Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 6237 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 6237 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a SAN MAURO MARCHESATO il 29/01/1966
avverso la sentenza del 30/01/2024 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del PG COGNOME che chiede dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
udito l’avvocato NOME COGNOME del foro di ROMA, in sostituzione, per delega orale, dell’Avv. COGNOME del foro di ROMA in difesa di NOME COGNOME che conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 14403 del 30 gennaio 2024, la Quinta sezione penale della Corte di cassazione ha, tra l’altro, rigettato il ricorso proposto da NOME COGNOME avverso quella con cui la Corte di appello di Torino, il 3 ottobre 2022, in parziale riforma della sentenza di primo grado, lo ha ritenuto responsabile del delitto di associazione mafiosa, con ruolo di partecipe, e lo ha condannato alla pena di sette anni e sei mesi di reclusione.
NOME COGNOME propone, a mezzo del difensore e procuratore speciale avv. NOME COGNOME ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen. affidato ad un unico motivo, con il quale deduce che il giudice di legittimità sarebbe incorso, nell’esame degli atti processuali, in due errori percettivi, cagionati da sviste o equivoci, tali da incidere sul processo di formazione della volontà e condurre all’adozione di una decisione che, altrimenti, sarebbe stata di segno differente.
In tal senso rileva, per un verso, che il giudice di legittimità, all’atto di vagliare l’attendibilità delle dichiarazioni rese, a suo carico, dal collaboratore di giustizia NOME COGNOME ha attribuito decisiva rilevanza ad un assunto – quello secondo cui la cessione di un escavatore già di proprietà di COGNOME era, in realtà, finalizzata a ricavare la provvista necessaria ad estinguere il debito connesso ad attività di narcotraffico – che è sfornito di qualsivoglia riscontro obiettivo ed è, anzi, palesemente contraddetto da pregnanti e precise emergenze istruttorie, attestanti l’effettiva, e lecita, ragione del trasferimento del mezzo agricolo, che, già trascurate dalla corte territoriale, sono state ritenute non idonee ad incrinare la tenuta razionale della decisione di merito sulla scorta di un dato, l’esistenza del debito per droga, che, diversamente da quanto erroneamente indicato dai giudici di legittimità, non è mai stato oggetto di accertamento processuale.
Eccepisce, sotto altro aspetto, che la Corte di cassazione – dopo avere riportato, nel «Ritenuto in fatto», il motivo di ricorso vedente sull’omessa motivazione, da parte della Corte di appello, in ordine alla rilevanza della decisione, emessa nell’ambito di separato procedimento, promosso a suo carico per il delitto di bancarotta fraudolenta, con la quale è stata esclusa la circostanza aggravante prevista dall’art. 416-bis.1 cod. pen. – non ha alcun modo esaminato la doglianza, relativa ad un profilo suscettibile di incidere in misura decisiva sull’esito del ricorso per cassazione.
Evidenzia, in proposito, che «il motivo sottaciuto dalla Suprema Corte ha a oggetto il fulcro principale della posizione dell’imputato che NOME.] è stato ritenuto partecipe dell’associazione di cui al capo 1) per avere messo a disposizione della locale la sua attività imprenditoriale», per poi affermare che la decisione versata
in atti e non considerata dai giudici di merito «esclude categoricamente che l’attività imprenditoriale del COGNOME sia legata a logiche di tipo mafioso».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, passibile di rigetto.
È pacifico, in giurisprudenza, che «L’errore materiale e l’errore di fatto, indicati dall’art. 625-bis cod. proc. pen. come motivi di possibile ricorso straordinario avverso provvedimenti della corte di cassazione, consistono, rispettivamente, il primo nella mancata rispondenza tra la volontà, correttamente formatasi, e la sua estrinsecazione grafica; il secondo in una svista o in un equivoco incidenti sugli atti interni al giudizio di legittimità, il cui contenuto vien percepito in modo difforme da quello effettivo, sicché rimangono del tutto estranei all’area dell’errore di fatto – e sono, quindi, inoppugnabili – gli errori di valutazion e di giudizio dovuti ad una non corretta interpretazione degli atti del processo di cassazione, da assimilare agli errori di diritto conseguenti all’inesatta ricostruzione del significato delle norme sostanziali e processuali» (Sez. 5, n. 29240 del 01/06/2018, COGNOME, Rv. 273193; Sez. 3, n. 47316 del 01/06/2017, Vinci, Rv. 271145).
Nel caso in esame, il ricorrente attribuisce la veste di errori percettivi a circostanze che, invece, la Corte di cassazione ha debitamente considerato nel vaglio dei motivi di ricorso da lui articolati.
I giudici di legittimità hanno esaminato il ricorso di NOME COGNOME alle pagg. 28-39 della sentenza qui impugnata con ricorso straordinario.
Hanno, tra l’altro, affermato (cfr. pag. 33) la centralità, nel quadro accusatorio, delle dichiarazioni accusatorie rese dal collaboratore di giustizia NOME COGNOME, della cui attendibilità si sono occupati, in termini generali, alle pagg. 18-19.
La Corte di cassazione, in quella sede, ha stimato, in replica alle censure mosse dai ricorrenti e, quindi, anche da NOME, che i giudici di merito abbiano «analiticamente motivato in ordine a tutti i rilievi prospettati della difesa», dando atto, tra l’altro, «della complessiva coerenza del narrato (anche con riferimento alla vicenda dell’escavatore) e della modestia e marginalità delle contestazioni, giustificate dal significativo arco temporale intercorso tra i fatti (avvenuti nell’anno 2010 e l’epoca dell’esame dibattimentale)», nonché «delle convergenti deposizioni rese dalla moglie, da NOME COGNOME e da NOME COGNOME proprio sulla vicenda dell’escavatore» e «dell’incoerenza dell’assunto sostenuto dalla difesa del NOME
(quanto ad una presunta truffa connessa alla vendita di stupefacenti), esso stesso intrinsecamente incompatibile e, comunque, inconciliabile con la decisa negazione di un suo coinvolgimento nel traffico di cocaina».
Ha, per contro, reputato che «a fronte di tali analitiche argomentazioni, tutte le censure si manifestano come rivalutazione del materiale probatorio, riproduttive di censure analiticamente vagliate dalla corte territoriale, fondate su una visione parcellizzata dei singoli elementi probatori».
La Corte di cassazione, dunque, ha delibato le contestazioni mosse da COGNOME il quale, in ricorso, aveva stigmatizzato, in particolare, la contraddittorietà delle dichiarazioni rese, su quell’argomento, da COGNOME, ed ha ritenuto l’inammissibilità del motivo, con il quale erano stati dedotti profili di illegittimi rivelatisi insussistenti.
Ora, con il ricorso straordinario si imputa alla Corte di cassazione di avere avallato il giudizio espresso dai giudici di merito in ordine all’attendibilità d COGNOME, precipuamente con riferimento alla cessione dell’escavatore, senza considerare le obiezioni mosse con l’atto di appello e, quindi, reiterate con il ricorso per cassazione, volte ad accreditare, anche sulla base degli esiti delle espletate intercettazioni, una diversa ricostruzione dell’episodio in chiave lecita e, comunque, non collegata ad un pregresso debito, derivato dall’acquisto di sostanza stupefacente, la cui effettiva esistenza non è stata accertata.
Così facendo, NOME si duole della valutazione operata dalla Corte di cassazione e delle conclusioni che ne sono discese in relazione ad un aspetto – la sincerità di COGNOME nel rievocare i fatti dimostrativi della solidarietà mafiosa dell’imputato – che è stato compiutamente affrontato, sia pure in termini e con esiti che egli non ha condiviso, e, lungi dall’enucleare sviste o equivoci di sorta, si limita a richiamare (senza, peraltro, corredare l’enunciazione con la produzione degli atti di riferimento) le evidenze che, a suo dire, attesterebbero il mendacio del collaboratore di giustizia ed a segnalare l’assenza di riscontri esterni alle sue propalazioni, imperniate sull’esistenza di un’obbligazione residuata ad una precedente transazione illecita, ovvero su un dato fattuale che non è stato oggetto di specifico accertamento.
La doglianza si risolve, allora, nella denuncia di erroneità della sentenza impugnata, asseritamente frutto di fallace interpretazione degli atti del processo di cassazione, e, collocandosi ampiamente al di fuori del perimetro di operatività dell’istituto azionato dall’odierno ricorrente, deve essere disattesa.
Non dissimili sono le conclusioni cui si perviene in relazione all’ulteriore argomento sviluppato da NOME COGNOME a supporto del ricorso straordinario.
L’imputato, con l’originario ricorso per cassazione, ha lamentato che la Corte di appello ha in radice omesso di considerare la rilevanza, in funzione dell’apprezzamento della fondatezza dell’addebito di partecipazione ad associazione mafiosa, della decisione, adottata nell’ambito di separato procedimento, con la quale egli è stato condannato per reati fallimentari, non aggravati, come pure in fase investigativa ipotizzato, ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen., ciò che, nella sua prospettiva, sarebbe inconciliabile con l’impostazione accusatoria, che lo vede impegnato in veste di imprenditore colluso con la ‘ndrangheta.
Con il ricorso straordinario, NOME si duole del silenzio serbato; in proposito, dalla Corte di cassazione che, dopo avere riportato, in sintesi, la doglianza, non si è in alcun modo espressa sul punto, avente rilevanza decisiva nella complessiva economia dell’impugnazione, dovendosi ragionevolmente ritenere che, laddove la censura fosse stata debitamente scrutinata, i giudici di legittimità avrebbero assunto un diverso orientamento.
L’obiezione è manifestamente infondata, atteso:
che la Corte di cassazione, alla pag. 22 della sentenza qui impugnata, ha spiegato, replicando, almeno implicitamente, anche alla censura articolata da NOME, che l’esclusione dell’aggravante speciale in relazione a reati diversi da quello associativo non inibisce la prova dell’esistenza dell’associazione e della partecipazione al sodalizio;
che, comunque, la circostanza segnalata da NOME appare priva di incidenza sull’apprezzamento della sua militanza ‘ndranghetistica, posto, da un canto, che nel procedimento per bancarotta egli venne tratto a giudizio e condannato per reati che, già nella prospettazione del pubblico ministero, non erano aggravati perché finalizzati ad agevolare l’attività di una specifica compagine o commessi con metodo mafioso, sicché la pronuncia si palesa, in quella prospettiva, assolutamente neutra, e, dall’altro, che, in tema di ricorso straordinario per errore di fatto, l’omessa disamina, da parte della Corte di cassazione, di un atto processuale, è deducibile alla condizione, nel caso di specie senz’altro insussistente, che l’omissione risulti decisiva, nel senso che abbia condotto ad una decisione incontrovertibilmente diversa da quella che sarebbe stata adottata se l’atto fosse stato considerato (in questo senso, cfr., tra le tante, Sez. 1, n. 391 del 09/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285553 – 01; Sez. 4, n. 13525 del 21/01/2020, COGNOME, Rv. 279004 – 01; Sez. 6, n. 14296 del 20/03/2014, COGNOME, Rv. 259503 – 01).
Dal rigetto del ricorso discende la condanna di NOME al pagamento delle
spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen..
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 26/11/2024.