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Rideterminazione della pena: quando non si applica?

La Cassazione rigetta un ricorso per la rideterminazione della pena basata sulla sentenza n. 40/2019 della Corte Costituzionale. La Corte chiarisce che la sentenza non si applica a fatti commessi quando la pena minima era già di sei anni, come nel caso di specie, rendendo il ricorso infondato.

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Pubblicato il 5 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rideterminazione della pena: perché il fattore tempo è decisivo

La richiesta di rideterminazione della pena a seguito di una dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma sanzionatoria è un diritto fondamentale. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e dipende strettamente dal momento in cui il reato è stato commesso. Una recente sentenza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti di questo istituto, sottolineando come il principio del tempus regit actum (la legge del tempo regola l’atto) sia cruciale per stabilire la normativa applicabile.

Il caso in esame: due condanne e una richiesta di sconto

Un individuo, condannato con due distinte sentenze per reati legati agli stupefacenti, ha presentato un’istanza al Giudice dell’esecuzione per ottenere la rideterminazione della pena. La richiesta si fondava sulla sentenza della Corte Costituzionale n. 40 del 2019, che aveva dichiarato illegittimo l’aumento della pena minima edittale da sei a otto anni per i reati di cui all’art. 73 d.P.R. 309/1990.

Le due condanne riguardavano fatti commessi in periodi temporali molto diversi:
1. Una prima sentenza per un reato commesso il 21 dicembre 2005.
2. Una seconda sentenza per reati commessi negli anni 2012 e 2013.

La Corte d’Appello, in funzione di Giudice dell’esecuzione, aveva già rigettato l’istanza, spingendo il condannato a ricorrere in Cassazione.

La decisione sulla corretta rideterminazione della pena

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello, rigettando il ricorso in quanto infondato. Gli Ermellini hanno analizzato separatamente le due sentenze, dimostrando come, in entrambi i casi, la pronuncia della Corte Costituzionale del 2019 fosse irrilevante.

Analisi della prima condanna (fatto del 2005)

Per il reato commesso nel 2005, la Cassazione ha evidenziato che la legge applicabile all’epoca (d.lgs. 272 del 2005) prevedeva già una pena detentiva minima di sei anni di reclusione. Di conseguenza, la successiva sentenza della Consulta, che mirava a riportare la pena minima a sei anni dopo un temporaneo innalzamento a otto, non poteva avere alcun effetto migliorativo per il condannato. La sua pena era già stata determinata sulla base della cornice edittale più favorevole che invocava.

L’irrilevanza della Consulta per la seconda condanna (fatti del 2012-2013)

Anche per i reati commessi tra il 2012 e il 2013, la Corte ha escluso l’applicabilità della sentenza n. 40/2019. La motivazione risiede nella complessa successione di leggi e sentenze costituzionali in materia di stupefacenti:

* Fino al 2014: La pena minima per i reati di droga ‘pesante’ era di sei anni.
* Sentenza Corte Cost. n. 32/2014: Questa sentenza, dichiarando incostituzionale parte della legge Fini-Giovanardi, causò la ‘reviviscenza’ della normativa precedente, che prevedeva un minimo di otto anni.
* Sentenza Corte Cost. n. 40/2019: Intervenne per correggere questo effetto, dichiarando incostituzionale il minimo di otto anni e riportandolo a sei.

Poiché i reati in questione erano stati commessi nel 2012 e 2013, cioè prima della sentenza del 2014 che aveva innalzato la pena, essi erano già stati giudicati secondo la cornice edittale con un minimo di sei anni. Pertanto, la sentenza del 2019, che correggeva un problema sorto solo nel 2014, non aveva alcuna influenza sulla loro posizione.

le motivazioni
La Suprema Corte ha ribadito un principio cardine del diritto penale: la pena deve essere determinata in base alla legge in vigore al momento della commissione del reato. Qualsiasi richiesta di rideterminazione della pena deve tenere conto della specifica cornice edittale applicabile a quella data. In questo caso, il ricorrente invocava una sentenza della Corte Costituzionale che, sebbene favorevole in astratto, non era pertinente ai periodi in cui i suoi reati erano stati commessi. La decisione sottolinea l’importanza di un’analisi precisa della successione delle leggi nel tempo per evitare di presentare ricorsi generici e privi di fondamento giuridico.

le conclusioni
La sentenza consolida l’orientamento secondo cui gli effetti di una declaratoria di illegittimità costituzionale in materia penale non possono essere applicati retroattivamente a situazioni già disciplinate da una normativa più favorevole o identica a quella risultante dalla pronuncia della Consulta. Il rigetto del ricorso e la condanna al pagamento delle spese processuali servono da monito sull’importanza di fondare le proprie istanze su un’attenta ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale applicabile al caso concreto.

Perché la richiesta di rideterminazione della pena per la prima sentenza è stata respinta?
La richiesta è stata respinta perché il reato era stato commesso nel 2005, quando la legge già prevedeva una pena minima di sei anni di reclusione, ovvero la stessa pena che il ricorrente chiedeva di ottenere tramite l’applicazione della sentenza n. 40/2019. La pronuncia della Consulta non aveva quindi alcun effetto migliorativo sulla sua posizione.

Perché la sentenza della Corte Costituzionale n. 40 del 2019 non era applicabile ai reati della seconda condanna?
Non era applicabile perché i reati erano stati commessi nel 2012 e 2013, un periodo in cui la cornice edittale prevedeva già un minimo di sei anni. La sentenza n. 40/2019 è intervenuta per correggere un innalzamento della pena a otto anni avvenuto solo a seguito di una sentenza del 2014, quindi non era pertinente per fatti anteriori.

Qual è il principio che regola l’applicazione delle pene per reati commessi in periodi diversi?
Il principio fondamentale è quello di legalità e del tempus regit actum, secondo cui la pena deve essere determinata in base alla legge e alla cornice edittale in vigore al momento della commissione del fatto. Le modifiche normative o le sentenze costituzionali successive si applicano solo se pertinenti a quel preciso quadro normativo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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