Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 26190 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 26190 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Savona il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 17 ottobre 2023 emessa dalla Corte di cassazione; visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso; udito le conclusioni dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
AVV_NOTAIO COGNOME, difensore di NOME COGNOME, propone ricorso straordinario, ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., avverso la sentenza n.
43285 emessa dalla Seconda Sezione penale della Corte di cassazione in data 17 ottobre 2023.
Tale sentenza ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal COGNOME avverso la sentenza n. 973 emessa in data 28 marzo 2023 della Corte di appello di Genova, che ha confermato la condanna dell’imputato per il delitto di riciclaggio, per aver trasferimento all’estero somme provento di condotte di frode fiscale commesse dall’imprenditore edile NOME COGNOME.
Il difensore deduce che la sentenza impugnata sarebbe affetta da due errori di fatto.
2.1. Ad avviso del difensore, infatti, la Corte di cassazione, per mero errore percettivo, avrebbe omesso di motivare in ordine alla censura formulata nel nono motivo di ricorso, relativamente alla violazione di legge nell’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 11 cod. pen.
Con tale motivo il difensore ha dedotto l’incompatibilità della condotta attribuita dal COGNOME dalle sentenze di merito con l’aggravante di cui all’art. 61 n. 11 cod. pen., che punisce l’abuso di autorità, di relazioni o di prestazioni di opera all’interno di un rapporto fiduciario tra autore del reato e vittima.
La Corte di appello di Genova, applicando tale aggravante, peraltro, avrebbe realizzato un’inammissibile bis in idem, in quanto ha determinato la pena sulla scorta «della professionalità dell’agire del COGNOME» e ha ritenuto, al contempo, sussistente l’aggravante di cui all’art. 61 n. 11 cod. pen.
2.2. Il difensore deduce, inoltre, che il secondo errore di fatto sarebbe intervenuto sulla valutazione della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale richiesta con il secondo motivo di ricorso, volto a dare ingresso alla prova decisiva costituita dalla testimonianza di NOME COGNOME, curatore fallimentare della RAGIONE_SOCIALE
La Corte di cassazione, nella sentenza impugnata, ha ritenuto che la mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale sia stata congruamente motivata dalla Corte di appello ai sensi dell’art. 603, comma 1, cod. proc. pen.
Ad avviso del ricorrente, tuttavia, la rinnovazione dell’istruzione avrebbe dovuto essere disposta ai sensi del secondo comma dell’art. 603 cod. proc. pen., in quanto la prova era noviter reperita, essendo emersa successivamente alla pronuncia della sentenza di primo grado nel presente processo.
La testimonianza del curatore fallimentare, ad avviso del ricorrente, avrebbe consentito di acclarare l’esistenza di un conto secretato, aperto dal COGNOME presso il RAGIONE_SOCIALE, sul quale sarebbe stata depositata la somma di 2,5 milioni di euro, provento di reati tributari.
La prova di questa circostanza, peraltro, assumerebbe valore decisivo, in quanto consentirebbe di confermare o confutare la tesi difensiva relativa alla mancata provenienza da reati tributari delle somme trasportate al di fuori dai confini nazionali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei limiti che di seguito si precisano.
Con il primo motivo il difensore ha dedotto l’omessa motivazione della sentenza impugnata in ordine alla censura formulata nel nono motivo ricorso, relativamente alla violazione di legge nell’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 11 cod. pen. e all’illegittima duplicazione sanzionatoria che la stessa avrebbe determinato.
Il motivo è fondata, in quanto la sentenza impugnata, per mero errore di fatto, non ha motivato in ordine alla censura formulata a pag. 50 del ricorso, relativamente all’inosservanza dell’art. 61 n. 11 cod. pen.
La sentenza impugnata deve, dunque, essere annullata sul punto e il motivo proposto dal ricorrente, relativo alla dedotta violazione di legge, deve essere direttamente esaminato.
Anche tale motivo è fondato.
La Corte di appello di Genova ha, infatti, applicato l’aggravante di cui all’art. 61 n. 11 cod. pen. a condotte di riciclaggio poste in essere dall’imputato, in qualità di commercialista dell’imprenditore edile NOME COGNOME e nel suo interesse.
L’applicazione di tale circostanza aggravante alle condotte descritte nella sentenza della Corte di appello di Genova è, dunque, illegittima.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, la nozione di abuso di relazione di prestazione d’opera, previsto come aggravante dall’art. 61 n. 11 cod. pen., si applica a tutti i rapporti giuridici che comporti l’obbligo di un facere, bastando che tra le parti vi sia un rapporto di fiducia che agevoli la commissione del reato, a nulla rilevando la sussistenza di un vincolo di subordinazione o di dipendenza (ex plurimis: Sez. 6, n. 11631 del 27/02/2020, E., Rv. 278720 – 01; Sez. 2, n. 49523 del 29/11/2019, COGNOME, Rv. 278243 – 03; Sez. 2, n. 14651 del 10/01/2013, Chatbi, Rv. 255792 – 01; Sez. 2, n. 13775 del 30/01/2019, COGNOME, Rv. 276060; Sez. 2, n. 38498 del 01/10/2008, Ferro, Rv. 241463 – 01).
La funzione di tale aggravante risiede, infatti, nel punire più gravemente l’abuso della relazione fiduciaria da parte dell’autore, il quale profitta di un
situazione di minore attenzione della vittima, determinata proprio dall’affidamento che questa ripone nell’opera dell’altro.
L’aggravante dell’abuso di fiducia dà, dunque, rilievo a situazioni di particolare vulnerabilità del bene giuridico derivanti da relazioni interpersonali che possono facilitare la commissione del reato e postula che l’agente abbia sfruttato una sua posizione “formale” di superiorità o preminenza nei confronti di altro soggetto
Ben diversa è, invece, la situazione accertata dalle sentenze di merito, nella quale il reato è stato commesso sulla base di un previo concerto e, dunque, su specifico mandato del cliente nell’ambito di un rapporto professionale con il proprio commercialista; in tale situazione, infatti, non ricorre alcuno sfruttamento di una situazione di preminenza, nell’ambito di un rapporto privatistico, ma solo l’esecuzione della comune deliberazione criminosa.
La sentenza della Corte di appello deve, quindi, essere annullata senza rinvio limitatamente alla ritenuta configurabilità della predetta circostanza aggravante e la pena irrogata deve essere rideterminata sul punto.
Con il secondo motivo il difensore ha dedotto che un secondo errore di fatto della sentenza impugnata sarebbe intervenuto nell’ambito della valutazione della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale richiesta con il secondo motivo di ricorso, volto a dare ingresso alla prova decisiva costituita dalla testimonianza di NOME COGNOME, curatore fallimentare della RAGIONE_SOCIALE
Il motivo è, tuttavia, infondato, in quanto sul punto non è ravvisabile alcuna errata rappresentazione percettiva degli atti.
La qualificazione della richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale ai sensi del primo o del secondo comma dell’art. 603 cod. proc. pen., infatti, non trae origine da alcun presupposto di fatto, ma da una valutazione giuridica non sindacabile in tale sede.
La Corte di cassazione nella sentenza impugnata ha, peraltro, ritenuto, congruamente motivata la valutazione di irrilevanza della testimonianza del curatore fallimentare espressa dalla Corte di appello.
La Corte di appello ha, infatti, ritenuto non necessaria l’acquisizione della testimonianza del curatore fallimentare, sia perché la sua deposizione è riportata nella sentenza del Tribunale di Genova (acquisita agli atti su richiesta della difesa), da cui risulta che l’COGNOME ha fondato la sua ricostruzione sugli esiti delle indagini svolte dalla polizia giudiziaria, sia perché l’ha ritenuta superflua, i considerazione degli elementi già acquisiti agli atti, tra i quali le dichiarazioni d COGNOME, ritenute dirimenti.
Tale apprezzamento, non essendo affetto da alcun errore materiale o di fatto, non è censurabile mediante il ricorso al rimedio del ricorso straordinario di cui all’art. 625-bis cod. proc. pen.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di ricorso straordinario, qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. (Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, Moroni, Rv. 263686 – 01; Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011, COGNOME, Rv. 250527 – 01; Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, COGNOME, Rv. 221280 – 01; conf. Sez. 2, n. 41782 del 30/09/2015, COGNOME, Rv. 265248 – 01).
Il ricorso straordinario per errore di fatto è, dunque, inammissibile quando il preteso errore in cui sarebbe incorsa la Corte di cassazione derivi da una valutazione giuridica relativa a circostanze di fatto correttamente percepite (Sez. 6, n. 28424 del 23/06/2022, COGNOME, Rv. 283667 – 01; Sez. 2, n. 53657 del 17/11/2016, COGNOME, Rv. 268981 – 01).
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere accolto limitatamente all prima censura.
Deve, dunque, essere revocata la sentenza di questa Corte n. 43285 emessa in data 17 ottobre 2023 nei confronti di RAGIONE_SOCIALE NOME e deve essere annullata la sentenza emessa dalla Corte di appello di Genova n. 973 con rinvio ad altra sezione della medesima Corte di appello per nuovo giudizio limitatamente al trattamento sanzionatorio, in conseguenza dell’annullamento di tale sentenza in ordine all’applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 11 cod. pen.
P.Q.M.
Revoca la sentenza di questa Corte n. 43285 emessa in data 17 ottobre 2023 nei confronti di COGNOME NOME e annulla la sentenza emessa dalla Corte di appello di Genova n. 973 in data 28 marzo 2023 con rinvio ad altra sezione della medesima Corte di appello per nuovo giudizio limitatamente al trattamento sanzionatorio.
Così deciso in Roma, il 23/05/2024.