Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 29510 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 2 Num. 29510 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a MONTEMURRO il 28/03/1964,
avverso la sentenza del 22/11/2024 della Corte di Appello di POTENZA;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
rilevato che il presente procedimento è stato trattato con il rito “de plano”;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza resa in data 22 novembre 2024 la Corte d’Appello di Potenza confermava la sentenza emessa il 4 ottobre 2021 dal Tribunale di Potenza con la quale COGNOME NOME era stato dichiarato colpevole dei resti di cui agli artt. 493 ter, 61, n. 2), e 624 cod. pen. e condannato alle pene di legge.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, chiedendone l’annullamento e articolando tre motivi di doglianza.
Con il primo motivo deduceva inosservanza o erronea applicazione degli artt. 445, comma 2, cod. proc. pen., 106, 164 e 167 cod. pen. in relazione alla valutazione della rilevanza della sentenza annotata sul certificato del casellario giudiziale in atti con riferimento alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena, e ancora mancanza di motivazione in rdlazione all’art. 125, n. 3), cod. proc. pen.
Osservava che la Corte d’Appello non aveva fatto riferimento ad alcuno degli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen. e non aveva effettuato un giudizio prognostico sul futuro comportamento dell’imputato, essendosi limitata a fare riferimento alle risultanze del casellario giudiziale.
Deduceva che il reato oggetto della sentenza annotata sul certificato del casellario giudiziale era estinto ai sensi dell’art. 445, comma 2, cod. proc. pen., non avendo l’imputato, nei cinque anni successivo, commesso ulteriori reati, che la detta disposizione prevedeva espressamente l’estinzione di ogni effetto penale e che ai sensi dell’art. 106, comma 2, cod. pen. nel caso di estinzione degli effetti penali non doveva tenersi conto della precedente condanna per la quale era intervenuta l’estinzione del reato.
Con il secondo motivo deduceva erronea applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. e mancanza di motivazione in relazione all’art. 125, n. 3), cod. pen. in relazione alla mancata valutazione del fatto come di particolare tenuità.
Assumeva che i fatti contestati erano caratterizzati da episodicità e da un’offensività minima e che l’imputato aveva ammesso la propria responsabilità e aveva provveduto a risarcire il danno patito dalla persona offesa.
Con il terzo motivo deduceva violazione degli artt. 95 del d. Igs. n. 150/2022, 545-bis e 598-bis, commi 1-bis e 4-ter, cod. proc. pen., 53, 56-quater e 58 della legge n. 689/1981, 122 cod. proc. pen.
Contestava, in particolare, la decisione con cui la Corte territoriale aveva dichiarato inammissibile la richiesta, formulata dalla difesa in via subordinata, di applicazione di una pena sostitutiva, osservando che la richiesta non aveva indicato la pena sostitutiva richiesta, che non era stato acquisito il consenso dell’imputato, che non risultava essere stata rilasciata specifica procura speciale al difensore, successiva all’entrata in vigore della normativa richiamata, applicabile dal 30 dicembre 2022.
Assumeva che la nuova disciplina delle pene sostitutive dettata dalla cosiddetta riforma Cartabia era immediatamente applicabile ai processi pendenti in grado di appello, che la richiesta di applicazione di pena sostitutiva poteva essere formulata, al più tardi, all’udienza di discussione nel corso del giudizio di appello, che nel caso di specie, trattandosi di richiesta cartolare, la richiesta era stata avanzata con memorie del 10 febbraio 2024 e del 16 ottobre 2024 e che la pena inflitta poteva essere sostituita con la pena pecuniaria sostitutiva, senza che fosse necessario che la richiesta esplicitasse il tipo di pena richiesta, che neppure era necessaria una nuova procura speciale successiva all’entrata in vigore della
riforma Cartabia, non essendo necessaria la procura speciale per la richiesta di applicazione della pena pecuniaria sostitutiva.
Il ricorso è inammissibile in quanto tardivo.
Ed invero, la sentenza di appello è stata emessa il 22 novembre 2024 con l’indicazione del termine di novanta giorni per il deposito della motivazione.
La motivazione è stata depositata il 3 dicembre 2024, dunque entro il termine fissato, che è scaduto il 20 febbraio 2025.
A mente dell’art. 585, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., il termine per proporre ricorso per cassazione era, nel caso di specie, pari a quarantacinque giorni, decorrenti dal 21 febbraio 2025, e pertanto è scaduto in data 7 aprile 2025.
Va precisato che, in tema di impugnazioni, nel caso in cui il giudizio di appello sia stato trattato con procedimento camerale non partecipato e non sia stata avanzata tempestiva istanza di partecipazione ex art. 598-bis, comma 2, cod. proc. pen. (è il caso di specie, in assenza di deduzioni contrarie del ricorrente), l’imputato appellante non può considerarsi “giudicato in assenza”, in quanto, in tal caso, il processo è celebrato senza la fissazione di un’udienza alla quale abbia diritto di partecipare, sicché, ai fini della presentazione del ricorso per cassazione, lo stesso non potrà beneficiare dell’aumento di quindici giorni del termine per l’impugnazione previsto dall’art. 585, comma 1-bis, cod. proc. pen. (v. Sez. 6, n. 49315 del 24/10/2023, L., Rv. 285499 – 01; nello stesso senso Sez. 2, n. 14171 del 25/03/2025, Immesi, non massimata).
Il ricorso per cassazione è stato depositato il 12 aprile 2025, dunque successivamente alla scadenza del detto termine, e pertanto è tardivo.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile; il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 29/05/2024