Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 32835 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 2 Num. 32835 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso straordinario proposto da:
COGNOME NOME, nato a San Calogero il DATA_NASCITA
avverso la sentenza n. 1646 del 30/10/2024, dep. 2025, della Corte di cassazione visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso straordinario; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con la sentenza n. 1646 del 30/10/2024, depositata il 14/01/2025, la Sesta sezione penale della Corte di cassazione dichiarava inammissibile il ricorso che era stato proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del 13/02/2024 della Corte d’appello di Milano con la quale era stata confermata la sentenza del 09/01/2023 del Tribunale di Como di condanna dello stesso COGNOME per il reato di esercizio abusivo della professione di avvocato (art. 348 cod. pen.).
Avverso l’indicata sentenza n. 1646 del 30/10/2024 della Sesta sezione penale della Corte di cassazione, ha proposto ricorso straordinario, ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., per il tramite del proprio difensore e procuratore speciale AVV_NOTAIO, NOME COGNOME, affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente avanza «ichiesta di correzione dell’errore materiale e di fatto in relazione all’art. 606 lett. e) c.p.p. per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza in particolare con riferimento alla disamina degli elementi probatori».
Dopo avere trascritto il capo d’imputazione, il ricorrente espone che, in ordine al fatto che era in esso enunciato, sarebbe «stato ampiamente accertato in sede di giudizio che il COGNOME non ha mai commesso il reato a lui ascritto in quanto provato dal certificato rilasciato dall’Ufficio della Commissione Tributaria di primo grado di Como, prova inequivocabile, depositato in atti, col quale si certifica che COGNOME non ha mai presentato ricorsi nell’interesse di COGNOME NOME né l’abbia mai difesa in quella sede. Su tale prova nessuna motivazione è stata fornita né dalla Corte di Appello di Milano né dalla Suprema Corte di Cassazione». Egli aveva «depositato il certificato che comprova la sua esclusione dal reato formulato con il capo d’imputazione a lui ascritto. La prova appare inequivocabile» e «nessuno dei due uffici giudiziari ha fatto menzione di tale elemento probatorio certo».
Diversamente da quanto sarebbe stato affermato nella sentenza impugnata, sarebbe quindi «ampiamente provato in atti che l’imputato non ha mai redatto alcun ricorso indirizzato alla Commissione Tributaria di primo grado di Como», come era stato confermato anche dai testimoni AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO, i quali «hanno espressamente confermato di aver redatto loro personalmente i ricorsi diretti alle rispettive Commissioni Tributarie. Nonostante tale affermazione, la Corte di Cassazione, seppur inserita come lagnanza nel ricorso, ha insistito ad affermare, senza alcun elemento probatorio, la responsabilità sul punto dell’imputato», ritenendo «credibile la verità della parte offesa che ha palesemente un interesse in causa», anziché le «dichiarazioni testimoniali dei due professionisti in campo giuridico».
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta: «rrata analisi sull’applicazione della continuazione del reato con riferimento alla violazione dell’art. 606 c.p.p.».
Espone che la Sesta sezione penale avrebbe «ritenuto l’esistenza del reato continuato in quanto l’imputato nel 2017 ha consigliato la parte offesa a fare ricorso in Cassazione».
Tuttavia, secondo il COGNOME, tale «circostanza non è stata attentamente esaminata, per come risulta dagli atti processuali», atteso che « stato ampiamente evidenziato che l’imputato e la parte offesa non si vedevano e non si sentivano sin dal 2015 (cfr. testimonianza dell’AVV_NOTAIO) e che l’incontro è avvenuto per espressa richiesta della parte offesa in un luogo lontano dallo studio», e atteso anche che l’«imputato non ha consigliato ma si è limitato a rispondere alle richieste avanzate dalla parte civile (come la stessa afferma nel suo interrogatorio in sede dibattimentale) e cioè se l’imputato conoscesse un cassazionista. Il AVV_NOTAIO ha dato delle indicazioni di un suo conoscente e, sempre su richiesta, l’ha accompagnata davanti all’ingresso del professionista. Dopo quest’ultimo incontro l’imputato non ha più rivisto la parte civile».
Il ricorrente afferma che «Mali fatti sono risultanze processuali acclarate e non sono frutto di fantasia» e anche in ordine a esse «vi è stata un’erronea disamina dei fatti processuali».
Aggiunge che, «er come si sono svolti i fatti, in primis manca lo spaziotemporale dei fatti», atteso che «a frequentazione vera tra l’imputato e la parte offesa vi è stata fino al 2013, data della sentenza tributaria di primo grado. Un semplice consiglio disinteressato, rilasciato su richiesta della parte offesa, non può considerarsi atto tipico di un’attività professionale tanto da ritenerla continuata».
2.3 Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta: «iolazione dell’art. 606 c.p.p. Mancata applicazione della legge sulla recidiva dell’imputato ex art. 99 co 4 c.p.». Secondo il COGNOME, sarebbe «assai visibile l’errore» là dove la sentenza impugnata «indica la giustificazione del nome errato e confuso con altro imputato dove a carico dello stesso esistono reati commessi fino al 2010. Ovviamente riguardano tale COGNOME farmacista e non l’imputato COGNOME NOME. In buona sostanza si contestano all’imputato comportamenti di altro soggetto».
Il ricorrente precisa, infine, che «ella fattispecie che ci riguarda l’ul reato, anche della stessa indole, si è verificato nel lontano 2006».
Si deve rammentare che l’errore materiale e l’errore di fatto, indicati dall’art. 625-bis cod. proc. pen. come motivi di possibile ricorso straordinario avverso i provvedimenti della Corte di cassazione, consistono, rispettivamente: a) il primo, nella mancata rispondenza tra la volontà, correttamente formatasi, e la sua estrinsecazione grafica; b) il secondo, in una svista o in un equivoco nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, il cui contenuto viene percepit modo difforme da quello effettivo, con la conseguenza che rimangono del tutto estranei all’area dell’errore di fatto – e sono, quindi, inoppugnabili – quegli erro che consistono non in una fuorviata rappresentazione percettiva ma in errori di valutazione e di giudizio dovuti a una non corretta interpretazione degli atti del processo di cassazione, da assimilare agli errori di diritto conseguenti all’inesatta ricostruzione del significato delle norme sostanziali e processuali (Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011, COGNOME, Rv. 250527-01; Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, COGNOME, Rv. 221280-01. Successivamente: Sez. 5, n. 29240 del 01/06/2018, COGNOME, Rv. 273193-01; Sez. 3, n. 47316 del 01/06/2017, COGNOME, Rv. 271145-01; Sez. 4, n. 3367 del 04/10/2016, dep. 2017, Troise, Rv. 268953-01).
Tali principi, affermati dalla Corte di cassazione, rendono palese come la richiesta del ricorrente si collochi al di fuori delle ipotesi, previste dal comma dell’art. 625-bis cod. proc. pen., sia dell’errore materiale sia dell’errore di fatto.
Appare, anzitutto, palese come in nessuno dei tre motivi di ricorso siano evidenziati errori attinenti all’estrinsecazione grafica della volontà della Sesta
sezione penale, con la conseguenza che le censure sollevate con gli stessi motivi esulano senz’altro dall’ambito dell’indicata nozione di errore materiale.
6. Le medesime censure sono altresì estranee, in secondo luogo, all’ambito dell’indicata nozione di errore di fatto, atteso che: a) quanto a quelle di cui a primo motivo, la Sesta sezione penale ha dato atto della lagnanza del ricorrente secondo cui «non sarebbe stata considerata l’attestazione della Commissione Provinciale di Como» e «sarebbe stato trascurato che gli AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO avevano dichiarato in dibattimento di avere essi presentato il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME» (pag. 2, punto 2.1), ma ha ritenuto tali elementi non decisivi sulla considerazione «che l’imputato aveva svolto in modo continuativo attività di consulenza legale e predisposto anche ricorsi, a nulla rilevando che tali atti non fossero stati da lui firmati» (primo capoverso della pag. 4); b) quanto alle censure di cui al secondo motivo, la Sesta sezione penale ha esaminato pure la lagnanza, anch’essa riproposta in questa sede, con la quale il COGNOME aveva contestato di avere reiterato la condotta di esercizio abusivo della professione di avvocato fino al 2017 e aveva sostenuto che il reato si era consumato nel 2013 ed era, perciò, prescritto (pag. 2, punto 2.2), ma ha ritenuto che l’ultimo atto tipico di esercizio abusivo della suddetta professione fosse stato quello compiuto dal AVV_NOTAIO nel 2017 e che tale atto segnava la consumazione del reato (punto 3 del “Considerato in diritto”); c) quanto alle censure di cui al terzo motivo, la Sesta sezione penale ha scrutinato pure la lagnanza, anch’essa qui riproposta, con la quale il COGNOME aveva lamentato che, ai fini dell’applicazione della recidiva, era stata considerata la posizione di un altro imputato e che l’ultimo reato a lui attribuito risaliva al 2006, ma ha ritenuto che la Corte d’appello di Milano avesse motivato l’applicazione della suddetta circostanza aggravante in conformità agli orientamenti della Corte di cassazione al riguardo e che il riferimento a un altro imputato, esercente la professione di farmacista, costituiva «un mero ed evidente lapsus», il quale non aveva inciso sulla tenuta argomentativa della sentenza. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Da quanto si è esposto, risulta evidente che il condannato, lungi dall’avere evidenziato degli errori percettivi causati da una svista o da un equivoco nei quali sarebbe in ipotesi incorsa la Sesta sezione penale nella lettura degli atti interni al giudizio di cassazione, ha in realtà sostanzialmente riproposto un’ulteriore e non consentita impugnazione ordinaria, deducendo degli errori di valutazione – talora anche degli elementi probatori (errori che dovevano essere fatti eventualmente valere, qualora risoltisi in un travisamento del fatto o della prova, nelle forme e nei limiti dell’impugnazione ordinaria) – e di giudizio, o degli errori di diritto sarebbero stati compiuti dalla stessa Sesta sezione, cioè degli errori rispetto ai
quali resta fermo il principio dell’inoppugnabilità dei provvedimenti della Corte di cassazione.
Da quanto precede discende che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con procedura cosiddetta de plano, a norma del comma 4 dell’art. 625-bis cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 14380 del 01/02/2024, Araniti, Rv. 28636801).
Dalla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, consegue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di C 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 26/09/2025.