Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 38639 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 38639 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME NOME, nato a Bronte il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza emessa il 08/04/2024 dal Tribunale di Patti lette le conclusioni del AVV_NOTAIO, che ha
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; chiesto l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza dell’8 aprile 2024 il Tribunale di Patti, quale Giudice dell’esecuzione, rideterminava la pena irrogata a NOME COGNOME dallo stesso Tribunale con la sentenza irrevocabile del 30 giugno 2024, relativamente al reato di cui al capo C dell’originaria rubrica, in otto mesi di reclusione.
Tale pronuncia veniva adottata su istanza presentata il 23 febbraio 2024 dal AVV_NOTAIO della Repubblica presso il Tribunale di Patti, che aveva chiesto la rideterminazione della pena irrogata dallo stesso Tribunale con la pronuncia sopra citata, con cui NOME COGNOME era stato condannato alla pena di due anni, venti giorni di reclusione e 1.000,00 euro di multa per i reati di cui ai capi A e C, per il primo dei quali la Corte di cassazione, Quarta Sezione penale, con la sentenza n. 14063 del 18 gennaio 2024, aveva disposto l’annullamento senza rinvio relativamente al delitto di cui al capo A, dichiarando inammissibile il ricorso relativamente alla residua ipotesi di reato, su cui si formava il giudicato.
Avverso tale ordinanza NOME COGNOME, a mezzo dell’AVV_NOTAIO, ricorreva per cassazione, articolando due censure difensive.
Con il primo motivo di ricorso si deduceva la violazione di legge dell’ordinanza impugnata, per avere la decisione in esame, in sede di rideterminazione della pena irrogata al condannato con la sentenza irrevocabile presupposta, applicato un trattamento sanzionatorio illegale, atteso che il reato di cui al capo C, posto in esecuzione, riguardava la contravvenzione di cui all’art. 4 legge 18 aprile 1975, n. 110, per la quale non è prevista la pena della reclusione ma quelle, diverse, dell’arresto e dell’ammenda.
Con il secondo motivo di ricorso si deducevano la violazione di legge del provvedimento impugnato, per avere il Giudice dell’esecuzione applicato la riduzione di un terzo della pena per il rito abbreviato con cui si era proceduto nel giudizio di cognizione, senza tenere conto del fatto che il reato di cui al capo C, riguardando una fattispecie contravvenzionale, comportava la diminuzione della metà del trattamento sanzionatorio, ai sensi dell’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., così come riformulato dall’art. 1 legge 23 giugno 2017, n. 103.
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da NOME COGNOME COGNOME è fondato nei termini di seguito indicati.
2. Occorre premettere che, nel caso di specie, il AVV_NOTAIO della Repubblica presso il Tribunale di Patti, rivolgendosi al Tribunale di Patti, quale Giudice dell’esecuzione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 655 e 665 cod. proc. pen., esercitava i suoi poteri giurisdizionali nel rispetto dell giurisprudenza di legittimità consolidata, in ultimo ribadita da Sez. U, n. 3423 del 29/10/2020, Gialluisi, Rv. 280261 – 01, secondo cui nelle ipotesi di annullamento parziale di una sentenza di condanna – con o, come in questo caso, senza rinvio – spetta «agli organi dell’esecuzione l’accertamento relativo ad eventuali questioni sulla eseguibilità e sulla specifica individuazione della pena inflitta in relazione al capo, o ai capi , potendo la Corte di cassazione solo dichiarare, quando occorre, quali parti della sentenza parzialmente annullata siano diventate irrevocabili».
Tutto questo, all’evidenza, comporta che l’attivazione del titolo esecutivo presuppone che non vi siano margini di incertezza in ordine alla pena che, in concreto, deve essere eseguita nei confronti del condannato, atteso, in tali ipotesi, quello che rileva è che non residuino dubbi sulla frazione sanzionatoria che, per effetto del giudicato, deve essere posta in esecuzione; incertezze dosimetriche che non possono che essere risolte dagli organi dell’esecuzione penale.
Ne potrebbe essere diversamente, dovendosi evidenziare che, nell’ipotesi di annullamento parziale disposto dalla Corte di cassazione, il dispositivo della sentenza impugnata divenuta irrevocabile ha efficacia meramente dichiarativa e non costitutiva, con la conseguenza che gli organi dell’esecuzione hanno il potere-dovere di individuare, sulla base della lettura e dell’interpretazione della decisione, le parti passate in giudicato e la frazione sanzionatoria concretamente eseguibile (tra le altre, Sez. 4, n. 29186 del 29/05/2018, COGNOME, Rv. 272966 01; Sez. 2, n. 464 del 16/10/2014, COGNOME, Rv. 261050 – 01; Sez. 2, n. 6287 del 15/12/1999, COGNOME, Rv. 217857 – 01).
Per converso, come evidenziato dalle Sezioni Unite, nell’arresto sopra citato, nessun «dato normativo consente l’esclusione degli organi dell’esecuzione penale dall’esercizio di una funzione tipicamente rientrante nel genus dell’esecuzione stessa e da affrontare anche sulla base dei criteri di computo stabiliti dal codice di rito in materia ». Senza considerare che una tale esclusione «non si concilierebbe con la valorizzazione della fase esecutiva voluta dal legislatore codicistico, che ha visto in essa lo strumento per l’attuazione del principio costituzionale dell’umanizzazione della pena da cui deriva poi quello dell’adeguatezza della medesima con riferimento al fine della possibile rieducazione del condannato » (Sez. U, n. 3423 del 29/10/2020, Gialluisi, cit.).
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Ne discende che, nelle, ipotesi di annullamento parziale senza rinvio di una sentenza, il Pubblico ministero ha il potere-dovere di rivolgersi al Giudice dell’esecuzione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 655 e 665 cod. proc. pen., per risolvere eventuali questioni sull’eseguibilità della sentenza e sull’individuazione della frazione sanzionatoria che deve essere eseguita in relazione ai singoli capi sui cui si è formato il giudicato, potendo la Corte di cassazione soltanto dichiarare quali parti della sentenza parzialmente annullata sono divenute irrevocabili.
Tenuto conto dei parametri ermeneutici richiamati nel paragrafo precedente e passando a considerare il primo motivo di ricorso, con cui si censurava l’illegalità della pena rideterminata in sede esecutiva, deve rilevarsi che il AVV_NOTAIO della Repubblica presso il Tribunale di Patti, in conseguenza della pronuncia della sentenza n. 14063 del 18 gennaio 2024, emessa dalla Corte di cassazione, Quarta Sezione penale, ritenendo sussistenti margini di incertezza in ordine alla pena che doveva essere eseguita nei confronti di NOME COGNOME, con istanza del 23 febbraio 2024, si rivolgeva legittimamente al Tribunale di Patti, quale Giudice dell’esecuzione competente ex art. 665 cod. proc. pen., allo scopo di eliminare ogni dubbio sulla frazione sanzionatoria eseguibile nei riguardi del condannato.
Ne discende che il Tribunale di Patti, ritualmente investito della competenza a provvedere sull’istanza del Pubblico ministero, la cui proposizione si riteneva giustificata dai margini di incertezza relativi alla frazione sanzionatoria eseguibile nei confronti di COGNOME, avrebbe dovuto quantificare la frazione sanzionatoria relativa al capo C dell’originaria rubrica, che riguardava il reato di cui all’art. 4 legge n. 110 del 1975.
Ne deriva ulteriormente che, nel caso di specie, il Giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto tenere conto della natura contravvenzionale del reato di cui all’art. 4 legge n. 110 del 1975, n. 110 – così come novellato dall’art. 4 decretolegge 15 settembre 2023, n. 159, convertito, con modificazioni dalla legge 13 novembre 2023, n. 159, vigente all’epoca dei fatti -, che, per tale fattispecie, nel suo terzo comma, prevede la punizione del colpevole «con l’arresto da sei mesi a un anno e con l’ammenda da 1.000 euro a 10.000 euro».
Questa cornice normativa, come correttamente evidenziato dalla difesa del ricorrente con la doglianza in esame, non consentiva di rideterminare il trattamento sanzionatorio irrogato a NOME COGNOME dal Tribunale di Patti in otto mesi di reclusione, risultando tale sanzione contraria ai parametri edittali previsti per la fattispecie contestata, essendo di specie diversa da quella stabilita dall’art. 4, comma 3, legge n. 110 del 1975, che prevede le sole pene
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dell’arresto e dell’ammenda; conclusioni, queste, che si impongono alla luce della giurisprudenza consolidata di questa Corte, più volte ribadita dalle Sezioni Unite (tra le altre, Sez. U, n. 38809 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 283689 – 01; Sez. U, n. 46653 del 26/06/2015, COGNOME, Rv. 265110 – 01; Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, COGNOME, Rv. 264207 – 01).
Le considerazioni esposte impongono di ritenere fondato il primo motivo di ricorso.
Parimenti fondato deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, con cui si censurava l’illegalità della riduzione della diminuente per il rito abbreviato applicata in executivis, dovendosi evidenziare che il Tribunale di Patti calcolava la diminuzione di un terzo della pena per il rito abbreviato con cui si era proceduto nel giudizio di cognizione, senza considerare che il reato di cui al capo C, riguardando la fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 4 legge n. 110 del 1975, comportava la riduzione della metà della pena, ai sensi dell’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., così come riformulato dall’art. 1 legge n. 103 del 2017.
Non può, in proposito, non richiamarsi la giurisprudenza di legittimità consolidatasi a seguito della modifica dell’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. da parte dell’art. 1 legge n. 103 del 2017, in ultimo ribadita da Sez. 2, n. 33454 del 04/04/2023, Turtur, Rv. 285023 – 01, secondo cui «l’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., come novellato dalla legge 23 maggio 2017, n. 103, nella parte in cui prevede che, in caso di condanna per una contravvenzione, la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita della metà, anziché di un terzo come previsto dalla previgente disciplina, costituisce norma penale di favore ».
Queste ragioni impongono di ribadire la fondatezza del secondo motivo di ricorso.
Le considerazioni esposte impongono l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata, emessa dal Tribunale di Patti 1’8 aprile 2024, in accoglimento di entrambe le censure difensive prospettate nell’interesse di NOME COGNOME.
L’accoglimento del ricorso, tenuto conto dell’illegalità del trattamento sanzionatorio applicato al ricorrente in executivis, comporta la rideteminazione della pena irrogata dal Tribunale di Patti, che, non essendo necessari ulteriori accertamenti processuali, può essere disposta da questo Collegio ai sensi dell’art. 620, comma 1, lett. l), cod. proc. pen.
Ne discende conclusivamente che, tenuto conto dei limiti edittali previsti dall’art. 4, comma 3, legge n. 110 del 1975, la pena irrogata a NOME COGNOME per il reato di cui al capo C dell’originaria rubrica, applicata la diminuente per i rito abbreviato con cui si procedeva davanti al Tribunale di Patti nel giudizio di cognizione, nella misura prevista dall’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. per le fattispecie contravvenzionali, deve essere rideterminata in tre mesi di arresto e 500,00 euro di ammenda.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la ordinanza impugnata, rideterminando la pena per il reato di cui all’art. 4 legge n. 110 del 1975, con la diminuente del rito abbreviato, in mesi tre di arresto ed euro 500,00 euro di ammenda.
Così deciso 1’11 settembre 2024.