Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 13109 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 13109 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 02/05/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOMECOGNOME tette/stie le conclusioni del PG
Il Procuratore generale, NOME COGNOME, chiede dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME ricorre avverso l’ordinanza del 2 maggio 2023 della Corte di appello di Firenze che, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta di rideterminazione della pena di anni otto di reclusione, in ordine – tra gli altri reato di produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti, applicata con la sentenza della Corte di appello di Firenze del 10 giugno 2019, definitiva il 10 febbraio 2021, in seguito alla pronuncia n. 40 del 2019, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art. 73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 nella parte in cui prevede la pena minima edittale di anni otto di reclusione, anziché quella di anni sei.
Il giudice dell’esecuzione ha evidenziato che la pena finale non doveva essere rideterminata, anche a seguito della sopravvenuta illegalità della pena minima prevista per il reato in esame, posto che gli aumenti di pena per i reati ex art. 73 T.U. stup. posti in continuazione e stabiliti dal giudice della cognizione erano stati minimi e congrui al fatto accertato.
Il ricorrente denuncia erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, perché il giudice dell’esecuzione avrebbe in maniera errata rinnovato la valutazione del trattamento sanzionatorio, con necessaria riduzione della pena ai sensi degli artt. 132 e 133 cod. pen., nonostante la Corte costituzionale avesse modificato i limiti edittali del reato di produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti, dichiarando l’illegittimit costituzionale della norma in esame nella parte in cui prevedeva la pena minima edittale della reclusione nella misura di anni otto, anziché di anni sei.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Giova in diritto evidenziare che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 40 del 23 gennaio 2019, ha dichiarato la illegittimità dell’art. 73, comma 1, T.U. stup., nella parte in cui fissa in anni otto di reclusione, anziché in anni sei, il minimo dell pena edittale, evidenziando che – come già rilevato nella sua precedente sentenza n. 179 del 7 giugno 2017 – la divaricazione di ben quattro anni venutasi a creare tra il minimo edittale di pena previsto dal comma 1 del citato articolo e il massimo
edittale della pena comminata dal comma 5 dello stesso articolo «ha raggiunto un’ampiezza tale da determinare un’anomalia sanzionatoria».
Giova, altresì, evidenziare che, ai sensi dell’art. 136 Cost., quando la Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge, tal norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione.
Nel caso di specie, quindi, il giudice di secondo grado ha emesso la sentenza di condanna in data 10 giugno 2019, cioè quando l’art. 73 T.U. stup. era stato già modificato dalla Corte costituzionale.
In effetti, leggendo la sentenza della Corte di cassazione n. 7942/2021 del 10 febbraio 2021, con la quale è stata dichiarata l’inammissibilità o il rigetto dei ricors per cassazione presentati dai coimputati di COGNOME avverso la sentenza di secondo grado, si evince che il medesimo motivo era stato già respinto, con una motivazione che il Collegio condivide.
In tale sentenza, la Corte di cassazione ha osservato che «la valutazione del primo giudice è avvenuta sulla base di parametri edittali in vigore al momento del fatto e successivamente dichiarati incostituzionali con la citata sentenza, ma quella della Corte d’appello è stata operata alla stregua della nuova cornice edittale, senza che ciò determini la violazione dei principi già affermati dalla giurisprudenza di legittimità, all’indomani della situazione analoga, venutasi a verificare dopo la sentenza n. 34 del 2014 dello stesso giudice delle leggi (relativa, in quel caso, ai parametri edittali previsti per le cc.dd. droghe leggere). Vero è solo che la radicale modifica del quadro normativo di riferimento impone al giudice di rivalutare le situazioni giudicate e oggetto di ricorso alla luce del più favorevole regime sanzionatorio, ma non gli impone altresì di ridurre sempre e comunque la pena individuata, purché la stessa sia contenuta nella nuova e più favorevole forbice edittale».
Nel caso di specie, inoltre, la Corte d’appello ha spiegato che i reati satellite erano stati suddivisi in base ai quantitativi di droga trattati e alla diversa tipolo delle sostanze e i relativi aumenti di pena eran stati determinati in misura contenuta (sei mesi per i più gravi, tre mesi per i meno gravi), sicché dovevano ritenersi equilibrati e proporzionati alla concreta gravità dei singoli episodi.
In ogni caso ha proceduto a una rivisitazione dell’entità di detti aumenti, adottando una congrua motivazione in ordine alla quantificazione di essi, anche alla luce della nuova cornice edittale, nei termini imposti dalla sentenza n. 40/2019 per come indicati dal giudice di legittimità.
D’altronde, in tema di stupefacenti, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019 che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, nella parte in cui prevedeva la pena
detentiva minima di anni otto di reclusione anziché di anni sei, il giudice della sentenza pronunciata successivamente a tale declaratoria non è necessariamente tenuto a specificare di avere considerato, quale forbice edittale ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio, quella “nuova” (Sez. 3, n. 5569 del 22/12/2021, dep. 2022, Dal Pan, Rv. 282889).
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, equamente, in euro 3.000,00, tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 07/12/2023