Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 26171 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 26171 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato a Castroreale il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza del 28 aprile 2023 della Corte di cassazione;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito l’AVV_NOTAIO, nell’interesse della parte civile, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito l’AVV_NOTAIO, nell’interesse del ricorrente, che, riportandosi ai motivi proposti, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME, per il tramite del suo difensore, propone ricorso straordinario, ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., per denunciare plurimi errori percettivi, anche di tipo omissivo, ravvisati, in ipotesi, nella sentenza (Sez. 1, n. 27722 del 28 aprile 2023, depositata il 26 giugno successivo) con la quale
questa Corte ha rigettato il ricorso, presentato nell’interesse dello stesso COGNOME, avverso la pronuncia resa dalla Corte d’assise d’appello di Messina il 29 aprile 2022.
Secondo la prospettazione difensiva, invero, la Corte:
avrebbe valutato inammissibile l’eccezione relativa all’omessa fissazione dell’udienza camerale (dinanzi ad un gip diverso rispetto a quello che aveva emesso la misura custodiale) a seguito della presentazione della richiesta di abbreviato condizionato, sebbene la mancata celebrazione dell’udienza si sia risolta in una manifesta violazione del suo diritto di difesa con conseguente nullità dell’intero giudizio;
avrebbe valutato inammissibili, per mancanza di specificità, sebbene la difesa ne avesse specificamente indicato la rilevanza, le ulteriori censure sollevate (con riferimento alla prospettata nullità del decreto di giudizio immediato, all’omessa consegna di copia delle intercettazioni, alla violazione del diritto di difesa in relazione alle ordinanze del 4 marzo 2020, 19 giugno 2020 e 22 settembre 2020; alla richiesta di rinnovazione dibattimentale);
avrebbe ritenuto infondata l’eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni senza tuttavia dar conto dell’applicazione dei principi richiamati al caso concreto, attesa l’assoluta insussistenza della gravità indiziaria ritenuta dal AVV_NOTAIO e la mancanza di un’adeguata motivazione circa l’assoluta indispensabilità dell’attività di captazione;
avrebbe ritenuto una fantomatica stabilità di rapporti di contiguità esistenti tra NOME COGNOME e la famiglia COGNOME nonché una condivisione dei relativi interessi e la sussistenza di un rapporto di cointeressenza criminale, nonostante la radicale mancanza di elementi probatori alla luce dei quali ritenere che lo COGNOME abbia offerto un contributo concreto e specifico al sodalizio mafioso; peraltro senza offrire alcuna motivazione a tutte le censure sollevate con il terzo motivo di ricorso, quanto alla richiesta di rinnovazione dibattimentale, alla modifica del fatto oggetto dell’imputazione (da partecipazione a concorso esterno), alla prospettata derubricazione, al corretto inquadramento temporale delle condotte contestate (anche ai fini dell’individuazione della normativa applicabile ratione temporis in termini di trattamento sanzionatorio), all’omesso riconoscimento delle attenuanti generiche.
Il 2 maggio 2024, la difesa ha depositato ulteriore memoria con la quale, anche in replica alle conclusioni rese dal AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
L’errore di fatto per il quale il legislatore ha introdotto il rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen., secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte stessa è incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio, connotato dall’influenza determinante esercitata sul processo formativo della volontà, viziato, appunto, dall’inesatta percezione delle risultanze processuali (cfr., in particolare, Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015; Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011; Sez. U, Sentenza n. 16103 del 27/03/2002).
Sono, quindi, fuori del perimetro normativo tanto gli errori che, pur potendo essere qualificati quali errori di fatto, non siano stati decisivi nell’economia del percorso motivazionale seguito, quanto quelli che si risolvono in una prospettata errata interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, anche se dovuti ad ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati (Sez. 5, n. 21939 del 17/04/2018; Sez. 1, n. 34128 del 6/5/2021).
3. Ciò considerato, la Corte ha dato conto:
dell’inammissibilità del primo motivo di censura, rilevando come la Corte di appello di Messina avesse compiutamente esplicitato le ragioni che non consentivano l’accoglimento delle eccezioni sollevate davanti al Tribunale di Messina; ragioni con le quali la difesa del ricorrente, pur esponendo con argomentazioni diffuse la doglianza, non si confrontava partitamente, limitandosi a indicare l’omesso compimento del vaglio giurisdizionale richiesto, senza enucleare né le patologie censurate con riferimento a ciascuna delle eccezioni sollevate davanti al Tribunale di Messina, né le ragioni che imponevano di ritenere le singole questioni processuali (laddove fondate, in fatto o in diritto) idonee a disarticolare il percorso argomentativo attraverso cui si era giunti alla conferma del giudizio di colpevolezza formulato nei confronti di NOME COGNOME, e senza allegare (con riferimento alle ordinanze deliberate dal Tribunale di Messina nelle date del 12 febbraio 2019, del 22 febbraio 2019, del 13 giugno 2019, del 4 marzo 2020, del 17 aprile 2020, del 19 giugno 2020 e del 22 settembre 2020) i dati processuali indispensabili al vaglio giurisdizionale richiesto al Collegio;
dell’infondatezza del secondo motivo, in quanto i risultati delle intercettazioni disposte per un’ipotesi di reato rientrante tra quelle indicate dalla disposizione dell’art. 266 cod. proc. pen. «sono utilizzabili anche relativamente ad altri reati che emergano dall’attività di captazione, ancorché per essi le
intercettazioni non sarebbero state consentite, purché tra il contenuto dell’originaria notizia di reato alla base dell’autorizzazione e quello dei reati per cui si procede separatamente vi sia una stretta connessione sotto il profilo oggettivo, probatorio o finalistico, cosicché il relativo procedimento possa ritenersi non diverso rispetto al primo, ai sensi dell’art. 270, comma primo, cod. proc. pen.» (Sez. 5, n. 45535 del 16/03/2016, Damiani, Rv. 268453);
dell’indeducibilità della censura afferente alla prospettata inutilizzabilità di tutte le intercettazioni relative alla posizione del ricorrente, in mancanza della correlata analitica indicazione delle conseguenze concrete che ciascuna captazione aveva prodotto sulla posizione dell’imputato e sul giudizio di responsabilità che lo riguardava, correlando, al contempo, tali elementi probatori con le residue fonti di prova; tanto più alla luce delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia NOME Grasso, le cui accuse nei confronti del ricorrente costituivano il nucleo essenziale del giudizio di responsabilità formulato dalla Corte di appello di Messina nei confronti dell’imputato per il reato di cui al capo 1;
della indeducibilità delle censure afferenti al contenuto delle conversazioni intercettate, in quanto involgenti questiones facti, non consentite in sede di legittimità;
dell’infondatezza del terzo motivo, alla luce delle emergenze processuali evidenziate dalla Corte territoriale (e del rispetto dei parametri ermeneutici indicati dalla giurisprudenza di legittimità), dalle quali emergeva che il contributo di COGNOME non potesse essere ritenuto occasionale o comunque limitato allo svolgimento di singole operazioni economiche (dando così conto dell’impossibilità dell’invocata riqualificazione);
dell’infondatezza del quarto motivo, quanto all’invocato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche; esclusione pienamente suffragata dalla ricostruzione compiuta dalla Corte di merito, tenuto conto dell’elevato disvalore delle vicende delittuose e della reiterazione nel tempo di tali comportamenti illeciti.
Il ricorrente, parallelamente, per come si è analiticamente indicato in precedenza, deduce non già errori percettivi, ma un asserito erroneo vaglio delibativo di aspetti del compendio storico-fattuale e, quindi, un errore di giudizio, riproponendo, anche in questa sede, un’indebita rilettura del contenuto delle conversazioni intercettate (essa stessa in questa sede inammissibile) e, più in AVV_NOTAIO, del materiale probatorio fondante la decisione di merito; valutazioni che, seppur non condivise dal ricorrente, non possono farsi rientrare in alcun modo nella sfera di ammissibilità del ricorso straordinario.
Ugualmente indeducibile, in ragione della sua generica formulazione, è anche la censura afferente all’esatta individuazione del contesto temporale della condotta associativa contestata.
In applicazione del AVV_NOTAIO principio dell’autosufficienza del ricorso, infatti, ove il vizio prospettato si fonda sulla valutazione di un atto processuale, non contenuto nel fascicolo processuale (come in questo caso: il ricorso introduttivo del procedimento all’esito del quale è stato emanato il provvedimento impugnato), al AVV_NOTAIO onere di esatta specificazione dell’atto, si aggiunge anche l’onere di rituale allegazione, secondo modalità tali da rendere concretamente esercitabile il sindacato richiesto.
Ebbene, il ricorrente nulla ha allegato al ricorso sotto tale profilo e dalla (incontestata) sintesi dei motivi di ricorso contenuta nella sentenza impugnata, non emerge alcun riferimento al profilo di censura oggi in contestazione.
Tanto rende la censura generica e, quindi, indeducibile.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dall’RAGIONE_SOCIALE, parte civile costituita, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile “RAGIONE_SOCIALE“, che liquida in complessivi euro 2.800,00 oltre accessori di legge.
Così deciso il 7 maggio 2024