Rideterminazione pena: la Cassazione fissa i limiti alla retroattività favorevole
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel diritto penale: la possibilità di ottenere una rideterminazione pena a seguito di una modifica legislativa più favorevole, quando però la sentenza di condanna è già passata in giudicato. Il caso analizzato offre spunti fondamentali sul bilanciamento tra il principio del favor rei (applicazione della legge più mite) e quello della certezza del diritto, rappresentato dall’irrevocabilità delle sentenze.
I fatti del caso
Un soggetto, condannato con due sentenze divenute definitive nel 2011 e 2012 per reati legati al traffico di sostanze stupefacenti (eroina e cocaina), aveva presentato un’istanza al Giudice dell’esecuzione. La richiesta mirava a ottenere una rideterminazione delle pene alla luce di una successiva pronuncia della Corte Costituzionale (la n. 40 del 2019) che aveva modificato il trattamento sanzionatorio per tali reati, rendendolo potenzialmente più mite.
La Corte di assise di appello di Catania, in funzione di Giudice dell’esecuzione, aveva respinto la richiesta. Contro questa decisione, il difensore del condannato ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando un’erronea applicazione della legge e un vizio di motivazione.
La questione giuridica: il limite della sentenza irrevocabile
Il nucleo del problema legale risiede nel determinare se una modifica normativa o una sentenza della Corte Costituzionale che introduce un trattamento sanzionatorio più favorevole possa avere effetto su condanne già divenute irrevocabili. In altre parole, ci si chiede se il principio della retroattività della legge penale più favorevole possa superare la barriera del ‘giudicato’, ovvero della decisione definitiva e non più impugnabile.
La difesa sosteneva che la nuova e più favorevole cornice edittale dovesse essere applicata concretamente, portando a uno ‘sconto’ di pena. Questa tesi si fondava sull’idea che il condannato non dovesse scontare una pena ritenuta, da una pronuncia successiva, sproporzionata.
Le motivazioni della Corte di Cassazione sulla rideterminazione pena
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, aderendo a un consolidato orientamento giurisprudenziale. Il ragionamento dei giudici si è concentrato su un punto temporale decisivo: il momento in cui le sentenze di condanna sono diventate irrevocabili.
Al tempo dei fatti e delle condanne, la normativa vigente (legge n. 49 del 2006) prevedeva una pena minima di otto anni di reclusione per i reati contestati. Le sentenze erano state emesse in conformità con tale quadro normativo. La modifica più favorevole invocata dal ricorrente, introdotta da una pronuncia della Corte Costituzionale (n. 32 del 2014), è intervenuta successivamente al passaggio in giudicato delle condanne.
La Cassazione ha chiarito che questo fattore temporale è determinante. Una volta che una condanna diventa definitiva, essa cristallizza la situazione giuridica del condannato sulla base delle leggi in vigore in quel momento. Le modifiche successive, sebbene più favorevoli, non possono rimettere in discussione la pena inflitta, a meno che non si tratti di casi eccezionali come l’abolizione del reato.
Inoltre, la Corte ha sottolineato che il Giudice dell’esecuzione aveva già correttamente valutato la congruità della pena, con un ragionamento logico e privo di vizi. Pertanto, non vi erano i presupposti per una revisione della sanzione.
Le conclusioni e le implicazioni pratiche
L’ordinanza ribadisce un principio cardine del nostro ordinamento: la certezza del diritto e la stabilità delle decisioni giudiziarie definitive. La richiesta di rideterminazione pena non può essere accolta se la modifica favorevole interviene dopo che la condanna è diventata irrevocabile. Questo significa che, salvo casi specifici previsti dalla legge, il condannato deve scontare la pena stabilita secondo le norme vigenti al momento del giudicato.
Questa decisione ha importanti implicazioni pratiche: da un lato, rafforza il valore del giudicato penale, evitando una continua revisione delle sentenze a ogni mutamento normativo; dall’altro, delinea chiaramente i confini applicativi del principio di retroattività della legge più favorevole, che non può operare senza limiti temporali, specialmente di fronte a una sentenza non più impugnabile. Il ricorso è stato quindi dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria.
È possibile ottenere una rideterminazione della pena se una legge più favorevole entra in vigore dopo che la sentenza è diventata definitiva?
No, secondo questa ordinanza, non è possibile. La Corte di Cassazione ha stabilito che una modifica normativa o una pronuncia della Corte Costituzionale più favorevole, intervenuta dopo che la sentenza di condanna è divenuta irrevocabile, non può essere applicata retroattivamente per ridurre la pena.
Perché la Corte di Cassazione ha considerato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto manifestamente infondato perché la richiesta di rideterminazione si basava su una sentenza della Corte Costituzionale (n. 32 del 2014) emessa dopo che le condanne del ricorrente erano già divenute definitive (nel 2011 e 2012). L’orientamento della Cassazione è che il giudicato penale non può essere messo in discussione da modifiche normative successive.
Quale principio ha guidato la decisione della Corte riguardo alla congruità della pena originale?
La Corte ha stabilito che il Giudice dell’esecuzione aveva già svolto correttamente un giudizio di congruità della pena inflitta. Questa valutazione è stata ritenuta immune da illogicità manifesta o altri vizi, e quindi non rivedibile in sede di legittimità. La pena originale era conforme alla legge in vigore al momento dei fatti e della condanna.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19843 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19843 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Catania il 5/04/1960
avverso l ‘ ordinanza del 12/11/2024 della Corte di assise di appello di Catania
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che, con il provvedimento impugnato, la Corte di assise di appello di Catania, in funzione del Giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta di rideterminazione delle pene irrogate a NOME COGNOME con due sentenze divenute irrevocabili in data 23 febbraio 2011 e 18 febbraio 2012, in relazione al delitto di cui all ‘ art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, riguardante sostanze stupefacenti del tipo eroina e cocaina – fatti commessi, per la prima sentenza, fino al 1 marzo 2001 e per la seconda dal 1997 al 1 novembre 2000 – per effetto della pronuncia della Corte Cost. n. 40 del 8 marzo 2019.
Ritenuto che il motivo unico prospettato dal difensore, avv. COGNOME. COGNOMEinosservanza ed erronea applicazione dell’art 73 TU Stup. e vizio di motivazione, richiamando Sez. U, ricorrenti COGNOME e COGNOME ) è manifestamente infondato.
Considerato , infatti, che a parere del ricorrente la pena deve essere
rideterminata concretamente, con riferimento alla più favorevole cornice edittale applicabile a seguito della sentenza della Corte costituzionale citata (indicando come precedente in termini Sez. 1, n. 35578 del 17/11/2020), ma che tale impostazione è in contrasto con l ‘indirizzo i nterpretativo esposto da questa Corte di legittimità cui il Collegio aderisce (Sez. 1, n. 21882 del 18/03/2021, P., Rv. 281442 -01, in motivazione) secondo il quale, trattandosi di stupefacenti cd. pesanti e di reati commessi nella vigenza della normativa di cui al d. l. n. 272 del 30 dicembre 2005, convertito dalla legge n. 49 del 21 febbraio 2006, assume rilievo la circostanza che detta norma contemplava come minimo edittale della pena detentiva quello di anni otto di reclusione, passato ad anni sei di reclusione dopo la maturazione dei giudicati, essendo intervenuta, successivamente all ‘ irrevocabilità delle condanne, la pronuncia della Corte Cost. n. 32 del 2014.
Considerato , altresì, che il Giudice dell ‘ esecuzione ha puntualmente svolto un giudizio di congruità della pena irrogata a titolo di aumento per i fatti giudicati con le due sentenze in questione, con ragionamento non rivedibile in questa sede, perché immune da illogicità manifesta e da vizi di ogni tipo.
Ritenuto che, per le ragioni sin qui esposte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna alle spese processuali, nonché (v. Corte cost. n. 186 del 13 giugno 2000), valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen. con l’onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, determinata equitativamente nella misura di cui al dispositivo, in ragione dei motivi devoluti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 3 aprile 2025