Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 24090 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 24090 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME nato a NAPOLI il 27/08/1971 NOME COGNOME nato a NAPOLI il 26/08/1986
avverso la sentenza del 13/12/2023 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME lette/sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita come da requisitoria in atti.
udito il difensore
L’avvocato COGNOME conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso straordinario presentato per ambedue le ricorrenti.
IN FATTO E IN DIRITTO
Con sentenza pronunciata il 13.12.2023, n. 32283 24, R.G.N. 32081/2023, la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, decidendo sul ricorso proposto, tra gli altri, da COGNOME NOME e da NOME avverso la sentenza con cui la corte di assise di appello di Napoli, in data 20.1.2023, aveva confermato la sentenza con cui il giudice di primo grado, in data 4.6.2020, aveva condannato le suddette imputate, oltre a COGNOME NOME, NOME Alessandro ed COGNOME NOME ciascuno alla pena ritenuta di giustizia per i reati di omicidio di NOME COGNOME e NOME COGNOME aggravato da premeditazione, dai motivi abietti e dalla circostanza di cui all’art. 416 bis.1., c.p., e di tentato omicidio aggravato come sopra in danno di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME; di violazione della disciplina sulle armi per illegale detenzione e porto in luogo pubblico di almeno una pistola cal. 9, arma comune da sparo, annullava la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte di assise di Napoli per nuovo giudizio sul punto nei confronti della COGNOME e della COGNOME, limitatamente al mancato riconoscimento della circostanze attenuanti generiche, rigettando nel resto i ricorsi delle suddette imputate.
Avverso la menzionata sentenza della Suprema Corte l’COGNOME e COGNOME, con un unico atto a firma del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME hanno proposto ricorso straordinario per errore materiale o di fatto ex art. 625 bis c.p.p.
2.1. Le ricorrenti, in particolare, lamentano gli errori percettivi in cui è caduto il giudice di legittimità nell’affermare: 1) che l’agguato mortale sia da ricondurre all’ostilità del gruppo dei Genidoni nei confronti dei COGNOME, determinata dalla convinzione che questi ultimi fossero gli autori dell’uccisione dei familiari di NOME COGNOME laddove il giudice di appello aveva chiarito come in realtà i Genidoni attribuissero tale uccisione ai COGNOME e ai COGNOME, nutrendo la COGNOME solo il dubbio di un coinvolgimento in tale vicenda anche dei COGNOME, sicché la Corte di Cassazione ha dato erroneamente per assodato un dato che non lo era affatto, trattandosi di un semplice dubbio, ritenuto preponderante dal giudice di appello rispetto alle altre risultanze processuali e, in particolare, alle dichiarazioni degli altri componenti della famiglia
COGNOME sulla base di una valutazione la cui illogicità era stata denunciata con il ricorso per cassazione; 2) che i luoghi indicati nelle conversazioni oggetto di captazione sono compatibili con i luoghi e i percorsi attraverso i quali si è svolta l’azione criminosa, nonostante la difesa ne avesse dimostrato l’assoluta incompatibilità, senza tacere, in particolare, che il garage indicato dalla Corte di Cassazione come base logistica per l’esecuzione dell’agguato, come si evince dalla conversazione n. 140 richiamata dalla corte territoriale, era in realtà il luogo dove avrebbe dovuto svolgersi l’azione criminosa; 3) che, con riferimento ad alcune conversazioni ritenute confessorie intercettate dopo il fatto, la difesa, che aveva evidenziato come in tali conversazioni si facesse riferimento a dichiarazioni provenienti da terzi, non aveva indicato di chi si trattasse, laddove, invece, lo stesso giudice di legittimità affermava che la tesi difensiva era che la frase intercettata riguardava gli Staterini, i quali avevano esortato i COGNOME ad intraprendere azioni contro i COGNOME; 4) che la corte di appello aveva operato un puntuale esame delle intercettazioni trascritte su istanza della difesa, con specifico riferimento alla conversazione n. 3627, laddove la censura difensiva aveva, invece, riguardato il mancato coordinamento delle conversazioni asseritamente confessorie con altre conversazioni, che palesavano la natura de relato di tali conversazioni; 5) che sussiste una sorta di doppia conforme in ordine all’interpretazione delle conversazioni n. 3594 e n. 3595, di cui, in realtà, come si è già visto, i giudici di merito hanno dato una lettura diversa; 6) che COGNOME NOME, rimbeccato dalle ricorrenti, abbia affermato, con riferimento all’agguato, “abbiamo fatto”, dato non rinvenibile negli atti processuali, e che COGNOME NOME abbia detto, sempre nello stesso contesto, “sfortunatamente non abbiamo preso il perno principale”, laddove l’imputata, come chiarito dalle trascrizioni effettuate dall’ing. COGNOME aveva coniugato il verbo alla terza persona plurale, nel senso “sfortunatamente non hanno preso il perno principale”.
Con il secondo motivo di ricorso le ricorrenti evidenziano come la Corte di Cassazione abbia frainteso il motivo di ricorso, al quale non è stata fornita risposta, volto a contestare la capacità delle imputate di rafforzare o agevolare il proposito criminoso già saldamene insorto nel Genidoni e non, come erroneamente ritenuto dal giudice di legittimità, a
manifestare la loro adesione a tale progetto, senza tacere che anche con riferimento alla doglianza con cui si contestava l’efficienza causale del contributo fornito dalle imputate in ragione della sfiducia dimostrata nei confronti delle donne da alcuni sodali del presunto clan COGNOME (sintetizzata nella frase “da che mondo è mondo le femmine la malavita non l’hanno mai fatta”), la corte di Cassazione ha risposto facendo ricorso a massime di esperienza di carattere generale, avulse dal caso concreto. Un ultimo errore, infine, viene evidenziato nell’affermazione contenuta in sentenza secondo cui “NOME aveva informato la madre che ieri sera gli ho mandato le pistole”, mentre dalla perizia trascrittiva dell’ing. COGNOME che non vi è stato nella conversazione alcun riferimento alle pistole.
Con requisitoria scritta, da valere come memoria, essendo stata chiesta nelle more la discussione in forma orale, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, dott. NOME COGNOME chiede che i ricorsi vengano dichiarato inammissibili.
I proposti ricorsi sono inammissibili per le seguenti ragioni.
Come è noto l’errore materiale e l’errore di fatto, indicati dall’art. 625-bis, c.p.p., quali motivi di possibile ricorso straordinario avverso provvedimenti della Corte di Cassazione, consistono, rispettivamente, il primo nella mancata rispondenza tra la volontà, correttamente formatasi, e la sua estrinsecazione grafica; il secondo in una svista o in un equivoco incidenti sugli atti interni al giudizio di legittimità, il cui contenuto viene percepito in modo difforme da quello effettivo, sicché rimangono del tutto estranei all’area dell’errore di fatto – e sono, quindi, inoppugnabili – gli errori di valutazione e di giudizio dovuti ad una non corretta interpretazione degli atti del processo di cassazione, da assimilare agli errori di diritto conseguenti all’inesatta ricostruzione del significato delle norme sostanziali e processuali. (cfr. Sez. 5, n. 29240 del 01/06/2018, Rv. 273193).
In tale decisione la Suprema Corte ha escluso costituisse errore di fatto denunciabile mediante ricorso straordinario quello in cui la stessa Corte sarebbe incorsa nell’interpretare le dichiarazioni testimoniali e l’illogicità della motivazione sul ruolo dell’imputato in un omicidio, come quello di colui che aveva fornito l’arma all’esecutore materiale.
In tema di ricorso straordinario, pertanto, qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. (cfr. Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, Rv. 263686)
Deve, di conseguenza, ritenersi inammissibile il ricorso straordinario, proposto ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., che abbia in maniera preponderante il contenuto concreto di una ulteriore e non consentita impugnazione ordinaria, non essendo in tal caso la Cassazione tenuta a verificare se siano stati proposti, tra gli altri, anche motivi compatibili con l’impugnazione straordinaria, in quanto l’atto deve ritenersi radicalmente irricevibile (cfr. Sez. 6, n. 36066 del 28/06/2018, Rv. 273779).
Va, inoltre, ribadito un costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, l’omessa motivazione in ordine ad uno o più motivi di ricorso per cassazione non dà luogo ad errore di fatto rilevante a norma dell’art. 625-bis, c.p.p., allorché il motivo proposto debba considerarsi implicitamente disatteso, ovvero qualora l’omissione sia soltanto apparente, risultando le censure formulate con il relativo motivo assorbite dall’esame di altro motivo preso in considerazione, o, ancora, quando l’omesso esame del motivo non risulti decisivo, in quanto da esso non discenda, secondo un rapporto di derivazione causale necessaria, una decisione incontrovertibilmente diversa da quella che sarebbe stata adottata se il motivo fosse stato considerato; in tale ultima ipotesi, è onere del ricorrente dimostrare che la doglianza non riprodotta era, contro la regola di cui all’art.173, disp. att., c.p.p., decisiva e che il suo omesso esame è conseguenza di un sicuro errore di percezione (cfr. Sez. 2, n. 53657 del 17/11/2016, Rv. 268982; Sez. 5, n. 26271 del 26/05/2023, Rv. 284697).
Orbene, alla luce di tali princìpi, risulta in tutta evidenza l’inammissibilità dei ricorsi di cui si discute. Con essi, infatti, le ricorrenti: 1) non indicano, se non in maniera del tutto generica, in che termini le omissioni e gli errori denunciati debbano ritenersi decisivi, nel senso che, ove non fossero stati commessi, avrebbero condotto ad una
decisione incontrovertibilmente diversa da quella adottata nei loro confronti (cfr. Sez. 4, n. 13525 del 21/01/2020, Rv. 279004); 2)
deducono, in realtà, altrettanto genericamente, errori di valutazione e di giudizio ascritti al giudice di legittimità; 3) non si confrontano con
l’articolato percorso argomentativo, seguito dal collegio giudicante, risultando preponderante negli articolati ricorsi il contenuto concreto di
una ulteriore e non consentita impugnazione ordinaria.
6. Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi, segue, ai sensi dell’art.
616 4, c.p.p., la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e, la sola NOME della somma di euro 3000,00
a favore della cassa delle ammende, tenuto conto della circostanza che l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di
ritenere l’COGNOME immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186
del 13.6.2000). Non va pronunciata analoga condanna nei confronti di COGNOME, posto che quest’ultima è già stata condannata al pagamento della suddetta sanzione amministrativa, in relazione al ricorso straordinario dalla stessa proposto avverso la medesima sentenza della Corte di Cassazione, del pari dichiarato inammissibile da questo stesso Collegio in data 20.3.2025, nell’ambito del procedimento R.G.N.R. n. 1895/2025, con sentenza n. sez. 409/2025.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna, altresì, NOME al pagamento somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 20.3.2025.