/2020, Candido Rv. 278893 – 01)
Si inserisce in questo filone anche Sez. 5, n. 27666 del 30/05/2019, COGNOME, 3 Rv. 276520, con la quale è stato affermato che «a seguito della sentenza Corte cost. n. 40 del 2019, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 73, comma 1 del d.P.R. n. 309 del 1990, nella parte in cui fissa in anni otto di reclusione, anziché in anni sei, il minimo edittale, deve ritenersi illegale la pena inflitta sulla base della cornice sanzionatoria previgente, quand’anche questa sia stata in concreto fissata in una misura compatibile con la forbice edittale attualmente in vigore e laddove sia stata già pronunciata sentenza irrevocabile di condanna e il trattamento sanzionatorio non sia stato interamente eseguito, l’intervento “correttivo” compete al giudice dell’esecuzione, che potrà avvalersi dei penetranti poteri di accertamento e di valutazione conferitigli dalla legge».
2. Quanto alla rideterminazione della pena a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 251 del 2012, questa Corte di cassazione ha precisato che per effetto delle sentenze della Corte costituzionale n. 251 del 2012 e n. 32 del 2014, il giudice dell’esecuzione, ove il trattamento sanzionatorio non sia stato ancora interamente eseguito, deve rideterminare la pena in favore del condannato pur se il provvedimento “correttivo” da adottare non è a contenuto predeterminato, potendo egli avvalersi di penetranti poteri di accertamento e di valutazione, fermi restando i limiti fissati dalla pronuncia di cognizione in applicazione di norme diverse da quelle dichiarate incostituzionali. (Sez. 1, Sentenza n. 53019 del 04/12/2014, COGNOME Rv. 261581 -01, che in motivazione la Corte ha precisato, stante la particolarità della fattispecie – relativa a sentenza di condanna per illecita detenzione di sostanza stupefacente, in cui era affermata l’equivalenza della circostanza attenuante ad effetto speciale di cui all’art. 73, comma quinto, d.P.R. 309/1990 con la ritenuta recidiva reiterata in ragione del divieto di prevalenza di cui all’art. 69, comma quarto, cod. pen. dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza n. 251 del 2012 – che il giudice dell’esecuzione nel rideterminare il trattamento sanzionatorio è tenuto ad applicare l’art. 73 d.P.R. n. 309/1990 nel testo ritornato in vigore a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014). (Vedi, n. 52981/2014 in corso di mass.).
Infine, con riguardo alle modifiche apportate all’art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, dal d.l. 23 dicembre 2013 n. 146, convertito dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10, ha evidenziato che «in quanto introduttive di un regime sanzionatorio più favorevole, integrano un fenomeno di successione nel tempo di leggi penali, sicché, ai fini della rideterminazione della pena in sede esecutiva, le stesse non possono trovare applicazione qualora la sentenza di condanna riguardi un fatto commesso anteriormente al 23 dicembre 2013, dovendosi in tal caso considerare la cornice edittale prevista dalla norma nel testo precedente le modifiche introdotte dal d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, dichiarate incostituzionali dalla sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014 ».
L’ordinanza impugnata , nel rigettare la richiesta di rideterminazione della pena, ha fatto corretta applicazione dei principi sin qui delineati.
Avendo preliminarmente verificato, attraverso la disamina del provvedimento di esecuzione di pene concorrenti in atti, che la pena inflitta a COGNOME per il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 con la sentenza del Tribunale di Napoli, in data 18 gennaio 2010 divenuta irrevocabile il 13 Aprile 2011, è stata interamente espiata alla data del 4 aprile 2024, ha correttamente concluso per l’ininfluenza della declaratoria di illegittimità costituzionale sull’esecuzione (già esaurita) delle pena inflitta con la predetta sentenza.
L’obiezione del ricorrente secondo cui la pena di cui è stata chiesta la rideterminazione, al momento della presentazione dell’istanza rigettata con l’ordinanza impugnata, non era stata ancora interamente espiata è formulata in termini generici, senza alcun riferimento concreto agli atti di causa e alle vicende processuali del condannato.
Non risulta, infatti, da alcun atto allegato al fascicolo processuale che, a seguito dell’ unificazione operata da un recente cumulo, la pena, originariamente determinata in contrasto con le decisioni della Consulta aventi efficacia retroattiva, sia ancora in esecuzione, dovendo essere imputata parte significativa di quella già scontata ad altra sentenza di condanna, quella emessa dalla Corte di appello di Napoli in data 21 Aprile 2022 e divenuta irrevocabile il 19 ottobre 2023, perché avente ad oggetto reati ostativi commessi prima dell’inizio della detenzione.
In ogni caso, difetta nel ricorso la puntuale indicazione dei presupposti fattuali dai quali desumere, in ossequio al disposto dell’art. 657, comma 4, cod. proc pen., i presupposti applicativi dell’istituto della fungibilità”
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che la parte «abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma 12 giugno 2025.