Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 44830 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 44830 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/11/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME nato il 14/01/1984 a MILANO
avverso la sentenza in data 20/02/2024 della CORTE DI CASSAZIONE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso nel senso che, rilevato l’errore e revocata la sentenza impugnata, si disponga l’annullamento della sentenza della Corta di appello di Napoli del 4.10.2022 con riferimento alla posizione di COGNOME con rinvio alla stessa Corte di appello, in altra composizione per nuovo giudizio.
A seguito di trattazione con procedura ex art. 611 cod. proc. pen..
RITENUTO IN FATTO
Il difensore di NOME propone ricorso straordinario avverso la sentenza n. 1956 del 20/02/2024 della Corte di cassazione, che ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato avverso la sentenza in data 04/10/2022 della Corte di appello di Napoli.
Deduce:
1. Omessa pronuncia in relazione al riconoscimento di Batti del ruolo di mero partecipe in luogo di quello di promotore del sodalizio di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
Secondo il ricorrente la Corte di cassazione è incorsa in un errore di percezione là dove ha ritenuto che Batti, in sede di appello, avesse rinunciato a tutti i motivi di gravame, fatta eccezione per quelli relativi al trattamento sanzionatorio,
mentre in realtà aveva rinunciato soltanto ai motivi assolutori ma -al contempoaveva dichiarato espressamente di voler coltivare quello relativo alla qualificazione giuridica delle condotte relative al reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
Deduce, quindi, che da tale errore percettivo discendeva l’omesso esame delle specifiche argomentazioni sviluppate con il ricorso e, in particolare, il denunciato vizio di omessa motivazione della Corte di appello sul motivo di gravame -non rinunciato- con cui si contestava il ruolo rivestito da COGNOME ritenuto quale promotore, mentre andava più correttamente ritenuto un mero partecipe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto per questioni non consentite in sede di ricorso straordinario ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen..
A tale proposito va ricordato che l’errore di fatto passibile del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso.
Dunque, qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio (ex plurimis, Sez. 3, n. 47316 del 01/06/2017, Rv. 271145; Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Rv. 221280).
Con l’ulteriore precisazione che «è inammissibile il ricorso straordinario per errore di fatto quando l’errore in cui si assume che la Corte di cassazione sia incorsa abbia natura valutativa e si innesti su un sostrato fattuale correttamente percepito. (Sez. 6, n. 28424 del 23/06/2022, COGNOME, Rv. 283667 – 01).
Così delineato l’ambito di proponibilità del ricorso straordinario, non può che rilevarsi come quello in esame prospetti un -eventuale- errore di valutazione innestato su un sostrato fattuale correttamente percepito e non -invece- un errore di percezione.
2.1. Secondo il ricorrente la Corte di cassazione è incorsa in un errore di percezione là dove ha ritenuto che Batti, in sede di appello, avesse rinunciato a tutti i motivi di gravame, fatta eccezione per quelli relativi al trattamento sanzionatorio, mentre in realtà aveva rinunciato soltanto ai motivi assolutori ma -al contempoaveva dichiarato espressamente di voler coltivare quello relativo alla qualificazione giuridica delle condotte relative al reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
Il ricorrente ha allegato il ricorso, tra l’altro, il verbale dell’udienza tenutasi il 28/09/2022 davanti alla Corte di appello e una dichiarazione sottoscritta da NOME
NOME.
Nel verbale d’udienza risulta annotato che «l’Avv. COGNOME e l’Avv. COGNOME per COGNOME depositano rinuncia ai motivi assolutori».
Nella dichiarazione di NOME si legge: «Il sottoscritto NOME dichiaro di rinunciare ai motivi di appello relativi all’assoluzione. Di voler coltivare quelli relativi alle circostanze ed alla qualificazione giuridica della condotta relativa al reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990».
Sulla base di tali atti, il ricorrente, nel motivo d’impugnazione oggi in esame, così descrive l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte di cassazione: «la Suprema Corte, infatti, perveniva alla declaratoria di inammissibilità del ricorso sull’erroneo presupposto che il Batti, nel processo di appello, avesse rinunciato a tutti i motivi di gravame eccettuati quelli relativi al trattamento sanzionatorio, quando, in realtà -ed in ciò l’errore di percezione che si ritiene abbia viziato il decisumegli aveva dichiarato di rinunciare ai motivi assolutori ma, altresì, di voler espressamente coltivare quello relativo alla qualificazione giuridica delle condotte relative al reato ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990. (cfr. allegato)».
Sulla base delle stesse deduzioni difensive e degli allegati cui esso fa riferimento si evince che l’errore denunciato in questa sede viene indicato nel fatto che la Corte di cassazione non avrebbe percepito che in sede di appello vi era stata rinuncia soltanto sui motivi assolutori, ma non anche in relazione alla qualificazione giuridica della condotta associativa.
2.2. Così delimitato l’ambito della censura in esame, va rilevato che la Corte di cassazione ha fondato la decisione oggi impugnata proprio sulle circostanze di fatto rappresentate dal ricorrente, ritenendo che le stesse conducessero all’inammissibilità del ricorso, così che l’errore che viene denunciato non può considerarsi di natura percettiva.
Nella sentenza oggi impugnata, invero, la Corte di cassazione ha puntualmente riscontrato i contenuti della rinuncia ai motivi così come rappresentata dal ricorrente, per come si evince dalla lettura del paragrafo 6 del “Ritenuto in Fatto”, alla pagina 5, dove sono così riassunti i motivi del ricorso proposto nell’interesse di NOME: «NOME COGNOME ha dedotto la mancanza di motivazione, per avere la Corte di appello omesso di pronunciarsi sulla richiesta con la quale la difesa aveva domandato di riqualificare il suo ruolo come mero partecipe e non come quello di promotore dell’associazione per delinquere contestata nel capo d’imputazione 8».
Il motivo, poi, viene puntualmente preso in considerazione e risolto (con la sua inammissibilità) al paragrafo 2 del “Considerato in diritto” dove, dalla pagina 11 in poi, si legge: «i ricorsi di NOME COGNOME sono inammissibili. motivi di tali ricorsi dedotti in termini di mancata pronuncia sulle questioni che erano
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state poste con gli atti di appello in ordine alle ragioni della condanna, alla configurabilità delle aggravanti contestate nel capo d’imputazione 8 e alla recidiva, al riconoscimento di una circostanza attenuante o alla qualificazione giuridica della condotta associativa, sono manifestamente infondati. Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte di cassazione il principio secondo il quale la rinuncia a tutti i motivi di appello afferenti all’affermazione della responsabilità penale ovvero ai motivi c.d. “assolutori”, ad esclusione soltanto di quelli riguardanti la misura della pena, la concessione delle attenuanti generiche ed il bilanciamento delle circostanze, comprende anche i motivi concernenti la qualificazione del reato e la sussistenza delle aggravanti o della recidiva, in quanto punti della decisione distinti e autonomi rispetto a quello afferente al trattamento sanzionatorio (in questo senso, tra le tante, Sez. 4, n. 46150 del 15/10/2021, Cella, Rv. 282413; Sez. 2, n. 47698 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 278006; Sez. 4, n. 827 del 21/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271750; Sez. 3, n. 50750 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 268385; e, con riferimento alla recidiva, Sez. 6, n. 54431 del 25/10/2018, COGNOME, Rv. 274315; Sez. 2, n. 11761 del 30/01/2014, COGNOME, Rv. 259825)».
Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, dunque, la Corte di cassazione non ha basato la propria decisione su di un errore percettivo, avendo espresso una precisa valutazione sul motivo esposto dal ricorrente, ritenendo che il vizio di omessa motivazione su di un motivo non rinunciato fosse manifestamente infondato, in quanto il motivo di gravame relativo alla qualificazione giuridica della condotta associativa (quale promotore piuttosto che come partecipe) dove ritenersi -comunque- travolto dalla rinuncia ai motivi assolutori.
La Corte di cassazione, dunque, ha considerato che il ricorrente non aveva rinunciato al motivo relativo alla qualificazione della condotta associativa realizzata da Batti, ma ha ritenuto che la rinuncia ai motivi assolutori comprendesse necessariamente anche il motivo relativo alla qualificazione giuridica della condotta, ancorché non espressamente rinunciato, così che non si poteva affermare che la Corte di appello avesse omesso di pronunciarsi su tale punto.
Tanto vale a confermare quanto già evidenziato in premessa, ossia che la decisione oggi impugnata non si rinviene alcun errore percettivo, in quanto essa è stata presa sulla base di un sostrato fattuale correttamente percepito e risolto dalla Corte di cassazione nel senso dell’inammissibilità del motivo a esso collegato.
Da ciò discende che l’impugnazione in esame è stato proposta per un’ipotesi che non può costituire oggetto di ricorso straordinario.
Quanto esposto porta alla declaratoria di inammissibilità del ricorso e a ciò segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella
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determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 20 novembre 2024
Il Consigliere estensore
COGNOMEin La Presidente