Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 37852 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 37852 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME, nata a Cosenza il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/05/2025 della Corte di cassazione visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udite le conclusioni del Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udito l’AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, difensore di NOME, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 19645 del 9 maggio 2025, la Seconda sezione di questa Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto da NOME COGNOME
avverso la sentenza del 17 settembre 2024, con cui la Corte di appello di Catanzaro l’aveva condannata per il delitto di cui all’art. 493ter cod. pen.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso straordinario ex art. 625bis cod. proc. pen. il difensore di NOME COGNOME.
La ricorrente è stata tratta a giudizio per il reato di cui all’art. 55, comma 9, d. lgs. n. 231 del 2007 ma condannata per il reato di cui all’art. 4 93ter cod. pen., introdotto nel 2018 e, quindi, successivamente alla commissione dei fatti a lei ascritti.
Nella prospettazione difensiva, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza della Seconda sezione di questa Corte, l’art 493ter cod. pen. è norma più sfavorevole al reo rispetto all’art. 55, comma 9, d. lgs. n. 231 del 2007, in quanto la fattispecie in esso prevista prescinde dal conseguimento di un profitto, che era elemento costitutivo della originaria fattispecie. Quindi, la diversa struttura del reato di cui all’art. 493 -ter cod. pen. rende irrilevante il consenso della persona offesa all’utilizzo dello strumento di pagamento, consenso che, invece, aveva effetto scriminante rispetto al reato di cui all’art. 55, comma 9, del d. lgs. n. 231 del 2007. Per questo, l’applicazione della norma sopravvenuta violerebbe il divieto di retroattività della norma sfavorevole di cui agli artt. 25 Cost. e 7 CEDU.
In secondo luogo, la difesa ha rilevato che la modifica del titolo di reato per cui è intervenuta condanna avrebbe dovuto essere preceduta dalla modifica dell’imputazione, ai sensi dell’art. 516 cod. proc. pen., che, che nel caso di specie, è mancata, con conseguente violazione dell’art. 6, par. 3, lett. a) CEDU, che riconosce all’accusato il diritto di essere informato non soltanto dei motivi dell’accusa ma anche della natura della stessa, ossia della qualificazione giuridica data al fatto.
Quanto all’ammissibilità del ricorso, la difesa ha richiamato la sentenza Drassich (Sez. 2, n. 37413 del 15/05/2013, Rv. 256651 -01), per rilevare che lo strumento di cui all’art. 625bis cod. proc. pen. è idoneo a rimediare alle ipotesi di inosservanza della Convenzione EDU verificatesi nell’ambito del processo di legittimità, poiché consente di porre l’interessato in una situazione equivalente a quella in cui si sarebbe trovato qualora non ci fosse stata alcuna violazione della medesima Convenzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
L’art. 625bis, comma 1, cod. proc. pen. prevede, a favore del condannato, il ricorso straordinario per « errore materiale o di fatto contenuto nei provvedimenti pronunciati dalla Corte di cassazione » .
Ai fini dell’ammissibilità di tale ricorso quindi, è necessario che sia denunciata una disattenzione di ordine meramente percettivo, causata da una svista o da un equivoco, la cui presenza sia immediatamente e oggettivamente rilevabile in base al semplice controllo del contenuto del ricorso, e che abbia determinato una decisione diversa da quella adottata, dovendosi escludere che il rimedio straordinario possa essere utilizzato al fine di denunciare un errore di valutazione o di interpretazione di norme giuridiche (Sez. 6, Ordinanza n. 2945 del 25/11/2008, Caso, Rv. 242689 -01).
Nel caso di specie il ricorrente, pur qualificando il denunciato errore come ‘di fatto’, in realtà contesta la valutazione giuridica, in materia di successione di leggi nel tempo, compiuta dalla sentenza impugnata.
La Seconda sezione, infatti, ha rilevato che « l’abrogazione dell’art. 55, comma 9, d. lgs. n. 231 del 2007, ad opera del d. lgs. 1 marzo 2018, n. 21, con la contestuale introduzione dell’art. 493 -ter cod. pen., integra una ipotesi di continuità normativa che non comporta una abolitio criminis ‘ (sul punto si veda anche Sez. 4, n. 13492 del 21/01/2020, NOME, Rv. 279002 -02).
Il motivo, quindi, è inammissibile perché proposto per motivi non consentiti, ossia per proporre una interpretazione normativa diversa da quella adottata dalla Corte di cassazione.
Il ricorrente ha, poi, rilevato che la modifica del titolo di reato per cui è intervenuta condanna avrebbe dovuto essere preceduta da una modifica della contestazione, il cui difetto determinerebbe una violazione dell’a rt. 6, par. 3, lett. a) CEDU.
La censura è inammissibile, in quanto estranea al perimetro delle questioni proponibili con il ricorso straordinario ex art. 625bis cod. proc. pen. (prospettazione di un errore materiale o di fatto della pronuncia della Corte di cassazione).
Non si dubita, cioè, dell’astratta compatibilità del rimedio del ricorso straordinario ai sensi dell’art. 625bis citato con la violazione dei principi della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, come interpretati dalla giurisprudenza di Strasburgo (cfr. Sez. 2, n. 28917 del 02/07/2020, Ricci, Rv. 279701 – 01, in riferimento alla violazione dell’art. 6 , par. 3, lett. d), CEDU); perché, però, in caso di violazione delle norme convenzionali – così come di ogni altra violazione di legge – possa ricorrersi allo strumento del ricorso straordinario ex art. 625bis cod. proc.
pen., occorre che in relazione a tale violazione ricorra un errore materiale o un errore di fatto, gli unici che consentono di invocare la rimozione del giudicato.
Nel caso di specie, invece, la violazione dell’art. 516 cod. proc. pen., che impone al pubblico ministero di formulare una nuova contestazione quanto ‘i l fatto risulta diverso da come è descritto nel decreto che dispone il giudizio ‘ , è prospettata come errore di diritto e non come errore di fatto.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 29/10/2025
Il AVV_NOTAIO estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME