Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 23386 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 5 Num. 23386 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 08/05/2025
QUINTA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
CC – 08/05/2025
R.G.N. 10313/2025
NOME COGNOME
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a MESSINA il 13/04/1952 COGNOME NOME nato a CATANIA il 02/11/1985 COGNOME NOME nato a CATANIA il 18/04/1981 COGNOME NOME NOME nato a CATANIA il 27/03/1953 COGNOME NOME COGNOME nato a CATANIA il 26/06/1976 avverso la sentenza del 24/05/2024 della CORTE DI CASSAZIONE di Roma Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME COGNOME; sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi
udito il difensore Avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 24 maggio 2024, la Prima sezione di questa Corte di cassazione annullava la sentenza impugnata – della Corte di appello di Messina del 26 settembre 2023 a sua volta pronunciata a seguito di precedente annullamento ad opera di questa Quinta sezione con sentenza del 15 giugno 2022 – nei confronti di NOME COGNOME (n. 1985), NOME COGNOME e NOME COGNOME limitatamente al rigetto dell’istanza di applicazione delle pene sostitutive, con rinvio per nuovo
giudizio sul punto ancora alla Corte di appello di Messina, rigettando nel resto i ricorsi dei predetti, confermando, invece, la predetta pronuncia, integralmente, nei confronti di NOME COGNOME COGNOME (n. 1953), e NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME i cui ricorsi, appunto, rigettava.
Agli imputati erano stati ascritti una pluralità di delitti di bancarotta, meglio individuati in imputazione.
Il primo annullamento, della Quinta sezione, aveva riguardato i capi B, C e D (in cui erano ascritti fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale) ed il conseguente, complessivo, trattamento sanzionatorio, divenendo pertanto definitiva la sola declaratoria di responsabilità degli imputati (e non la risposta sanzionatoria) per la condotta loro ascritta al capo A (di bancarotta fraudolenta documentale).
La Corte di appello di Messina, già nel primo giudizio di rinvio, aveva assolto tutti gli imputati dai capi oggetto dell’annullamento, i delitti loro ascritti ai capo B, C e D, fissando così la pena con riguardo al solo capo A.
Propongono ricorso straordinario per errore di fatto avverso la pronuncia di nuovo annullamento parziale della Prima sezione tutti i prevenuti, a mezzo del medesimo difensore Avv. NOME COGNOME con due distinti atti, uno nell’interesse di coloro per i quali vi era stato l’annullamento parziale della sentenza, di primo rinvio, impugnata, l’altro di quelli i cui ricorsi erano stati interamente rigettati.
2.1. Il primo ricorso, per conto di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, deduce, con l’unico motivo, l’omessa considerazione, da parte della Corte di appello di Messina e della Prima sezione di questa Corte, della eccezione sollevata in relazione alla ‘connessione essenziale’, prevista dall’art. 624 cod. proc. pen., intercorrente fra i capi B, C e D della rubrica, per i quali si era pronunciata l’assoluzione degli imputati, ed il delitto contestato al capo A della rubrica, per il quale la condanna era divenuta ipoteticamente definitiva (fin dalla sentenza della Quinta sezione).
Venuta, infatti, a cadere la prova delle distrazioni, in particolare di quelle descritte al capo D, doveva considerarsi pregiudicata anche la prova delle irregolarità contabili contestate al capo A, che riguardavano, appunto, le somme che si erano assunte, a torto, essere state distratte.
La Corte di appello di Messina aveva trascurato l’eccezione limitandosi ad affermare che la verifica richiesta era preclusa dal giudicato formatosi sul capo A, considerando anche l’espressa declaratoria sul punto contenuta nella prima sentenza di annullamento.
Affermazione questa che era stata ripresa nella sentenza della Prima sezione.
Queste decisioni erano però frutto di una svista percettiva, non avendo, affatto, la Quinta sezione, nella sentenza di annullamento, deciso sulla ‘connessione essenziale’ sopra ricordata, posto che si era limitata a dichiarare definitiva la condanna per il capo A.
Una connessione che la Quinta sezione aveva, invece, in sostanza, confermato non trattando neppure le questioni inerenti il trattamento sanzionatorio di cui al medesimo capo A, così investendo anche su queste il giudice del rinvio.
L’errore percettivo trovava altresì conferma nel fatto che la stessa Prima sezione aveva ammesso che, in ipotesi astratta, non si potesse escludere il superamento del giudicato anche nei confronti di una imputazione non oggetto di specifico annullamento.
Così da doversi concludere che l’annullamento per gli ulteriori capi di imputazione imponeva una rivisitazione anche di quello divenuto definitivo.
Non rispondeva poi al vero quanto affermato dalla Prima sezione in ordine al fatto che la Corte di merito avesse verificato la non ‘essenziale connessione’ fra i capi per i quali vi era stato l’annullamento ed il capo A. Questa, invece, si era limitata a prendere atto della preclusione
derivante dal giudicato.
Si era poi compiuta un’ulteriore svista percettiva, laddove si era ritenuto che la difesa avesse prospettato una abolitio criminis , del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, a seguito dell’entrata in vigore del codice della crisi dell’impresa.
Così non considerando che non si era prospettata, affatto, l’abrogazione dell’art. 216 legge fall. ma solo la ridefinizione del suo perimetro applicativo, inserendovi la collocazione delle contestate condotte in un contesto, appunto, di crisi dell’impresa.
2.2. Il secondo ricorso, nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME COGNOME, Ł articolato in tre motivi.
2.2.1. Con il primo eccepisce l’errore di fatto commesso dalla Corte territoriale e dalla Prima sezione di questa Corte nell’applicazione dell’art. 545 bis cod. proc. pen., errore consistito nell’omessa citazione, da parte della Corte d’appello di Messina nel primo giudizio di rinvio, anche di tali ricorrenti nel procedimento relativo all’applicazione delle sanzioni sostitutive.
E ciò sulla base del fatto che costoro non le avevano prospettate, così violando il loro diritto al contraddittorio.
Al primo dispositivo, infatti, dell’11 maggio 2023, se ne era sostituito un secondo, del 26
settembre 2023, senza che fosse stato consentito ai ricorrenti di partecipare a tale ulteriore fase.
A tale censura la Prima sezione aveva risposto compiendo un duplice errore di fatto.
Il primo l’aveva commesso quando aveva affermato che il deposito contestuale, il 26 settembre 2023, del nuovo dispositivo e della motivazione, non aveva eliminato il termine di 60 giorni, per il deposito dei motivi, indicato nel dispositivo dell11 maggio 2023, ma ciò non corrispondeva al vero, non risultando, affatto, tale reviviscenza dal secondo dispositivo e dalla relativa motivazione.
Il secondo errore era consistito nell’avere, la Prima sezione, affermato che i due ricorrenti non avevano lamentato alcuna concreta lesione che sarebbe derivata da tale vizio processuale, mentre risultava che, a pg. 9 del ricorso, lo si era individuato nella declaratoria di nullità della fase processuale che ne era seguita. Lamentando anche la motivazione contestuale, invece di quella riservata, era stata ben piø concisa di quanto era logico attendersi.
Si erano poi anche modificati i termini per proporre impugnazione, che dai 45 giorni derivanti dal primo dispositivo si era passati ai 15 del secondo.
Anche in relazione alla mancata citazione dei ricorrenti all’udienza in cui si erano discusse le sanzioni sostitutive era errata la considerazione della Prima sezione circa l’omessa indicazione del pregiudizio concreto ricevuto, posto che questo era stato invece illustrato e dato che, comunque, era stata eccepita una nullità di ordine generale, insanabile e rilevabile d’ufficio.
Così da rendere decisivi gli errori di fatto compiuti.
2.2. Il secondo motivo riprendeva gli argomenti spesi nel ricorso degli altri ricorrenti.
2.3. Il terzo motivo individuava un errore di fatto in relazione alla recidiva ed al giudizio di bilanciamento.
Nel ricorso ci si era doluti della motivazione della Corte di merito in ordine al riconoscimento della recidiva rispetto ad entrambi gli imputati. La Prima sezione aveva ritenuto congrua tale motivazione sostituendo però la propria valutazione a quella, fin troppo scarna, data dalla Corte di merito che aveva indicato come i reati del presente processo non potessero costituire una mera ricaduta nel delinquere.
Analogamente la Cassazione aveva ritenuto adeguato il giudizio di bilanciamento nonostante il
medesimo non fosse stato in alcun modo motivato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili perchØ propongono censure che non costituiscono quegli errori materiali o di fatto che legittimano il ricorso straordinario previsto dall’art. 625 bis cod. proc. pen.
Deve, innanzitutto, osservarsi come sia consentito proporre il ricorso straordinario a norma dell’art. 625-bis cod. proc. pen. anche nei confronti di una sentenza, di questa Corte di cassazione, di annullamento parziale con rinvio per la sola determinazione del trattamento sanzionatorio, come la sentenza della Prima sezione oggetto del presente ricorso straordinario, purchŁ lo stesso denunci l’errore di fatto compiuto in relazione alla parte, della pronuncia, divenuta definitiva (vd Sez. U, n. 28717 del 21/06/2012, COGNOME Rv. 252935 – 01; Sez. 5, n. 57484 del 13/11/2018, Esperto, Rv. 275408 – 01).
Deve, tuttavia, ricordarsi che, quanto ai presupposti del ricorso straordinario previsto dall’art. 625 bis cod. proc. pen., questa Corte, nella sua piø autorevole composizione, ha fissato i seguenti principi di diritto:
in tema di ricorso straordinario, qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non Ł configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. (Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, COGNOME, Rv. 263686 – 01; Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011, COGNOME, Rv. 250527 – 01);
l’omesso esame di un motivo di ricorso per cassazione non dà luogo ad errore di fatto rilevante a norma dell’art. 625-bis cod. proc. pen., ne’ determina incompletezza della motivazione della sentenza allorchØ, pur in mancanza di espressa disamina, il motivo proposto debba considerarsi implicitamente disatteso perchØ incompatibile con la struttura e con l’impianto della motivazione, nonchØ con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima, ovvero quando l’omissione sia soltanto apparente, risultando le censure formulate con il relativo motivo assorbite dall’esame di altro motivo preso in considerazione, giacchØ, in tal caso, esse sono state comunque valutate, pur essendosene ritenuta superflua la trattazione per effetto della disamina del motivo ritenuto assorbente; mentre deve essere ricondotto alla figura dell’errore di fatto quando sia dipeso da una vera e propria svista materiale, cioŁ da una disattenzione di ordine meramente percettivo che abbia causato l’erronea supposizione dell’inesistenza della censura, la cui presenza sia immediatamente e oggettivamente rilevabile in base al semplice controllo del contenuto del ricorso (Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Basile, Rv. 221283 – 01).
Alla luce di tali principi di diritto, non può che rilevarsi l’estraneità delle censure proposte nei due odierni ricorsi – alla nozione di errore materiale o errore di fatto.
Ci si duole, infatti, delle valutazioni operate dalla Prima sezione in ordine agli, identici, motivi sollevati in quel ricorso, o si lamenta il mancato esame di profili di doglianza la cui risposta Ł, invece, perfettamente deducibile dalla motivazione della sentenza della Prima sezione (e, prima ancora, dalla sentenza della Corte di appello di Messina, pronunciata a seguito del rinvio disposto da questa Quinta sezione).
2.1. Così, il lamentato errore di percezione relativo all’omessa confutazione della ‘connessione
essenziale’ fra i reati per i quali gli imputati erano stati assolti ed il delitto di bancarotta documentale di cui al capo A, oggetto di definitiva condanna (quanto alla declaratoria di responsabilità) ad opera della prima sentenza di annullamento parziale di questa Quinta sezione, il ricorrente ha omesso di considerare che:
l’errore non sarebbe comunque percettivo posto che si trattava di ‘giudicare’ se l’assoluzione per i capi da B a D non potesse che condurre ad analoga pronuncia per la condotta contestata al capo A della rubrica;
oltre alla logica considerazione che, fin dalla Prima pronuncia di annullamento, si era implicitamente negata la predetta conseguenzialità, dichiarando definitiva la responsabilità per il delitto sub A, sia la Corte d’appello, quale giudice di rinvio (ancorchŁ la verifica di tale pronuncia non potrebbe costituire l’oggetto del lamentato errore di fatto, potendo, questo, riguardare la sola sentenza della Prima sezione), sia la stessa Prima sezione, oltre all’affermazione del definitivo accertamento della responsabilità dei prevenuti per la bancarotta fraudolenta documentate di cui al capo A, consideravano anche (maggiormente la Prima sezione) come la condotta contestata (al capo A) fosse talmente diversa (riguardano la scomparsa delle scritture e non l’illecito depauperamento della fallita) da quelle di cui ai residui capi da non potersi dedurre alcun ‘giudizio’ di conseguenzialità, e così tantomeno, di ‘connessione essenziale’;
del resto, a tale ultimo proposito, doveva annotarsi come la ritenuta inattendibilità della denuncia della scomparsa di buona parte del compendio contabile (da tale presupposto in fatto derivava la dichiarata responsabilità per il capo A) non trovava certo smentita nell’assoluzione dei prevenuti dalle condotte di bancarotta patrimoniale, per l’evidente autonomia fra la prima condotta e le seconde, autonomia solo genericamente contestata negli odierni ricorsi.
NØ alcun errore di fatto può dedursi dalla affermazione della Prima sezione circa la non abrogazione dell’art. 216 legge fall., che non avrebbe confutato l’argomento speso nel ricorso circa il mutamento del suo perimetro applicativo, risultando evidente, innanzitutto, che si tratterebbe comunque di un errore di giudizio e dovendosi inoltre considerare che, con tale affermazione, la Prima sezione si era limitata a prendere atto che la norma in oggetto non aveva subito neppure la modifica prospettata dal ricorrente.
Risultano pertanto inammissibili l’unico motivo del ricorso dei primi tre ricorrenti ed il secondo dei due ulteriori ricorrenti.
Sono, come detto, inammissibili anche gli ulteriori motivi argomentati nel secondo ricorso.
Quanto al primo motivo, Ł di tutta evidenza che ci si dolga del ‘giudizio’ della Prima sezione in ordine alle censure relative alla mancata partecipazione dei due ricorrenti al subprocedimento riguardante le sanzioni sostitutive da applicarsi ai coimputati.
Della pronuncia della Prima sezione si censurano, infatti, le sole valutazioni: la sopravvivenza del termine per il deposito della sentenza fissato nel primo dispositivo, l’assenza di concreti pregiudizi in capo ai ricorrenti.
A tale ultimo proposito poi, deve precisarsi come il pregiudizio, concreto, che l’imputato deve denunciare, al fine di sollecitare una declaratoria di nullità, non può coincidere con il suo preteso interesse alla declaratoria stessa, pena la ‘circolarità’ del ragionamento, ma deve prospettare quale sia stata la lesione del diritto di difesa che la mancata declaratoria di nullità abbia effettivamente comportato.
NØ si comprende come possa costituire un errore di fatto in cui sarebbe incorsa la Prima sezione nella riduzione del termine per impugnare la pronuncia del giudice di rinvio (sul quale nulla aveva affermato) e nella struttura della sentenza medesima del giudice del rinvio (volendo la difesa proporre una inesistente distinzione fra la sentenza depositata in un termine stabilito e quella
contestuale, circa la persuasività e completezza del percorso argomentativo)
Da ultimo, deve osservarsi come il punto relativo alla applicazione delle sanzioni sostitutive ai tre ricorrenti diversi da quelli che hanno proposto l’odierna censura, sia stato oggetto dell’annullamento della Prima sezione e non possa, pertanto, costituire oggetto di censura ai sensi dell’art. 625 bis cod. proc. pen., non trattandosi di questione definitivamente risolta.
Ancora si lamenta un errore di giudizio e non di fatto nel terzo motivo del secondo ricorso.
Non Ł certo impedito, infatti, alla Corte di legittimità di interpretare, al fine di valutarne la congruità come ha fatto la Prima sezione, le formule adottate dal giudice di merito in tema di riconoscimento della recidiva o di formulazione del giudizio di bilanciamento, anche alla luce della complessiva motivazione della sentenza impugnata.
Anche tale motivo, pertanto, denuncia pretesi errori di valutazione e si pone al di fuori del rimedio straordinario attivato.
All’inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento dele spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma l’8 maggio 2025.