Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 33189 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME
Penale Sent. Sez. 1 Num. 33189 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/07/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a COLLE SANNITA il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 15/10/2024 della CORTE DI CASSAZIONE di Roma udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata, la Corte di cassazione, Quinta Sezione penale, ha rigettato il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME, avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli che ha confermato la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Benevento per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
2.NOME COGNOME, a mezzo del difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, ha proposto ricorso straordinario, ai sensi dell’art. 625bis cod. proc. pen., chiedendo la correzione di errori di fatto di tipo percettivo della menzionata pronuncia rilevando quanto di seguito indicato.
2.1. In primo luogo, il ricorrente ha dedotto che la Corte di cassazione, ha richiamato erroneamente la massima della sentenza n. 1184 del 2019 – che ammette il rigetto implicito della richiesta di rinnovazione dibattimentale motivato con la sussistenza di altri elementi di prova idonei a dimostrare la responsabilità dell’imputato – in quanto nella fattispecie emergeva chiaramente la lacunosità, nei giudizi di merito, della presunta distrazione di somme. In particolare, nel ricorso si dà atto che la Corte di cassazione rigettava il motivo di ricorso con cui si censurava la mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale mediante la perizia contabile, travisando la finalità della perizia; nella sentenza si assumeva che l’istanza era finalizzata a provare che le somme prelevate in contanti dall’imputato sarebbero poi state destinate a scopi inerenti all’oggetto sociale e si affermava che la Corte di appello avesse implicitamente motivato sull’istanza evidenziando che l’imputato non aveva fornito alcuna documentazione utile e che, quanto alla considerazione che le somme prelevate in contanti fossero oggetto di operazioni di versamento su altri conti correnti della società per far fronte alle necessità imprenditoriali, si affermava che la Corte di appello non avrebbe potuto motivare in proposito, trattandosi di deduzione formulata per la prima volta con il ricorso per cassazione. In tale parte della motivazione vi sarebbe – ad avviso del ricorrente –
un duplice errore di fatto da parte della Corte di cassazione, in quanto diversamente da quanto da essa affermato: a) la perizia era finalizzata ad accertare che sia i versamenti, sia l’acquisto di autovetture non costituissero attività di distrazione; b) la deduzione sopra indicata era già stata enunciata nei motivi di appello.
2.2. In secondo luogo il ricorrente deduce l’ulteriore errore di fatto nella parte in cui la sentenza (pag. 6 e 7) esclude la cd. bancarotta riparata in quanto la somma messa a disposizione dal COGNOME Ł frutto di proventi della medesima società e non dell’imputato. Ad avviso del ricorrente si tratterebbe di un errore di fatto in quanto sarebbe stato acclarato in giudizio che la somma di 70.000,00 euro proviene direttamente dal COGNOME in persona e non da lui in quanto amministratore.
3.Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso Ł inammissibile.
1.1. Giova premettere che in tema di ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, ai sensi dell’art. 625bis cod. proc pen., «[l]e Sezioni Unite della Corte di cassazione (n. 18651 del 26/03/2015, COGNOME, Rv. 263686; n. 16103 del 27/03/2002, COGNOME, Rv. 221280) hanno chiarito che l’errore di fatto, verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen., consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso; errore ulteriormente connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali, che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso mentre, qualora la causa dell’errore verificatosi (o additato come tale) non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, si Ł al piø di fronte ad un errore di giudizio, non deducibile mediante l’impugnazione straordinaria. Il rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. non rappresenta quindi uno strumento da adoperare per ottenere mere rivalutazioni, rispetto a quanto deciso dalla Corte di legittimità: non possono trovare ingresso le censure di tipo genericamente rivalutativo, pur in presenza di interpretazioni delle norme o dei contenuti delle decisioni di merito che si espongano a critiche. Tale assetto risulta, del resto, funzionale alla necessità di tutelare – entro i limiti della ragionevolezza – il giudicato, quale fonte di certezza e stabilità delle decisioni giurisdizionali …»; (Sez. I n. 23261 del 2025, non mass.)
2. Tanto premesso va rilevato che il travisamento denunciato con il primo motivo non sussiste. Dalla sentenza della Corte d’appello risulta chiaro che la stessa ha implicitamente ritenuto rigettata la richiesta di perizia contabile sicchØ in relazione a questa interpretazione del giudice di appello, non vi Ł alcun errore di fatto o travisamento; inoltre, la lettura dell’atto di appello dimostra che l’imputato non contestava di avere effettuato i prelievi dal conto corrente della società indicati nel capo di imputazione e che la linea difensiva era che l’accusa avrebbe dovuto provare che i prelevamenti fossero stati effettuati per ragioni diverse dall’attività imprenditoriale e non l’imputato a dover dimostrare il contrario; ed ancora, che la richiesta di perizia contabile, ai sensi dell’art. 508 cod. proc. pen., estesa anche agli altri conti correnti della società era diretta a fornire un quadro completo dei rapporti bancari di tutti i conti correnti riferibili alla società non potendosi ricostruire i movimenti economici sulla base di uno dei quattro conti. Pertanto alla luce di tali deduzioni,
la Corte d’appello ha applicato il principio di diritto secondo cui il giudice d’appello ha l’obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento nel solo caso di suo accoglimento, mentre può anche motivarne implicitamente il rigetto, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare o negare la responsabilità del reo. (Sez. 4, n. 1184 del 03/10/2018, dep. 2019, Motta, Rv. 275114 – 01); e dunque, i giudici di appello hanno posto tale principio alla base dell’affermazione che se l’amministratore non fornisce la dimostrazione della destinazione del denaro prelevato al soddisfacimento delle esigenze della società, si può trarre da ciò la prova della distrazione. La Corte di appello ha dunque ritenuto che i prelievi erano documentali e nessuna prova era stata fornita della destinazione di quell’importo, piuttosto rilevante, alle attività imprenditoriali. E tale motivazione Ł stata ritenuta corretta dalla Corte di cassazione. Inoltre, risultando dall’atto di appello, come sopra evidenziato, che la perizia era finalizzata alla ricostruzione della movimentazione bancaria complessiva e non alla verifica che il denaro prelevati da un conto corrente fosse stato versato su altri conti correnti, deve rilevarsi che tale specifica doglianza Ł stata dedotta effettivamente con il ricorso per cassazione, non potendo pertanto essere valutata dalla Corte di appello, come sostenuto nella sentenza della Corte di cassazione. Alla luce di tali considerazioni, non risulta che nella specie vi sia stata una inesatta percezione delle risultanze processuali.
Anche il travisamento denunciato con il secondo motivo non sussiste. L’ errore sulla provenienza della somma di euro 70.000 corrisposta al liquidatore della società non sussiste; la sentenza della Corte di cassazione dà atto che tale somma, secondo la Corte d’appello, Ł stata sì messa a disposizione personalmente dall’ imputato, ma che correttamente i giudici di merito hanno escluso la cd. bancarotta riparata perchØ l’ulteriore somma di euro 236.000,00, – ricavata dalla vendita di uno stock di auto dalla società fallita ad un’altra società e versata sui conti della società- non Ł stata personalmente versata dall’imputato attingendo a risorse proprie. Non potendo pertanto configurarsi la predetta ipotesi di bancarotta cd. riparata la quale presuppone l’intera restituzione delle somme sottratte, mentre nel caso di specie la somma di euro 70.000 era inferiore a quella distratta pari a 266.367,49). Da quanto appena affermato, risulta l’irrilevanza dell’asserito ulteriore errore di fatto concernente il destinatario della somma di euro 236.000,00 ovvero il liquidatore o i creditori della società, avendo la Corte di cassazione ritenuto che la bancarotta riparata non poteva essere riconosciuta per il motivo sopra indicato.
Alla luce delle esposte considerazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla pronuncia di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così Ł deciso, 04/07/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME