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Rideterminazione della pena: i poteri del giudice

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23455/2024, ha dichiarato inammissibili i ricorsi di due imputati che lamentavano una violazione del divieto di “reformatio in pejus” nella rideterminazione della pena da parte della Corte d’Appello in sede di rinvio. La Suprema Corte ha ribadito che il giudice, nel ricalcolare la sanzione entro una nuova cornice edittale, non è vincolato a un criterio aritmetico o proporzionale rispetto alla precedente condanna, ma esercita la propria discrezionalità sulla base dei parametri dell’art. 133 c.p., con il solo limite di non peggiorare la pena finale.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rideterminazione della pena: la discrezionalità del giudice oltre i calcoli aritmetici

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23455 del 2024, affronta un’importante questione procedurale riguardante la rideterminazione della pena in sede di rinvio. La pronuncia chiarisce i confini della discrezionalità del giudice quando è chiamato a ricalcolare una sanzione a seguito di una declaratoria di incostituzionalità di una norma, stabilendo che non sussiste alcun vincolo a criteri puramente aritmetici o proporzionali rispetto alla precedente condanna.

Il caso in esame

La vicenda processuale trae origine da una sentenza della Corte d’Appello di Roma che, in sede di rinvio disposto dalla Cassazione, aveva ricalcolato la pena per due imputati. L’annullamento con rinvio era stato limitato esclusivamente al trattamento sanzionatorio. Gli imputati, tramite i loro difensori, hanno proposto nuovamente ricorso per Cassazione, sostenendo che la nuova pena, sebbene inferiore in termini assoluti, violasse il divieto di reformatio in pejus.

Secondo la difesa, la Corte d’Appello, pur operando all’interno di una nuova e più favorevole cornice edittale (derivante da una sentenza della Corte Costituzionale), aveva determinato la pena base in misura superiore di un anno rispetto al nuovo minimo, replicando proporzionalmente l’aumento che aveva applicato nella precedente sentenza rispetto al vecchio minimo. Tale operazione, secondo i ricorrenti, rappresentava un peggioramento sostanziale della loro posizione, in violazione delle regole del giudicato progressivo e del devoluto.

Rideterminazione della pena: la posizione dei ricorrenti

I motivi di ricorso erano sostanzialmente sovrapponibili e si concentravano su due aspetti principali:

1. Erronea applicazione della legge e vizio di motivazione: I ricorrenti lamentavano che la Corte d’Appello avesse irrogato una pena eccessiva, violando gli artt. 624 e 627 del codice di procedura penale in relazione all’art. 133 del codice penale.
2. Violazione del divieto di reformatio in pejus: La tesi difensiva sosteneva che, sebbene la pena finale fosse diminuita, l’aumento di un anno sul nuovo minimo edittale (più basso) fosse maggiormente afflittivo rispetto all’aumento di un anno sul precedente minimo (più alto). Inoltre, si contestava il riferimento, nella motivazione, alla ‘contiguità con organizzazione criminale’ come elemento nuovo e inammissibile, lesivo del giudicato formatosi sulla responsabilità.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato i ricorsi manifestamente infondati, offrendo una chiara lezione sui poteri del giudice nella rideterminazione della pena. Il fulcro della decisione risiede nel principio secondo cui il giudice del rinvio, quando deve ricalcolare la pena in applicazione di una disciplina più favorevole, non è un mero esecutore di calcoli matematici.

La Corte ha affermato che il giudice deve tenere conto dei parametri indicati dall’art. 133 c.p. (gravità del reato, capacità a delinquere del reo, etc.) e rivalutarli in relazione ai nuovi limiti edittali. L’unico vincolo è il divieto di sovvertire il giudizio di disvalore espresso dal precedente giudice e, naturalmente, il divieto di irrogare una pena finale più grave.

Non esiste, quindi, un obbligo di seguire un ‘criterio proporzionale di tipo aritmetico’ correlato alla pena calcolata in precedenza. La discrezionalità del giudice di merito nella graduazione della pena è ampia e insindacabile in sede di legittimità, a meno che la motivazione non sia palesemente illogica, arbitraria o del tutto assente, cosa che nel caso di specie non è stata riscontrata.

La Corte ha precisato che l’obbligo di rimodulazione della pena nella nuova cornice edittale è stato correttamente assolto dalla Corte d’Appello, che ha utilizzato gli ordinari criteri previsti dalla legge, senza essere tenuta a ‘far vivere’ la precedente proporzione matematica in un contesto normativo mutato.

Le conclusioni

In conclusione, la sentenza ribadisce un principio fondamentale: la rideterminazione della pena è un’operazione di giudizio, non di aritmetica. Il giudice del rinvio esercita un potere discrezionale pieno, guidato dai criteri di legge, per adeguare la sanzione al caso concreto all’interno dei nuovi confini normativi. L’eventuale censura in Cassazione non può vertere sulla congruità della pena scelta, ma solo sulla legalità del procedimento con cui vi si è pervenuti e sulla logicità della motivazione che la sorregge. Qualsiasi confronto con la precedente pena, se non per verificare il rispetto del divieto di reformatio in pejus nel suo risultato finale, è improprio e fuorviante.

Quando un giudice deve procedere alla rideterminazione della pena, è obbligato a seguire un criterio proporzionale rispetto alla vecchia sentenza?
No, la sentenza stabilisce che il giudice del rinvio non è tenuto a seguire un criterio proporzionale o aritmetico rispetto alla pena calcolata prima della declaratoria di incostituzionalità. Deve invece rivalutare autonomamente la pena usando i parametri dell’art. 133 c.p. all’interno dei nuovi limiti edittali.

Un aumento di pena rispetto al minimo edittale, proporzionalmente uguale a quello della sentenza precedente, costituisce una ‘reformatio in pejus’?
No. La Corte ha chiarito che non si configura una ‘reformatio in pejus’ se la pena finale è comunque inferiore a quella precedente e rientra nei nuovi limiti di legge. L’elemento cruciale è la valutazione complessiva e la congruità della nuova pena, non un confronto aritmetico con la precedente.

Nel giudizio di rinvio per la sola rideterminazione della pena, il giudice può considerare elementi relativi alla gravità del fatto già noti?
Sì. Il giudice del rinvio, per adempiere al suo dovere, deve utilizzare gli ordinari criteri previsti dall’art. 133 c.p. per commisurare la pena, che includono la gravità del reato e la capacità a delinquere del reo. Questo non costituisce una nuova valutazione nel merito della responsabilità, che è già coperta da giudicato, ma serve a motivare la scelta sanzionatoria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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