Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 24086 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 24086 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato a NAPOLI il 27/08/1971 NOME nato a NAPOLI il 08/11/1989
avverso la sentenza del 13/12/2023 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME lette/sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita come da requisitoria in atti.
udito il difensore
L’avvocato COGNOME per le posizioni di COGNOME, riportandosi agli scritti depositati ne chiede l’accoglimento.
L’avvocato COGNOME per SPINA, si riporta al ricorso presentato chiedendone l’accoglimento.
IN FATTO E IN DIRITTO
Con sentenza pronunciata il 13.12.2023, n. 32283 24, R.G.N. 32081/2023, la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, decidendo sul ricorso proposto, tra gli altri, da NOME Alessandro e da COGNOME NOME avverso la sentenza con cui la corte di assise di appello di Napoli, in data 20.1.2023, aveva confermato la sentenza con cui il giudice di primo grado, in data 4.6.2020, aveva condannato i suddetti imputati, oltre a COGNOME NOME, COGNOME NOME ed COGNOME Salvatore ciascuno alla pena ritenuta di giustizia per i reati di omicidio di NOME COGNOME e NOME COGNOME aggravato da premeditazione, dai motivi abietti e dalla circostanza di cui all’art. 416 bis.1., c.p., e di tentato omicidio aggravato come sopra in danno di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME; di violazione della disciplina sulle armi per illegale detenzione e porto in luogo pubblico di almeno una pistola cal. 9, arma comune da sparo, annullava la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte di assise di Napoli per nuovo giudizio sul punto nei confronti del COGNOME e COGNOME, limitatamente al mancato riconoscimento della circostanze attenuanti generiche, rigettando nel resto i ricorsi dei suddetti imputati.
Avverso la menzionata sentenza della Suprema Corte il COGNOME e COGNOME, con autonomi atti, hanno proposto ricorso straordinario per errore materiale o di fatto ex art. 625 bis c.p.p.
2.1. Il COGNOME, in particolare, nel ricorso a firma del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME lamenta l’errore percettivo in cui è caduto il giudice di legittimità nel valutare il contenuto della conversazione intercettata n. 639, indicata come quella in cui COGNOME e COGNOME avrebbero discusso in dettaglio del percorso che i sicari incaricati dell’azione punitiva nei confronti del clan COGNOME avrebbero dovuto seguire per accedere all’interno del quartiere delle “INDIRIZZO“, senza rilevare che i percorsi descritti dai colloquianti risultavano sovrapponibili solo nella prima parte , per poi diramarsi in due distinte direzioni del centro cittadino, senza che nessuno di tali percorsi intersecasse il luogo della strage del 22 aprile 2016, ossia INDIRIZZO INDIRIZZO
della famiglia COGNOME. Il luogo da cui i sicari avrebbero dovuto muovere nel tentativo di guadagnare la fuga era individuato, nel corso della conversazione, in INDIRIZZO ben distante dalla Fontanelle, ma vicino al garage dei fratelli COGNOME. Si tratta, rileva il ricorrente, di una censura non scrutinata dalla Suprema Corte, che riveste carattere decisivo nei confronti del COGNOME, attenendo al suo contributo concorsuale.
2.2. La COGNOME, nel ricorso a firma del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME lamenta l’errore percettivo in cui è caduto il giudice di legittimità nell’affermare che entrambi i giudici di merito, nel valutare il contenuto delle conversazioni intercettate n. 3594 e n. 3595 dell’1.5.2016, poste a carico dell’imputata, abbiano fornito una lettura uniforme delle suddette conversazioni, laddove, mentre la corte d’assise le aveva considerate rivelatrici di una genuina e spontanea ammissione di responsabilità per la strage avvenuta da parte dell’imputata, scolpita nella frase pronunciata dalla COGNOME, nel dolersi con COGNOME NOME dell’esito, non definitivo, dell’agguato, che non aveva raggiunto i principali obiettivi (i COGNOME padre e figlio), utilizzando la prima persona plurale (“sfortunatamente non abbiamo preso il perno principale”), la corte di assise di appello, confrontandosi con una nuova trascrizione della conversazione n. 3595, oggetto di perizia disposta in appello da parte dell’ing. COGNOME da cui emergeva che anche la COGNOME, al pari dell’COGNOME NOME, aveva in realtà utilizzato la terza persona plurale, “aveva ribaltato il ragionamento giustificativo adottato dal giudice di primo grado che i partecipanti alla conversazione, in quel frangente, adottassero precauzioni volte a eludere eventuali attività di intercettazione in atto e, per tale motivo, avessero dichiarato la propria estraneità all’omicidio avvenuto.” Si tratta, ad avviso della ricorrente, di un errore decisivo, in quanto se la frase fosse stata correttamente intesa secondo l’analisi già svolta in appello, sarebbe stato chiaro che essa non conteneva alcun elemento di partecipazione attiva alla pretesa eliminazione dei COGNOME, ma al massimo rappresenta un giudizio sui fatti avvenuti.
Con memoria presentata nell’interesse di entrambi i ricorrenti, l’avv. COGNOME da un lato, insiste sull’evidenziato motivo di ricorso; dall’altro, richiamando i ricorsi presentati dagli avvocati COGNOME e COGNOME denuncia l’errore di metodo nel quale è incorsa la Corte di Cassazione, per non avere posto in continuazione ermeneutica le intercettazioni n. 3594 e n. 3595 con l’intercettazione del giorno dopo, la n.3627 del 2/5/16, che viene considerata di per sé sola, senza collegamento con le due precedenti
Con requisitoria scritta, da valere come memoria, essendo stata chiesta nelle more la discussione in forma orale, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, dott. NOME COGNOME chiede che i ricorsi vengano dichiarato inammissibili.
I proposti ricorsi sono inammissibili per le seguenti ragioni.
Come è noto l’errore materiale e l’errore di fatto, indicati dall’art. 625bis, c.p.p., quali motivi di possibile ricorso straordinario avverso provvedimenti della Corte di Cassazione, consistono, rispettivamente, il primo nella mancata rispondenza tra la volontà, correttamente formatasi, e la sua estrinsecazione grafica; il secondo in una svista o in un equivoco incidenti sugli atti interni al giudizio di legittimità, il cui contenuto viene percepito in modo difforme da quello effettivo, sicché rimangono del tutto estranei all’area dell’errore di fatto – e sono, quindi, inoppugnabili – gli errori di valutazione e di giudizio dovuti ad una non corretta interpretazione degli atti del processo di cassazione, da assimilare agli errori di diritto conseguenti all’inesatta ricostruzione del significato delle norme sostanziali e processuali. (cfr. Sez. 5, n. 29240 del 01/06/2018, Rv. 273193).
In tale decisione la Suprema Corte ha escluso costituisse errore di fatto denunciabile mediante ricorso straordinario quello in cui la stessa Corte sarebbe incorsa nell’interpretare le dichiarazioni testimoniali e l’illogicità della motivazione sul ruolo dell’imputato in un omicidio, come quello di colui che aveva fornito l’arma all’esecutore materiale.
In tema di ricorso straordinario, pertanto, qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione
percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. (cfr. Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, Rv. 263686)
Deve, di conseguenza, ritenersi inammissibile il ricorso straordinario, proposto ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., che abbia in maniera preponderante il contenuto concreto di una ulteriore e non consentita impugnazione ordinaria, non essendo in tal caso la Cassazione tenuta a verificare se siano stati proposti, tra gli altri, anche motivi compatibili con l’impugnazione straordinaria, in quanto l’atto deve ritenersi radicalmente irricevibile (cfr. Sez. 6, n. 36066 del 28/06/2018, Rv. 273779).
Va, inoltre, ribadito un costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, l’omessa motivazione in ordine ad uno o più motivi di ricorso per cassazione non dà luogo ad errore di fatto rilevante a norma dell’art. 625-bis, c.p.p., allorché il motivo proposto debba considerarsi implicitamente disatteso, ovvero qualora l’omissione sia soltanto apparente, risultando le censure formulate con il relativo motivo assorbite dall’esame di altro motivo preso in considerazione, o, ancora, quando l’omesso esame del motivo non risulti decisivo, in quanto da esso non discenda, secondo un rapporto di derivazione causale necessaria, una decisione incontrovertibilmente diversa da quella che sarebbe stata adottata se il motivo fosse stato considerato; in tale ultima ipotesi, è onere del ricorrente dimostrare che la doglianza non riprodotta era, contro la regola di cui all’art.173, disp. att., c.p.p., decisiva e che il suo omesso esame è conseguenza di un sicuro errore di percezione (cfr. Sez. 2, n. 53657 del 17/11/2016, Rv. 268982; Sez. 5, n. 26271 del 26/05/2023, Rv. 284697).
Orbene, alla luce di tali princìpi, risulta in tutta evidenza l’inammissibilità dei ricorsi di cui si discute. Con essi, infatti, i ricorrenti: 1) non indicano, se non in maniera del tutto generica, in che termini le omissioni e gli errori denunciati debbano ritenersi decisivi, nel senso che, ove non
fossero stati commessi, avrebbero condotto ad una decisione incontrovertibilmente diversa da quella adottata nei loro confronti (cfr.
Sez. 4, n. 13525 del 21/01/2020, Rv. 279004); 2) deducono, in realtà, altrettanto genericamente, errori di valutazione e di giudizio ascritti al
giudice di legittimità; 3) non si confrontano con l’articolato percorso argomentativo, seguito dal collegio giudicante, risultando preponderante
negli articolati ricorsi il contenuto concreto di una ulteriore e non consentita impugnazione ordinaria.
6. Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi, segue, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
del procedimento e della somma di euro 3000,00 a favore della cassa delle ammende, tenuto conto della circostanza che l’evidente
inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere queste ultime immuni da colpa nella determinazione delle evidenziate
ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.