Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 17190 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 17190 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Matera il 30/07/1954;
avverso la sentenza della Corte di cassazione, Quinta Sezione penale, n.36041/2024 del 09/07/2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso straordinario;
letta la memoria di replica dell’avv. NOME COGNOME il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso straordinario.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Venezia, con sentenza pronunciata il giorno 18 ottobre 2023, riformava, solo con riferimento alla durata delle pene accessorie fallimentari, la decisione del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Padova che – in sede di giudizio abbreviato – aveva accertato la responsabilità penale di NOME COGNOME e NOME COGNOME condannandoli alla pena di anni cinque di reclusione, oltre alle pene accessorie ed al pagamento delle spese processuali. Gli imputati erano stati anche condannati, in solido, alla rifusione in favore della parte civile RAGIONE_SOCIALE, del danno liquidato in via definitiva in euro 6.554.545,00.
1.1. In particolare, NOME COGNOME (quale amministratore delegato dal 29 ottobre 2010 e poi amministratore unico dal 13 maggio 2011 della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita dal Tribunale di Padova in data 10 ottobre 2013) ed NOME COGNOME (in qualità di socio e presidente del consiglio di amministrazione della medesima società) sono stati ritenuti responsabili del delitto di bancarotta fraudolenta per aver cagionato, per effetto di operazioni dolose, il fallimento della società, attraverso tre operazioni, avvenute la prima il 2 ottobre 2010 con la stipulazione di un contratto di associazione in partecipazione agli utili con la società RAGIONE_SOCIALE con apporto di 1.400.000,00 euro oltre IVA (con contestuale sottoscrizione di un contratto di acquisto di know how dal Complesso Turistico Serramarina per l’importo di euro 900.000,00); la seconda con l’assunzione dell’obbligazione di versare almeno 2.160.000,00 euro entro il 31 ottobre 2011, per l’eventuale acquisto di una quota tra il 4,5% e 1’8% di un presunto credito di 48 milioni di euro che RAGIONE_SOCIALE vantava nei confronti di due società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE la terza mediante sottoscrizione il giorno 25 novembre 2011 di un contratto di acquisto da RAGIONE_SOCIALE (legalmente rappresentata dal COGNOME) del 6°/o delle azioni di quest’ultima società con assunzione dell’obbligo di versare la somma di 2.200.000,00 euro a titolo di finanziamento soci. Tali operazioni erano state valutate gravemente antieconomiche e determinanti il dissesto RAGIONE_SOCIALE tenuto conto della circostanza che le condotte degli imputati erano connotate da fraudolenza, e da
carenza di interesse della società amministrata dal COGNOME, potendo dalle stesse solo trarsi aggravamenti della esposizione debitoria.
La Corte territoriale aveva rilevato anche come le tre operazioni prima descritte non avessero le caratteristiche di convenienza se non apparente: tale affermazione emergeva dalla relazione redatta dal perito nominato nel giudizio di appello.
1.2. Avverso la citata sentenza della Corte di appello di Venezia gli imputati proponevano, a mezzo dei loro difensori, ricorso per cassazione; in particolare, per quanto di interesse in questa sede, il ricorso del COGNOME era fondato su tre motivi. Con il primo motivo si contestava l’inosservanza o erronea applicazione degli artt. 223 I. fall., 2639 cod. civ., 125 e 546 lett. e) cod. proc. pen. Invero, sebbene il Giudice per le indagini preliminari prima e la Corte di appello poi avessero ancorato il giudizio di responsabilità penale alla originaria contestazione del Pubblica ministero senza considerare la contestazione ex art. 516 cod. proc. pen. formulata dalla pubblica accusa il giorno 22 marzo 2016, tuttavia i giudici di merito avevano omesso di accertare l’esistenza di indici di fraudolenza. Inoltre, il ricorrente si doleva della circostanza che la Corte di appello non avesse individuato indici di fraudolenza nella propria condotta, al fine della estensione delle qualifiche soggettive alli extraneus, oltre alla mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della sentenza. Con il secondo motivo si contestava l’inosservanza o erronea applicazione degli artt. 223 e 224 I. fall. In particolare, le operazioni di acquisizione azionaria/immobiliare erano state caratterizzate da imprudenza ed aleatorietà e come tali non potevano ritenersi dolose, tenuto conto che i contratti erano stati redatti da un prestigioso studio legale, potendo al più procedersi alla riqualificazione nella fattispecie lieve di cui all’art. 224 I. fa sussistendone i presupposti di fatto che giustificano l’atteggiamento colposo. Con il terzo motivo si censurava la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della sentenza. Infatti, l’aleatorietà delle operazioni negoziali confliggeva con l’eventuale prevedibilità dell’evento del dissesto; nello specifico, il ricorrente ricostruiva le tre operazioni contestate, deducendone la piena legittimità. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La Quinta sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza riportata in epigrafe (pubblicata il giorno 26 settembre 2024), rigettava i ricorsi degli imputati; in particolare, osservava che la Corte territoriale aveva fatto
corretta applicazione dei principi in materia di bancarotta per cagionamento del fallimento con operazioni dolose avendo ritenuto – sulla scorta della perizia espletata nel corso del giudizio di appello – che le operazioni specificatamente descritte nel capo di imputazione erano prive di utilità sul piano economico e finanziario per la società fallita. Doveva ritenersi, pertanto, adeguata la motivazione sul punto, avendo la Corte di merito operato un corretto riferimento all’intera operazione dolosa e non alle singole condotte dissipative o distrattive, osservando, con congruità di ragionamento, che: a) la RAGIONE_SOCIALE aveva assunto impegni contrattuali, con rilevanti esborsi economici, nei confronti di società (riconducibili al Barchiesi in quanto titolare di azioni ovvero legale rappresentante delle stesse, che si trovava quindi in una situazione di conflitto di interesse) che avevano andamento economico pessimo (RAGIONE_SOCIALE che sebbene fosse stata destinataria di finanziamenti da parte del Ministro delle politiche agricole, tuttavia si trattava dagli anni 2005 e 2006, di molto anteriori alla sottoscrizione del contratto, senza poi essere più destinataria di alcuna forma di finanziamento) ovvero caratterizzate da rilevanti perdite gestionali (complesso turistico di proprietà delle società austriache RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ed ancora con patrimonio netto negativo (CTS GMBH); b) le operazioni si caratterizzavano per remuneratività realisticamente inverosimile, in assenza di evidenze documentali o dati previsionali che consentissero di ipotizzare una possibilità di rientro dell’ingente investimento effettuato (addirittura con riferimento alla terza operazione, il perito della Corte ha accertato una remuneratività complessiva annua del capitale investito pari ad oltre il 30%, assai vicina alla soglia usuraria, a dimostrazione della inverosimiglianza della fattibilità della operazione); c) le operazioni erano state attuate senza alcuna forma di garanzia a copertura dei rischi connessi all’esborso economico; d) in relazione all’acquisto dell’albergo Velden (seconda operazione contestata), la criticità dell’operazione economica era stata riconosciuta nella due diligence della Deloitte e in quella operata dallo studio COGNOME & COGNOME che avevano accertato come tale investimento era basato su un insieme di ipotesi che includevano assunzioni ipotetiche relative ed eventi futuri ed azioni degli organi amministrativi della società che non necessariamente si sarebbero verificate; e) era ravvisabile il nesso di causalità tra tali operazioni ed il fallimento della RAGIONE_SOCIALE tenu conto che si era trattato delle uniche operazioni compiute da parte di una società Corte di Cassazione – copia non ufficiale
con mezzi economici ridotti, con conseguente esposizione finanziaria per svariati milioni di euro. Al riguardo la Corte di legittimità osservava che le “operazioni dolose” di cui alla I. fall., art. 223, comma 2, n. 2, non richiedono affatto la qualificazione delle condotte in termini di illeciti penali, ma soltanto l’accertamento di abusi di gestione o di infedeltà ai doveri imposti dalla legge all’organo amministrativo nell’esercizio della carica ricoperta, ovvero di atti intrinsecamente pericolosi per la “salute” economico-finanziaria della impresa e postulano una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato. Pertanto, la Corte di appello aveva esposto le ragioni per cui lo aveva ritenuto antieconomico e più che prevedibilmente foriero del dissesto (quanto meno in termini di aggravio), in particolare per il prezzo corrisposto alle controparti negoziali che versavano in situazioni economiche precarie, per l’inverosimiglianza dell’attuazione del relativo piano industriale; ed i motivi di ricorso non avevano mosso compiute censure di legittimità a tale iter e non avevano neppure indicato quali doglianze prospettate con il gravame non sarebbero state apprezzate. La Corte d’appello in modo non manifestamente illogico aveva, quindi, tratto la prova della finalità distrattiva dall’assenza di corrispettivo e di azioni recuperatone a riguardo da parte della RAGIONE_SOCIALE, con l’effetto di favore per le società facenti comunque capo al Barchiesi, che dunque si avvantaggiavano della distrazione sottraendo le risorse, consistenti nei corrispettivi di volta in volta pagati. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.1. Pertanto, la consapevolezza dell’effetto pregiudizievole dell’atto era stata razionalmente desunta dalle plurime anomalie della vicenda rappresentate dalla esistenza del conflitto di interessi (stante il coinvolgimento del Barchiesi nelle compagini societarie che di volta in volta entravano in contatto con la RAGIONE_SOCIALE), nonché dalla rinuncia a recuperare le somme erogate, circostanze incompatibili con la richiesta riqualificazione ex art. 224 I. fall. La condotta descritta nell’imputazione, e ritenuta dai giudici di merito, era quindi sussunnibile nella fattispecie di bancarotta impropria per cagionamento del fallimento mediante operazioni dolose, per la cui integrazione è sufficiente il dolo generico, desunto dalla pluralità e contiguità cronologica delle operazioni, tutte
caratterizzate da criticità, con significativo depauperamento della RAGIONE_SOCIALE in assenza di garanzie, cui corrispondeva la dazione del denaro a società facenti capo al Barchiesi ovvero direttamente a quest’ultimo.
2.2. Sulla base di tali argomentazioni, pertanto, la Corte di cassazione riteneva non esservi dubbio in ordine al fatto che le censure mosse dai ricorrenti erano, nella sostanza, come volte ad ottenere solo una rivalutazione del materiale probatorio raccolto in sede di merito, il che, avuto riguardo alla coerenza ed alla logicità della motivazione resa, appariva del tutto infondato. Invero, i ricorsi riproponevano argomenti già discussi e confutati dal giudice del gravame, senza alcun confronto con il ragionamento della Corte di appello; sotto altro aspetto veniva ritenuta legittima la contestazione di imputazioni alternative, costituite dall’indicazione di più reati o di fatti alternativi, in quanto tale metodo, ponendo l’imputato nella condizione di conoscere esattamente le linee direttrici sulle quali si svilupperà il dibattito processuale, risponde ad un’esigenza della difesa (tra le tante, Sez. 3, n. 46880 del 11/07/2023, Rv. 285378 – 01). Pertanto, se era vero che nel capo di imputazione era contestato agli imputati di aver cagionato il fallimento mediante le sopra indicate operazioni dolose e non già la valenza distrattiva delle relative condotte (per come avvenuto nel corso della udienza del 22 marzo 2016), nondimeno i fatti oggetto di contestazione erano identici, talché i ricorrenti erano stati posti in grado di difendersi dalla prospettazione accusatoria.
2.3. La Corte di legittimità, inoltre, evidenziava che la Corte di appello si era diffusamente occupata della condotta degli imputati consistita nell’avere cagionato il fallimento mediante dette operazioni dolose, valutando dapprima le singole operazioni e poi la loro valenza complessiva. Quanto poi alla questione della penale responsabilità del Barchiesi, la Corte territoriale aveva dato risalto non già al suo ruolo di amministratore di fatto, bensì, più precisamente, a quello di concorrente extraneus nella fattispecie di fallimento cagionato da operazioni dolose; quanto poi all’elemento soggettivo in tema di bancarotta fraudolenta impropria, nell’ipotesi del fallimento causato da operazioni dolose, il concorso dell’extraneus istigatore e beneficiario delle operazioni – è configurabile quando questi è consapevole del rischio che le suddette operazioni determinano per le ragioni dei creditori della società, non essendo, invece, necessario che egli abbia
voluto causare un danno ai creditori medesimi (Sez. 5, n. 41055 del 04/07/2014, COGNOME, Rv. 260932 – 01). Nella vicenda in esame, assumevano rilievo, secondo il razionale apprezzamento dei giudici di merito, non solo gli esborsi di ingenti risorse, ma il fatto che, in tal modo, restavano senza adeguata contropartita, i versamenti effettuati, in assenza di garanzie ovvero in assenza di iniziative giudiziarie volte al recupero di quanto versato a fronte dell’inadempimento delle controparti negoziali (tutte riconducibili al COGNOME che aveva illustrato al consiglio di amministrazione della RAGIONE_SOCIALE le singole operazioni). Pertanto, la Corte territoriale aveva logicamente ritenuto, in capo al COGNOME, la consapevolezza dell’effetto pregiudizievole dell’atto, desumendola dalle plurime anomalie della vicenda rappresentate dalla esistenza del conflitto di interessi (stante il coinvolgimento del ricorrente nelle compagini societarie che, di volta in volta, entravano in contatto con la RAGIONE_SOCIALE) e dalla rinuncia a recuperare le somme erogate.
Avverso la sopra indicata sentenza della Corte di legittimità NOME COGNOME per mezzo dell’avv. NOME COGNOME con atto depositato il giorno 23 febbraio 2025 ha proposto ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen., affidando la propria impugnazione a tre motivi, di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., insistendo per il suo annullamento in ragione degli errori di fatto e delle sviste appresso illustrati.
3.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta l’errore di fatto/svista in cui sarebbe incorsa la Corte di legittimità nella lettura della prova rappresentata dalla perizia svolta in grado di appello, avendo semplificato in maniera fuorviante le conclusioni dell’ausiliario, omettendo di considerare i passaggi nei quali il perito aveva riconosciuto che le operazioni ritenute distrattive non erano aprioristicamente prive di utilità economica. Inoltre, l’asserzione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui la perizia avrebbe accertato con assoluta certezza la distrattività delle operazioni sarebbe priva di riscontro nel contenuto dell’elaborato medesimo; infine, la Corte di cassazione avrebbe ignorato il fatto che il perito aveva evidenziato la criticità e i rischi gestionali delle operazioni, ma senza affermare l’esistenza di un intento fraudolento.
Pertanto, secondo il COGNOME, la errata rappresentazione della perizia avrebbe alterato la valutazione dell’elemento soggettivo del reato, inducendo la
Corte di legittimità a ritenere automaticamente fraudolente le operazioni che il perito aveva qualificato solo come rischiose, ma non necessariamente illecite.
3.2. Con il secondo motivo il ricorrente si duole del fatto che la Corte di cassazione avrebbe completamente ignorato i decreti di archiviazione emessi (I’ll aprile 2008, il 28 dicembre 2016 ed il 16 aprile 2019) dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Matera e di Padova, con i quali era stata espressamente esclusa la natura fraudolenta delle operazioni sopra indicate; inoltre, l’affermazione secondo cui non vi sarebbero elementi idonei a dimostrare la plausibilità economica delle operazioni sarebbe falsa, poiché in detti provvedimenti di archiviazione si era sostenuto il contrario. In conclusione, secondo il condannato, l’omessa valutazione dei decreti di archiviazione avrebbe determinato un vizio della sentenza in quanto ha privato la Corte di elementi essenziali per una corretta valutazione dell’elemento soggettivo del reato.
3.3. Con il terzo motivo il COGNOME deduce l’errore di fatto/svista in cui sarebbe incorsa la Corte di legittimità nella lettura della prova rappresentata dalla documentazione bancaria. In particolare, il ricorrente osserva che la Corte di cassazione avrebbe presunto la distrazione patrimoniale senza tenere conto della documentazione bancaria prodotta dalla difesa, che dimostrava la tracciabilità delle somme e la loro effettiva destinazione; inoltre, l’affermazione secondo cui le somme sarebbero state dirottate all’estero sarebbe smentita dai bonifici bancari che mostrano come i fondi siano stati utilizzati per finalità coerenti con la gestione aziendale.
Ne consegue che l’errore nell’ esame della documentazione bancaria avrebbe falsato la percezione della destinazione delle somme, inducendo la Corte a concludere per la sussistenza di una distrazione patrimoniale in realtà mai verificatasi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso (i cui motivi possono essere trattati congiuntamente per la loro connessione) è manifestamente infondato e, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
Deve, anzitutto, ricordarsi che l’istituto del ricorso straordinario per cassazione disciplinato dall’art. 625-bis cod. proc. pen. è stato oggetto di reiterati
interventi interpretativi da parte della Corte di cassazione a partire dalla pronuncia delle Sezioni Unite nr. 16103 del 27/03/2002, Basile, Rv. 221280, la quale, affermato che l’incontrovertibilità delle sentenze rese in sede di legittimità, per quanto non più inviolabile per effetto appunto del ricorso straordinario, costituisce tuttora il fondamento del sistema processuale delle impugnazioni e del meccanismo di formazione del giudicato (Corte cost. n. 294 del 1995, e, ivi citate, nn. 247 del 1995, 21 del 1982, 136 del 1972, 51 e 50 del 1970; Corte di Giustizia europea, sentenza 01/06/1999, C-126/97, punto 46; sentenza 30/09/2003, C224/01, p. 38; Corte EDU 12/01/2006, COGNOME e altri c. Bulgaria, ric. n. 47797/99 e 68698/01), ha rilevato la necessità di una puntuale applicazione delle disposizioni regolatrici del ricorso straordinario, strumento che, per la sua natura non ordinaria e derogatoria del giudicato, non è estensibile oltre i casi in esse considerati, in ossequio al divieto generale sancito dall’art. 14 disp. gen.
2.1. In particolare, tenuto conto della natura eccezionale del rimedio e della formulazione testuale della disposizione che lo regola, si è proceduto ad individuare in via interpretativa, recependo anche le sollecitazioni della giurisprudenza di legittimità civile, la nozione di errore di fatto legittimante la proposizione e la possibilità di accoglimento del ricorso straordinario, che resta confinata ai casi di omessa considerazione di uno o più motivi del ricorso per cassazione, intesa quale totale preternnissione delle doglianze riguardanti un capo o punto della decisione, ovvero all’errore di percezione in cui sia incorsa la Corte di cassazione nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, tutti vizi devono avere condizionato in modo decisivo il convincimento formatosi per l’inesatta o equivocata percezione dell’ambito delle censure proposte col ricorso o delle risultanze processuali e la derivata pronuncia di una sentenza differente da quella che, in assenza dell’omissione o dell’errore, si sarebbe esitato. Quale ulteriore conseguenza si ricava in negativo la precisazione di ciò che non rientra nel concetto di “errore di fatto”, ossia: gli errori di valutazione e, in senso ampio, gli errori di giudizio e di applicazione ed interpretazione di norme di legge.
2.2. In definitiva, come rilevato da Sez. 1, n. 17362 del 15/04/2009, Rv. 244067, COGNOME, «esulando dall’errore di fatto ogni profilo valutativo, esso coincide con l’errore revocatorio, secondo l’accezione che vede in esso il travisamento degli atti nelle due forme della “invenzione” o della “omissione”,
non estensibile al travisamento delle risultanze, in cui sia in tesi incorsa la stessa Corte di cassazione nella lettura degli atti del suo giudizio. Il cosiddetto “travisamento del fatto”, e cioè il travisamento del significato, anziché del significante, non può in nessun caso legittimare il ricorso straordinario ex art. 625 bis cod. proc. pen., tantomeno quando sia dedotto come vizio della decisione del giudice di merito. E neppure può essere, comunque, dedotto ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., l’errore revocatorio in cui sarebbe incorso il giudice di merito. I criteri di interpretazione dei fatti, dibattuti nel giudizio di legittimi oggetto di valutazione anche implicita, non possono essere riproposti sotto forma di errori di fatto».
Ciò posto, con riferimento alle censure sollevate con l’impugnazione straordinaria, il ricorrente prospetta a suo fondamento, quali vizi che avrebbe inficiato la sentenza emessa dal giudice di legittimità, degli errori percettivi in realtà insussistenti. Del resto, significativamente, si attribuisce alla Corte di cassazione di avere errato nella lettura delle prove, laddove il giudice di legittimità non è chiamato ad una valutazione delle prove.
3.1. Al riguardo si richiama quanto diffusamente argomentato nella sentenza impugnata, la quale (nelle pagine 6 e ss.) ha analizzato i motivi riguardanti la sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione impropria ed il relativo elemento soggettivo e riscontrato la compiutezza e logicità delle ragioni sulle quali era stato basato il giudizio di responsabilità a carico dell’odierno ricorrente da parte di entrambi i giudici di merito.
3.2. In particolare, la Corte di cassazione ha evidenziato – quanto alle tre operazioni in contestazioni – che la Corte distrettuale aveva fatto corretta applicazione dei principi in materia ritenendo che sulla scorta della perizia effettuata nel grado di appello dette operazioni erano prive di una concreta utilità sul piano economico e finanziario per la società fallita. Proprio con riferimento alla perizia (che è un mezzo di prova e non già una prova) va evidenziato che la Corte di cassazione non ha respinto il ricorso sulla base di quanto accertato dall’ausiliario, ma piuttosto avendo ritenuto adeguata e non contraddittoria la motivazione della sentenza di appello. Per completezza va poi aggiunto che non può essere certo l’ausiliario a stabilire – come vorrebbe il ricorrente – se sussisteva o meno l’elemento soggettivo del reato e se le operazioni avevano
natura distrattiva, trattandosi invece di una tipica valutazione rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito. Deve poi aggiungersi che la Corte di cassazione ha ritenuto corretta la decisione di appello poiché la bancarotta fraudolenta in capo al COGNOME doveva ritenersi provata in tutti i suoi elementi non soltanto per la non utilità delle operazioni, ma anche dalla sua consapevolezza degli effetti pregiudizievoli delle medesime sul patrimonio della società, desumendola dalle plurime anomalie della vicenda rappresentate dal conflitto di interessi esistente (dato che l’odierno ricorrente era rappresentate delle società che avevano concluso gli affari con RAGIONE_SOCIALE) e della rinuncia a recuperare le somme erogate. Orbene, va evidenziato che il ricorso straordinario omette del tutto di confrontarsi con tale passaggio della motivazione della sentenza della Corte di legittimità.
3.3. Quanto poi ai lamentati errori di fatto/sviste riguardanti i decreti di archiviazione e la documentazione bancaria si osserva, anzitutto, che dette questioni (come si ricava dalla sentenza oggi impugnata) non risultano essere state oggetto dell’originario ricorso per cassazione del Barchiesi, nel sensi che il ricorrente non illustra come e quando le avrebbe dedotte, di talché non si comprende in cosa è consistito il lamentato errore percettivo in cui sarebbe incorsa la Corte di cassazione.
3.4. In ogni caso, va ricordato che in tema di divieto di “bis in idem”, l’emissione di una sentenza o di un decreto penale di condanna non è preclusa dall’esistenza, per il medesimo fatto, di un precedente decreto di archiviazione, non essendo quest’ultimo un provvedimento suscettibile di esecuzione o di conseguire l’irrevocabilità e che, pertanto, il dedotto mancato esame del decreto di archiviazione (ove, per mera ipotesi, sussistente in quanto oggetto del ricorso per cassazione) non potrebbe comunque determinare un vizio della sentenza non avendo carattere preclusivo (vedi, in fattispecie assimilabile, Sez. 1, n. 39498 del 07/06/2023, Rv. 285053 – 01).
3.5. Quanto poi alla documentazione bancaria, si osserva che essa risulterebbe comunque irrilevante dato che, come si ricava dallo stesso ricorso straordinario, non esclude l’esistenza delle tre operazioni sopra indicate con le quali il patrimonio societario era stato svuotato. E ciò fermo restando che, anche in questo caso, il giudice di legittimità non valuta le prove.
4. Deve, dunque, concludersi che non sono riconoscibili nell’articolato percorso gli errori di fatto/sviste indicate nel ricorso e che, piuttosto, essi si
palesano come una evidente ed inammissibile diversa valutazione degli elementi processuali, già adeguatamente e non illogicamente esaminati dai giudici di
merito, per quanto analiticamente apprezzato dalla sentenza della V sezione di questa Corte.
5. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi
atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di quattromila euro (fissata in tale ammontare per la
totale pretestuosità dei motivi posti a base della presente impugnazione, che giungono ad attribuire alla V sezione di questa Corte affermazioni che non si
rinvengono nella sentenza) in favore della Cassa delle ammende. Nulla, invece, deve essere liquidato a titolo di rifusione delle spese in favore della parte civile
stante la tardività della memoria difensiva depositata soltanto il giorno 8 aprile 2025, vale a dire oltre il termine di quindici giorni prima dell’udienza, come stabilito dall’art. 611, comma 1, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende. Nulla per le spese di parte civile.