Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 38204 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 38204 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MADDALONI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 15/03/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG, dott.AVV_NOTAIO NOME COGNOME, la quale ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 15 marzo 2024 la Corte di appello di Napoli, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta di rideterminazione, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, della pena detentiva applicata a NOME COGNOME, con sentenza resa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere il 19 luglio 2010, per il delitto sanzionato dall’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Ha, in proposito, ritenuto che, se è vero che, nel caso in cui si discuta dell’esecuzione di una pena, divenuta illegittima perché attinta da declaratoria di illegittimità costituzionale intervenuta dopo la sua irrevocabilità, può essere promosso apposito incidente di esecuzione ex art. 666 cod. proc. pen. al fine di far valere il principio consacrato all’art. 30, quarto comma, legge 11 marzo 1953, n. 87 – ai sensi del quale «Quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali» – non può essere trascurato, per converso, che l’invocata determinazione della pena può essere compiuta con esclusivo riferimento al testo di legge ripristinato in conseguenza dell’intervento della Corte costituzionale, ma non anche in relazione alle successive modifiche legislative.
A quest’ultima ipotesi, che la Corte di appello stima essersi verificata nel caso in esame, corrisponde, invero, un tipico fenomeno di successioni di leggi penali nel tempo, regolato dall’art. 4, secondo comma, cod. pen., che impone l’applicazione della disposizione più favorevole alla condizione, nella fattìspecie non sussistente, che non sia stata, nel frattempo, pronunciata sentenza irrevocabile di condanna.
NOME NOME COGNOME propone, con il ministero dell’AVV_NOTAIO, ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale deduce violazione di legge per avere il giudice dell’esecuzione omesso la rivalutazione del fatto alla luce della mutata cornice sanzionatoria, che avrebbe imposto la rideterminazione in melius della pena che gli è stata concretamente applicata.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato e merita, pertanto, accoglimento.
2. Le pene previste dalla fattispecie incriminatrice ex art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, sono state oggetto di ripetuti interventi del legislatore e della Corte costituzionale.
In particolare, la distinzione delle condotte illecite a seconda che il loro oggetto afferisca a sostanze stupefacenti così dette «leggere» (elencate nelle tabelle II e IV) ovvero «pesanti» (di cui alle tabelle I e III) – cui corrispondeva, in origine, un trattamento sanzionatorio assai diverso – è stata superata con la legge 21 febbraio 2006, n. 49, che ha stabilito, per tutte le tipologie di stupefacente, la pena della reclusione da sei a venti anni e della multa da 26.000 a 260.000 euro e, per i fatti di lieve entità, della reclusione da uno a sei anni e della multa da euro 3.000 a euro 26.000.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 32 del 2014, ha tuttavia dichiarato la illegittimità costituzionale delle norme introdotte dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, con conseguente reviviscenza del precedente testo dell’art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e delle relative tabelle.
Per i reati aventi ad oggetto le cc.dd. «droghe leggere» è, quindi, tornata in vigore la sanzione della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da 1.032 a 10.329 euro.
3. Il provvedimento impugnato è stato emesso in relazione alla sanzione detentiva irrogata a NOME COGNOME nell’ambito di un procedimento penale, relativo a fatto commesso il 7 novembre 2009, ovvero nella vigenza della cornice edittale caducata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, che si è concluso con sentenza divenuta irrevocabile in epoca anteriore all’intervento del giudice delle leggi.
La giurisprudenza di legittimità ritiene che, nel caso in cui la dichiarazione di incostituzionalità di una norma penale diversa da quella incriminatrice, che si riverberi sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, sopraggiunga prima che la pena sia stata interamente espiata, il giudice dell’esecuzione è tenuto, ove venga promosso apposito incidente, alla rideterminazione conseguente all’intervento della Corte costituzionale, cioè all’applicazione, in forza del principio consacrato dall’art. 30 della legge 11 marzo 1953, n. 87, della più favorevole normativa risultante dalla dichiarazione di incostituzionalità (Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014, Gatto, Rv. 260697).
Preso atto, dunque, della citata sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, occorre procedere alla rideterminazione della pena inflitta, ove non ancora interamente espiata, con sentenze, divenute irrevocabili, che avevano applicato la norma dichiarata incostituzionale.
Operazione, quella del cui compimento si discute, per la quale è possibile avvalersi degli approdi raggiunti dalla giurisprudenza di legittimità che si è occupata, appunto, della rideterminazione della pena, in fase esecutiva, per effetto della declaratoria di illegittimità costituzionale pronunziata con la sentenza n. 32 del 2014, che ha riguardato il trattamento sanzionatorio dei reati concernenti le così dette «droghe leggere», fattispecie pure interessate da una modifica in melius -da sei a due anni di reclusione – del minimo edittale.
In quel contesto, è stata, in specie, affermata, (Sez. U, n. 33040 del 26/2/2015, Jazouli, Rv. 264205) l’illegalità della pena commisurata sulla base della cornice edittale in vigore al momento del fatto, ma dichiarata successivamente incostituzionale, anche nel caso in cui la pena concretamente inflitta sia compresa entro i limiti edittali previsti dall’originaria formulazione medesimo articolo, prima della novella del 2006, rivissuto per effetto della stessa sentenza di incostituzionalità.
Ciò, in quanto la commisurazione della pena è finalizzata ad individuare, nell’ambito che il legislatore ha rimesso alla discrezionalità del giudice, la pena giusta in relazione ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen., condizione necessaria per assicurare il rispetto del principio della personalità della responsabilità penale.
La necessità della rideterminazione deriva dall’obiettiva esigenza di eliminare una pena commisurata secondo un quadro edittale non conforme al principio di legalità, per effetto della sopravvenuta declaratoria di illegittimit costituzionale.
Per quanto concerne l’individuazione delle concrete modalità di intervento in fase esecutiva, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che l’esercizio del potere di riqualificazione sanzionatoria non autorizza ad operare in base a criteri matematico-proporzionali (Sez. 2, n. 29431 del 08/05/2018, COGNOME, Rv. 273809; Sez. 1, n. 11974 del 20/01/2016, COGNOME, n.m.; Sez. 3, n. 36357 del 19/05/2015, COGNOME, Rv. 264880), né ad utilizzare automatismi che replichino le scelte sottese all’accordo originario.
Il giudice deve, al contrario, procedere alla rideterminazione della pena utilizzando i criteri previsti dagli artt. 132 e 133 cod. pen., secondo i canoni dell’adeguatezza e della proporzionalità che tengano conto sia della nuova cornice edittale (Sez U., n. 37107 del 26/02/2015, COGNOME, Rv. 264858), che delle valutazioni già effettuate in sentenza dal giudice della cognizione con riferimento alla sussistenza del fatto e al significato ad esso attribuibile (Sez. 1, n. 52981 del 18/11/2014, COGNOME, Rv. 261688).
4. Nel caso di specie, il giudice dell’esecuzione, chiamato a confrontarsi con il novum introdotto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, ha ritenuto che la circostanza che, in epoca successiva alla declaratoria di illegittimità costituzionale della formulazione dell’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, risultante dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, ed alla conseguente reviviscenza di quella previgente, la cornice edittale del reato sia stata, con specifico riferimento ai fatti di lieve entità, nuovamente modificata – per effetto, prima, del di. 23 dicembre 2013, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10, e, poi, del d.l. 20 marzo 2014, n. 36, convertito con modificazione dalla legge 16 maggio 2014, n. 79 – preclude, in concreto, l’invocata rideterminazione, configurandosi, in tal caso, un caso di successione nel tempo di leggi penali, fenomeno che consente l’applicazione di quella più favorevole nel solo caso in cui il fatto illecito non sia già stato accertato con sentenza di condanna irrevocabile.
Così facendo, la Corte di appello trascura, tuttavia, che nel caso in esame, il giudicato si è formato nella vigenza della disposizione successivamente dichiarata non conforme a Costituzione e, dunque, prima che il legislatore procedesse all’ulteriore modifica del regime sanzionatorio dei fatti illeciti, rilevanti ai sensi dell’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, m. 309, di lieve entità.
Né, per giungere a soluzione di segno opposto, varrebbe eccepire il maggiore favore delle modifiche apportate all’art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, dal d.l. 23 dicembre 2013 n. 146, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10, che, ha chiarito la giurisprudenza di legittimità, integrano, in effetti, un fenomeno di successione nel tempo di leggi penali, e, quindi, «non possono trovare applicazione, ai fini della rideterminazione della pena in sede esecutiva, qualora la sentenza di condanna riguardi un fatto commesso anteriormente al 23 dicembre 2013, dovendosi in tal caso considerare la cornice edittale prevista dalla norma nel testo precedente le modifiche introdotte dal d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, dichiarate incostituzionali dalla sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014» (così, tra le altre, Sez. 1, n. 21882 del 18/03/2021, P., Rv. 281442 – 01; Sez. 6, n. 14293 del 20/03/2014, NOME, Rv. 259061 – 01).
Posto, allora, che a COGNOME è stata applicata la pena di due anni e quattro mesi di reclusione e 4.500 euro di multa, determinata in ragione di un range edittale più severo rispetto a quello che ha rivissuto, con effetto ex tunc, per effetto della menzionata dichiarazione di illegittimità costituzionale, fallace si palesa il percorso argomentativo sotteso alla decisione impugnata, imperniato sulla rilevanza di successivi interventi normativi, ovvero su un presupposto che, per le ragioni testé esposte, deve reputarsi insussistente, dovendosi, piuttosto,
ribadire che, per effetto dell’intervento della Corte costituzionale, l’illegali sanzione discende automaticamente dalla oggettiva diversità tra il quadr sanzionatorio vigente al momento della decisione e quello ripristinato dal giud delle leggi.
Le ragioni sin qui esposte impongono l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con il conseguente rinvio alla Corte di appello di Napoli affinc proceda ad un nuovo giudizio che tenga conto dei rilievi formulati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Napoli.
Così deciso il 27/06/2024.