Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 34824 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 34824 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/10/2025
SENTENZA
sui ricorsi straordinari proposti da: COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA NOME COGNOME, nato in Albania il DATA_NASCITA
avverso la sentenza n. 4588 del 18/12/2024, dep. 2025, della Corte di cassazione
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore NOME COGNOME, il quale ha concluso chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza n. 4588 del 18/12/2024, depositata il 05/02/2025, la Sesta sezione penale della Corte di cassazione, per quanto qui interessa, rigettava i ricorsi che erano stati proposti da NOME COGNOME e da NOME COGNOME avverso la sentenza del 25/10/2023 della Corte d’appello di Napoli con la quale era stata confermata la condanna del COGNOME e del COGNOME per i reati, rispettivamente, di promozione o organizzazione dell’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti di cui al capo 1) dell’imputazione, aggravato ex art. 416bis.1 cod. pen., e di partecipazione alla stessa associazione.
Avverso l’indicata sentenza n. 4588 del 18/12/2024 della Sesta sezione penale della Corte di cassazione, hanno proposto ricorsi straordinari per errore di
fatto, ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen. – con distinti atti entrambi a firm del comune difensore e procuratore speciale AVV_NOTAIO -, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Quanto al ricorso straordinario di NOME COGNOME, questi sostiene che la Sesta sezione penale, nel rigettare il suo ricorso per cassazione a firma dell’AVV_NOTAIO, sarebbe incorsa in plurimi errori percettivi e sviste decisivi, in quanto «idonei a disarticolare l’impianto motivazionale della sentenza impugnata».
3.1. Il primo di tali errori sarebbe consistito nel fatto che la Sesta sezione penale non si sarebbe «avved dell’importanza di quanto evidenziato dalla difesa in ordine alle sentenze assolutorie nei confronti dei soggetti appartenuti al c.d. “RAGIONE_SOCIALE” e che il difensore, nell’atto di ricorso, non faceva un generico riferimento a queste sentenze».
Il ricorrente espone che dalle due sentenze di assoluzione che erano state emesse il 10/11/2017 dal G.i.p. del Tribunale di Napoli e il 15/10/2019 dalla Corte d’appello di Napoli, divenuta irrevocabile, con le quali era stata «esclus la sussistenza dell’associazione ex art. 74 D.P.R. 309/90, appariva con limpida chiarezza che le attività di indagine erano fondate sul contributo offerto da vari collaboratori di giustizia, tra i quali il COGNOME NOME, il cui «contribu dichiarativo era stato ritenuto del tutto insufficiente a fornire la prova dell’associazione dedita al traffico di stupefacenti all’interno del RAGIONE_SOCIALE».
Secondo il COGNOME, la Sesta sezione penale «per mero errore materiale non considerava che la base informativa della sentenza inerente al procedimento oggetto del presente ricorso e quella delle due sentenze assolutorie era la medesima».
La Sesta sezione avrebbe omesso la motivazione in ordine a quanto in proposito era stato dedotto nel ricorso a firma dell’AVV_NOTAIO, in quanto si sarebbe limitata a parlare di «una vaga e non chiara aspecificità della doglianza difensiva». Il che sarebbe smentito «dalla lettura dell’atto di ricorso del difensore», nel quale «a doglianza era chiara e precisa: si contestava che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, tra i quali anche il COGNOME, non erano state ritenute sufficienti e idonee a costituire prova per la configurabilità dell’associazione dedita al narcotraffico», mentre nel presente procedimento, invece, «le dichiarazioni dei collaboratori venivano valutate sufficienti a fondare la responsabilità per il reato di cui all’art 74 D.P.R. 309/90».
3.2. Il secondo errore di fatto nel quale sarebbe incorsa la Sesta sezione penale sarebbe consistito nell’avere «ignorato la doglianza difensiva inerente all’insussistenza degli elementi costitutivi del reato di associazione ai sensi dell’art. 74 D.P.R. 309/90», in quanto la Sesta sezione non avrebbe «risposto, dando vita ad un’ulteriore svista, alla precisa contestazione dello scrivente in ordine alla
contestata assenza motivazionale sull’elemento psicologico in capo al ricorrente e all’assenza della cassa comune».
Il ricorrente espone che, nel proprio ricorso per cassazione, si era doluto «che la maggioranza delle captazioni richiamate riguardavano lo spessore criminale e i comportamenti di NOME, soggetto escluso dall’associazione dedita al traffico di stupefacenti».
Il COGNOME richiama poi i requisiti che devono ricorrere ai fini della sussistenza di un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti.
3.3. Il terzo errore di fatto nel quale sarebbe incorsa la Sesta sezione penale sarebbe consistito nella «svista, rappresentata dal non aver accertato quali fossero gli elementi realmente analizzati dalla Corte territoriale in relazione al ruolo di capo promotore contestato al COGNOME».
Il ricorrente lamenta che, nonostante nel proprio ricorso per cassazione avesse «lamentato proprio che era stato erroneamente attribuito il ruolo di capo promotore al COGNOME sulla base di elementi che non potevano fondare una siffatta attribuzione di ruoli», la Sesta sezione penale «si limitava a ripetere pedissequamente quanto già affermato nel precedente grado di giudizio, di fatto non valutando il motivo di ricorso» (il ricorrente trascrive un passaggio del primo paragrafo della pag. 12 della sentenza impugnata).
3.4. Il quarto errore di fatto nel quale sarebbe incorsa la Sesta sezione penale atterrebbe «alla ritenuta credibilità del collaboratore NOME COGNOME».
Dopo avere esposto che, con il proprio ricorso per cassazione, aveva «lamenta la natura generica delle propalazioni del COGNOME, la ritenuta attendibilità fondata su presunzioni del predetto, così come emergeva dalla sentenza di secondo grado e l’evidente contrasto delle dichiarazioni del COGNOME e del COGNOME sulla figura di COGNOME», il ricorrente lamenta che la Sesta sezione penale «motivava in ordine alla credibilità del collaboratore riportando pedissequamente quanto affermato nella sentenza della Corte di appello partenopea, omettendo completamente di rispondere alle contestazioni avanzate dalla difesa».
In particolare, la Sesta sezione non avrebbe «rispo in ordine alla ritenuta credibilità soggettiva del COGNOME nonostante la revoca del programma di protezione per gravi inottemperanze da parte del propalante, così come lamentato dallo scrivente difensore» (il ricorrente trascrive il quarto capoverso della pag. 13 della sentenza impugnata).
Inoltre, a fronte delle «precise contestazioni difensive» secondo cui, «ben analizzando le dichiarazioni rilasciate dal collaboratore di giustizia COGNOME, non è possibile riscontrare la presenza di richiami chiari ed univoci, tali da poter ritenere al di là di ogni ragionevole dubbio il COGNOME responsabile del reato attribuito,
nella qualità di promotore della predetta associazione», la Sesta sezione penale, «commettendo un’evidente svista, si limitava a ribadire la correttezza della statuizioni della Corte territoriale» (il ricorrente trascrive un passaggio a cavallo tra l’ultimo capoverso della pag. 13 e il primo paragrafo della pag. 14 della sentenza impugnata).
3.5. Il quinto errore di fatto nel quale sarebbe incorsa la Sesta sezione penale consisterebbe nella «grave svista» costituita dall’avere «ignorato il motivo di ricorso inerente alla mancata esclusione dell’aggravante di cui all’art. 416 bis 1 c.p.», «anche alla luce della sentenza assolutoria emessa dal Tribunale di Napoli il 10.11.2017».
Quanto al ricorso straordinario di NOME COGNOME, anch’egli sostiene che la Sesta sezione penale, nel rigettare il suo ricorso per cassazione a firma dell’AVV_NOTAIO, sarebbe incorsa in plurimi errori percettivi e sviste decisivi, in quanto «idonei a disarticolare l’impianto motivazionale della sentenza impugnata».
4.1. Il primo errore nel quale sarebbe incorsa la Sesta sezione penale atterrebbe «alla ritenuta credibilità soggettiva del collaboratore NOME COGNOME».
La Sesta sezione non si sarebbe avveduta della censura, che era stata avanzata nel ricorso per cassazione, con la quale il COGNOME si era doluto che «la Corte territoriale non permetteva di capire quali fossero i motivi estrinseci alla revoca della collaborazione, ma soprattutto cosa intendesse per narrato intrinseco del collaboratore», essendosi limitata a ribadire la credibilità del COGNOME, senza prendere in considerazione tale doglianza, avanzata nel ricorso per cassazione.
4.2. Il secondo errore nel quale sarebbe incorsa la Sesta sezione penale atterrebbe al «tema cruciale inerente alla circolarità della chiamata in correità del COGNOME», in ragione della «carenza di effettivi riscontri in ordine al riconoscimento del NOME come “NOME“».
Il ricorrente espone che, nel proprio ricorso per cassazione, aveva lamentato che, «per suffragare l’attribuzione al NOME del soprannome NOME, la Corte partenopea fondava la propria convinzione su un argomento contrario alla massima di esperienza, secondo il quale nell’ambiente criminale sarebbe comune avere più soprannomi, omettendo di considerare che, in tal modo, l’utilità stessa del soprannome, ovvero l’immediata riconoscibilità verrebbe meno».
La Sesta sezione penale non si sarebbe avveduta di tale doglianza.
Sarebbe, inoltre, «vidente l’assenza di alcuna considerazione in ordine alla mancata specificità del riconoscimento rispetto ai fatti contestati, atteso che il collaboratore riferiva che NOME, al più, avrebbe esclusivamente ceduto della sostanza stupefacente di quantità e qualità indeterminata (e quindi non era parte dell’associazione)».
4.3. Il terzo errore di fatto nel quale sarebbe incorsa la Sesta sezione penale sarebbe consistito nell’avere «ignorato la doglianza difensiva inerente all’insussistenza degli elementi costitutivi del reato di associazione ai sensi dell’art. 74 D.P.R. 309/90», in quanto la Sesta sezione non avrebbe «risposto, dando vita ad un’ulteriore svista, alla precisa contestazione dello scrivente in ordine all’assenza del pactum sceleris».
In particolare, la Sesta sezione penale avrebbe commesso «un’evidente svista allorché dimenticava di rispondere come potesse considerarsi sufficiente il contenuto di una unica intercettazione a dimostrare la comunione di intenti necessaria per il riconoscimento del vincolo associativo».
4.4. Il quarto errore di fatto nel quale sarebbe incorsa la Sesta sezione penale sarebbe consistito nell’avere ignorato il motivo di ricorso inerente alla «mancanza di qualsivoglia elemento da cui ricavare l’intraneità del COGNOME rispetto al reato associativo di cui all’art. 74 D.P.R. 309/90». Motivo con il quale era stata in particolare «contesta l’assenza di qualsiasi elemento che dimostrasse che il COGNOME avesse la volontà di porsi stabilmente a disposizione del gruppo criminoso, conoscendo e servendosi dei suoi profili essenziali. Allo stesso modo, proprio dalle intercettazioni emergeva che il NOME potesse aver ceduto sostanza stupefacente senza alcun tipo di collegamento con la presunta associazione».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Preliminarmente, occorre ribadire alcuni principi, affermati dalla Corte di cassazione e condivisi dal Collegio, che appaiono necessari al fine di definire il perimetro applicativo del ricorso straordinario contro i provvedimenti della Corte di cassazione.
L’errore materiale e l’errore di fatto, indicati dall’art. 625-bis cod. proc. pen. come motivi di possibile ricorso straordinario avverso provvedimenti della Corte di cassazione, consistono, rispettivamente, il primo nella mancata rispondenza tra la volontà, correttamente formatasi, e la sua estrinsecazione grafica; il secondo in una svista o in un equivoco incidenti sugli atti interni al giudizio di legittimità, cui contenuto viene percepito in modo difforme da quello effettivo, sicché rimangono del tutto estranei all’area dell’errore di fatto – e sono, quindi, inoppugnabili – gli errori di valutazione e di giudizio dovuti a una non corretta interpretazione degli atti del processo di cassazione, da assimilare agli errori di diritto conseguenti all’inesatta ricostruzione del significato delle norme sostanziali e processuali (Sez. 5, n. 29240 del 01/06/2018, Barbato, Rv. 273193-01, con la quale la Corte ha escluso che costituisse errore di fatto denunciabile mediante ricorso straordinario quello in cui la stessa Corte sarebbe incorsa nell’interpretare le dichiarazioni testimoniali e l’illogicità della motivazione sul ruolo dell’imputato
in un omicidio, come quello di colui che aveva fornito l’arma all’esecutore materiale; Sez. 4, n. 3367 del 04/10/2016, dep. 2017, Troise, Rv. 268953-01, con la quale la Corte ha escluso che costituisse errore di fatto denunciabile mediante ricorso straordinario quello in cui la stessa Corte sarebbe incorsa nell’interpretare le dichiarazioni testimoniali e l’illogicità della motivazione sulla variazione dei ruol cedente-cessionario nei rapporti tra tossicodipendenti).
Già prima di tali pronunce, le Sezioni unite della Corte di cassazione avevano chiarito che l’errore di fatto nel giudizio di legittimità che è oggetto del rimedio che è previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali, che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso. Pertanto, qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo non è configurabile un errore di fatto bensì di giudizio, come tale escluso dal perimetro applicativo del ricorso straordinario (Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011, COGNOME, Rv. 250527-02; Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, COGNOME, Rv. 221280-01).
La Corte di cassazione ha altresì precisato che: a) il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto avverso i provvedimenti della Corte di cassazione non può avere a oggetto il travisamento del fatto o della prova, poiché l’istituto è funzionale a rimuovere i vizi di percezione delle pronunce di legittimità, e non anche quelli del ragionamento (Sez. 3, n. 11172 del 15/12/2023, dep. 2024, Dema, Rv. 286048-01; Sez. 2, n. 29450 del 08/05/2018, COGNOME, Rv. 27306001; Sez. 3, n. 26635 del 26/04/2013, COGNOME, Rv. 256293-01, con la quale la Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso con cui si era contestata la valenza probatoria riconosciuta a una testimonianza; Sez. 2, n. 23417 del 23/05/2007, COGNOME, Rv. 237161-01, con la quale la Corte ha precisato che l’errata valutazione degli elementi probatori deve essere fatta valere, pur quando si risolva in un travisamento del fatto o della prova, nelle forme e nei limiti delle impugnazioni ordinarie); b) è inammissibile il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto avverso la sentenza di Cassazione per l’omesso esame di determinate deduzioni contenute in uno specifico motivo del ricorso per cassazione, laddove il giudice di legittimità non abbia pretermesso l’esame del motivo di impugnazione ma ne abbia fatto oggetto di trattazione; sicché le ridette deduzioni, sebbene la Corte non ne abbia dato esplicitamente conto, debbano reputarsi tacitamente valutate e disattese (Sez. 1, n. 17847 del 11/01/2017, Barilari, Rv. 269868-01).
Si deve infine ribadire che l’errore di fatto rilevabile in sede di ricorso straordinario ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen. è solo quello che sia decisivo, nel senso di avere condotto a una decisione incontrovertibilmente diversa da quella che sarebbe stata adottata se lo stesso errore non fosse stato commesso (Sez. 4, n. 13525 del 21/01/2020, COGNOME, Rv. 279004-01).
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile perché, con esso, sono stati prospettati degli errori che esulano dal perimetro applicativo del ricorso straordinario.
Si deve in proposito osservare:
quanto al primo degli errori denunciati (punto 3.1 della parte in fatto), che la Sesta sezione penale ha: 1.1) sia dato atto del deposito, il 06/12/2024, della nota difensiva dell’AVV_NOTAIO, e del deposito, insieme con la stessa nota, delle due sentenze di assoluzione – che l’AVV_NOTAIO si era riservato di allegare – del 10/11/2017 del G.i.p. del Tribunale di Napoli e del 15/10/2019 della Corte d’appello di Napoli (pag. 3, punto 3.4, della sentenza impugnata); 1.2) sia argomentato come, alla luce della complessiva motivazione dei giudici del merito, l’associazione in contestazione si dovesse ritenere diversa da quella che era stata oggetto di assoluzione, rilevando altresì come l’atto di appello dell’AVV_NOTAIO e non, come si dice nel ricorso straordinario, «il ricorso» – avesse solo genericamente richiamato le menzionate sentenze assolutorie (pagg. 10-11 della sentenza impugnata), ma in ogni caso confrontandosi, a prescindere da tale genericità, con la censura che era stata articolata dal ricorrente in relazione alle stesse sentenze;
quanto al secondo degli errori denunciati (punto 3.2 della parte in fatto), che la Sesta sezione penale ha: 2.1) sia dato atto delle doglianze che erano state avanzate dal ricorrente in ordine alla mancanza di motivazione sull’elemento psicologico del contestato reato associativo e sulla mancanza di una cassa comune dell’associazione (primo capoverso della pag. 3 della sentenza impugnata); 2.2) sia risposto a tali doglianze, avendo argomentato come la Corte d’appello di Napoli avesse complessivamente dato conto, anche rinviando agli argomenti che erano stati diffusamente sviluppati dal Tribunale di Napoli, dell’esistenza di un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti (diversa da quella che era stata oggetto delle due menzionate sentenze di assoluzione), escludendo implicitamente la decisività delle questioni che erano state poste con l’atto di appello (sempre pagg. 10-11 della sentenza impugnata);
quanto al terzo degli errori denunciati (punto 3.3 della parte in fatto), che la Sesta sezione penale ha in realtà valutato il motivo di ricorso con il quale era stata contestata l’attribuzione al COGNOME di un ruolo di vertice nell’associazione, avendo argomentato come tale ruolo apicale del ricorrente si dovesse ritenere
dimostrato sulla base sia delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME sia di alcune affermazioni che erano state fatte da NOME COGNOME nel corso di una conversazione (la n. 45 del 19/02/2017) che era stata intercettata all’interno della sua auto (pag. 12 della sentenza impugnata). La Sesta sezione penale ha affrontato anche la questione dell’asserita riferibilità di alcune conversazioni intercettate ad NOME COGNOME, ritenendola non consentita in quanto diretta a proporre una lettura alternativa delle stesse conversazioni. La Sesta sezione non si è pertanto limitata a “ripetere” quanto era stato sostenuto dal giudice del merito (ed era stato contestato nel ricorso), ma lo ha condiviso, reputando che le condotte del COGNOME che risultavano dagli indicati elementi di prova fossero effettivamente riconducibili al paradigma apicale;
4) quanto al quarto degli errori denunciati (punto 3.4 della parte in fatto), la Sesta sezione penale ha in realtà valutato: 4.1) sia le doglianze in ordine alla credibilità soggettiva del collaboratore di giustizia NOME COGNOME, reputando, in particolare, che l’argomentazione della Corte d’appello di Napoli circa la mancata incidenza della revoca del programma di protezione del COGNOME sulla credibilità di tale collaboratore di giustizia fosse esente da illogicità manifeste (quarto e quinto capoverso della pag. 13 della sentenza impugnata); 4.2) sia le doglianze in ordine alla valenza probatoria delle dichiarazioni accusatorie che erano state rese dal COGNOME nei confronti di NOME COGNOME, avendo evidenziato, oltre che il carattere specifico e individualizzante di tali dichiarazioni etero-accusatorie, anche la presenza dei riscontri estrinseci alle stesse costituiti dal contenuto dell’intercettata conversazione n. 45 del 19/02/2017 e dalle dichiarazioni di NOME COGNOME (ultimo capoverso della pag. 13 e primo paragrafo della pag. 14 della sentenza impugnata);
5) quanto al quinto degli errori denunciati (punto 3.5 della parte in fatto), la Sesta sezione penale, diversamente da quanto è sostenuto dal ricorrente, non ha affatto «ignorato il motivo di ricorso inerente alla mancata esclusione dell’aggravante di cui all’art. 416 bis 1 c.p.» ma lo ha ritenuto inammissibile per genericità, in quanto essenzialmente fondato sulle più volte menzionate sentenze assolutorie le quali, però, per quanto si è già detto, si dovevano ritenere prive di rilievo (primo capoverso della pag. 14 della sentenza impugnata).
Alla luce di quanto precede, si deve ritenere che, con il proposto ricorso straordinario, il COGNOME non abbia denunciato degli errori di fatto, cioè delle sviste o degli equivoci in cui sarebbe incorsa la Sesta sezione penale nel percepire il contenuto degli atti interni ai giudizio di legittimità, ma abbia in realtà contestato degli errori non percettivi ma di valutazione o di giudizio che sarebbero stati commessi dalla stessa Sesta sezione nell’interpretare i medesimi atti e, comunque, il contenuto valutativo della decisione della sentenza impugnata, il che, come si è
ampiamente detto nel punto 1, esula dal perimetro dell’istituto del ricorso straordinario.
Anche il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile perché, anche con esso, sono stati prospettati degli errori che esulano dal perimetro applicativo del ricorso straordinario.
Si deve in proposito osservare:
quanto al primo degli errori denunciati (punto 4.1 della parte in fatto), che la Sesta sezione penale, richiamando quanto aveva affermato nel contesto dell’esame del ricorso di NOME COGNOME (terz’ultimo capoverso della pag. 14 della sentenza impugnata), ha sia indicato i motivi «estrinseci» per i quali il programma di protezione di NOME COGNOME era stato revocato – costituiti dalle specificate «intemperanze comportamentali» del collaboratore di giustizia -, sia ritenuto l’assenza di manifesta illogicità della motivazione delle conformi sentenze dei giudici del merito là dove tali giudici avevano ritenuto che, proprio in quanto la revoca del programma di protezione del COGNOME era stata dovuta a dei motivi «estrinseci», essa non incideva sulla credibilità delle dichiarazioni del collaboratore (richiamati penultimo e terz’ultimo capoverso della pag. 13 della sentenza impugnata);
quanto al secondo degli errori denunciati (punto 4.2 della parte in fatto), che la Sesta sezione penale ha sia indicato i plurimi elementi in base ai quali si doveva ritenere che il ricorrente fosse soprannominato “NOME“, sia argomentato che la tesi, che era stata sostenuta nel ricorso, secondo cui il NOME veniva chiamato “NOME“, era rimasta una mera asserzione, atteso che le conversazioni intercettate menzionavano sempre e solo “NOME” e che non risultava che vi fossero altri soggetti con quest’ultimo soprannome (terz’ultimo e quart’ultimo capoverso della pag. 15 della sentenza impugnata);
quanto al terzo e al quarto degli errori denunciati (punti 4.3 e 4.4 della parte in fatto), che la Sesta sezione penale ha risposto anche al motivo di ricorso relativo all’esistenza dell’associazione in questione (del quale ha dato atto al punto 6.2 della pag. 5 della sentenza impugnata) e al motivo di ricorso relativo alla partecipazione alla stessa associazione da parte del RAGIONE_SOCIALE (del quale ha dato atto al punto 6.3 della pag. 5 della sentenza impugnata), ritenendoli: il primo, in parte a-specifico, per l’assenza di specificità del corrispondente motivo di appello; entrambi, non fondati, avendo valutato che la Corte d’appello di Napoli avesse dato non illogicamente conto degli elementi costitutivi dell’associazione, compreso quello dell’affectio societatis, alla luce del contenuto non di una ma di due intercettate conversazioni – la n. 45 del 19/02/2017 tra NOME COGNOME e NOME COGNOME e la n. 287 tra lo stesso NOME COGNOME e NOME COGNOME -, dalle quale
conversazioni riteneva fosse risultato, in modo inequivoco, anche il ruolo che era rivestito dal COGNOME in seno all’associazione.
Alla luce di quanto precede, si deve ritenere che, con il proposto ricorso straordinario, anche il COGNOME non abbia denunciato degli errori di fatto, cioè delle sviste o degli equivoci in cui sarebbe incorsa la Sesta sezione penale nel percepire il contenuto degli atti interni al giudizio di legittimità, ma abbia in realtà contestato degli errori non percettivi ma di valutazione o di giudizio che sarebbero stati commessi dalla stessa Sesta sezione nell’interpretare i medesimi atti e, comunque, il contenuto valutativo della decisione della sentenza impugnata, il che, come si è ampiamente detto nel punto 1, esula dal perimetro dell’istituto del ricorso straordinario.
Pertanto, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di € 3.000,00 ciascuno in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 16/10/2025.