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Rideterminazione della pena: l’obbligo di scorporo

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7320/2024, ha annullato un’ordinanza della Corte d’Appello che aveva proceduto alla rideterminazione della pena per continuazione senza prima “scorporare” le pene inflitte con le sentenze precedenti. La Suprema Corte ha ribadito che, per un corretto calcolo, il giudice dell’esecuzione deve prima sciogliere i cumuli giuridici già formati, individuare il reato più grave tra tutti quelli in continuazione, porre la sua pena come base e solo dopo applicare aumenti specifici e motivati per ogni reato satellite.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rideterminazione della pena e continuazione: la Cassazione chiarisce l’obbligo di “scorporo”

L’istituto della continuazione nel diritto penale permette di unificare, sotto un unico vincolo, più reati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, portando a una pena complessiva più favorevole. Ma cosa accade quando questa unificazione deve essere fatta in fase esecutiva, cioè dopo che sono state emesse sentenze separate? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7320 del 2024, interviene su un punto procedurale cruciale: la corretta metodologia per la rideterminazione della pena. La Corte ha stabilito che non si può semplicemente “sommare” le pene, ma è necessario un processo analitico di scomposizione e ricomposizione, noto come “scorporo”.

Il caso in esame: due sentenze e un’unica pena

Il ricorrente era stato condannato con due distinte sentenze dalla Corte di Appello di Milano per reati commessi in periodi diversi ma ritenuti, su sua istanza, collegati da un unico disegno criminoso. La prima sentenza aveva inflitto una pena di 4 anni e 6 mesi di reclusione per reati tra cui concussione e violenza sessuale di gruppo. La seconda, per fatti simili, aveva comminato una pena di 3 anni e 8 mesi.

Il Giudice dell’esecuzione, accogliendo la richiesta di applicare la disciplina della continuazione, aveva rideterminato la pena finale in 6 anni e 6 mesi. Per farlo, aveva preso come base la pena complessiva della prima sentenza (4 anni e 6 mesi) e l’aveva aumentata di 3 anni per i reati della seconda sentenza. Il condannato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che questo metodo di calcolo fosse errato.

La decisione della Cassazione: annullamento con rinvio

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso fondato e ha annullato l’ordinanza, rinviando il caso a un’altra sezione della Corte d’Appello di Milano per un nuovo giudizio. I Giudici di legittimità hanno riscontrato un vizio fondamentale nel ragionamento del giudice dell’esecuzione: la mancata operazione di “scorporo” dei cumuli giuridici già applicati nelle sentenze di cognizione.

Le motivazioni: perché la rideterminazione della pena era errata

Il cuore della decisione risiede in un principio consolidato, richiamato anche dalle Sezioni Unite: quando si procede alla rideterminazione della pena in sede esecutiva per applicare la continuazione, il giudice non può trattare le pene delle sentenze precedenti come blocchi unici. Deve, invece, seguire un percorso logico-giuridico preciso:

1. Scioglimento del cumulo (scorporo): Il giudice deve prima scomporre le pene complessive inflitte in ciascuna sentenza, al fine di isolare le pene base e gli aumenti applicati per ogni singolo reato giudicato.
2. Individuazione del reato più grave: Una volta “scorporate” le pene, il giudice deve confrontare tutti i reati oggetto delle diverse sentenze e individuare quello più grave, la cui pena diventerà la base per il nuovo calcolo.
3. Calcolo degli aumenti: Sulla pena base del reato più grave, il giudice deve applicare aumenti specifici per ciascuno degli altri reati (i cosiddetti “reati satellite”).
4. Obbligo di motivazione: Ogni aumento per i reati satellite deve essere autonomamente motivato. Questa motivazione è essenziale per garantire la trasparenza, la proporzionalità della sanzione ed evitare sperequazioni ingiustificate.

Nel caso specifico, il Giudice dell’esecuzione aveva erroneamente preso come pena base l’intero ammontare della prima condanna, senza scomporla e senza identificare quale fosse il singolo reato più grave tra tutti quelli contestati. Questo ha portato a un calcolo non corretto e a una motivazione carente sugli aumenti applicati.

Conclusioni: le implicazioni pratiche della sentenza

La sentenza ribadisce un principio di garanzia fondamentale per il condannato. La corretta applicazione della rideterminazione della pena in continuazione non è un mero esercizio aritmetico, ma un’operazione che richiede un’analisi dettagliata per assicurare che la sanzione finale sia giusta e proporzionata. Questo modus procedendi, basato sullo scorporo e sulla motivazione analitica, impedisce che si creino cumuli materiali di pene mascherati da cumulo giuridico e garantisce che il beneficio della continuazione sia applicato in modo razionale e controllabile, nel pieno rispetto dei principi sanciti dalla legge e dalla giurisprudenza di legittimità.

Come deve agire il giudice dell’esecuzione per la rideterminazione della pena quando riconosce la continuazione tra reati giudicati con sentenze diverse?
Il giudice deve prima “scorporare” le pene inflitte con le singole sentenze per isolare la sanzione per ogni reato. Successivamente, deve individuare il reato più grave tra tutti, assumere la relativa pena come base di calcolo e, infine, applicare aumenti motivati per ciascun reato satellite.

È corretto, ai fini della continuazione, sommare semplicemente la pena di una sentenza a quella di un’altra?
No, non è corretto. La sentenza chiarisce che questo approccio è errato. È necessario sciogliere i cumuli precedenti e ricostruire la pena in modo unitario, partendo dal reato più grave e non dalla pena complessiva di una delle sentenze.

Il giudice deve motivare gli aumenti di pena per i singoli reati satellite?
Sì. La Corte di Cassazione, richiamando anche una pronuncia delle Sezioni Unite, afferma che il giudice deve calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, per garantire la proporzionalità della sanzione e consentire un controllo sul suo operato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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