Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 14058 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 14058 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/09/2023 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Procuratore Generale, nella persona della AVV_NOTAIO. NOME COGNOME, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del ricorso.
udito il difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso e chiedendone l’accoglimento.
Ritenuto in fatto
Il difensore e procuratore speciale di NOME COGNOME propone ricorso straordinario, ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., nei confronti della sentenza della I sezione di questa Corte n. 49341 del 19 settembre 2023, depositata il 12 dicembre 2023, che ha, in relazione alla posizione del COGNOME, annullato la sentenza della Corte d’appello di Napoli del 20 luglio 2022 «limitatamente agli aumenti di pena per i reati unificati per continuazione», dichiarando inammissibile nel resto il ricorso.
2. L’atto di impugnazione è affidato ai seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo si denuncia l’errore di fatto consistito nell’avere la I sezione annullato, alla stregua del dispositivo, la sentenza impugnata «limitatamente agli aumenti di pena per i reati unificati per continuazione», in contrasto con l’accoglimento, emergente dalla motivazione, del primo e del secondo motivo di ricorso, concernenti, rispettivamente: a) la mancata individuazione, nell’ambito della riconosciuta continuazione tra reati giudicati con sentenze diverse, del reato più grave e b) l’omessa considerazione, ai medesimi fini, di altra sentenza, emessa dalla Corte d’appello di Napoli in data 29 giugno 2005, irrevocabile il 28 giugno 2006, con la quale il COGNOME era stato ritenuto responsabile del delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., già unificato, con provvedimento del giudice dell’esecuzione, con il delitto associativo di cui alla sentenza della Corte d’appello di Napoli del 15 giugno 2017, irrevocabile in data 11 dicembre 2018.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia l’errore di fatto, rilevante al fine di una esatta valutazione del quarto motivo di ricorso, consistito nell’avere la I sezione, esaminando cumulativamente per tutti i ricorrenti il motivo concernente l’incidenza del criterio moderatore di cui all’art. 78 cod. pen., con riguardo al trattamento sanzionatorio inflitto per i reati riuniti in continuazione giudicati con il rito abbreviato, omesso di considerare, per svista percettiva, di avere già disposto, con riguardo alla posizione del COGNOME, l’annullamento del provvedimento impugnato per la mancata individuazione, da parte del giudice di merito, del reato più grave. Quest’ultima decisione, si osserva, precludeva di fatto l’esame della doglianza formulata con il quarto motivo e ne avrebbe dovuto comportare l’assorbimento.
2.3. Con il terzo motivo si denuncia l’errore di fatto consistito nell’avere la I) sezione, esaminando cumulativamente per tutti i ricorrenti il motivo concernente l’incidenza del criterio moderatore di cui all’art. 78 cod. pen., con riguardo al trattamento sanzionatorio inflitto per i reati riuniti in continuazione giudicati con il rito abbreviato, omesso di considerare, per svista percettiva, che il ricorso proposto nell’interesse del COGNOME aveva richiesto l’applicazione della continuazione tra reati giudicati in tempi diversi, con distinte pronunce, nell’ambito di un giudizio di cognizione – quello concluso con la sentenza del G.u.p. del Tribunale di Napoli del 25 novembre 2020 – prima ancora che l’accertamento dei reati per i quali aveva richiesto l’unificazione ex art. 81 cod. pen. – giudicati con la sentenza della Corte d’appello di Napoli clel 9 aprile 2018
diventasse definitivo, con la sentenza divenuta irrevocabile in data 26 aprile 2021.
All’udienza del 4 aprile 2024 si è svolta la discussione orale.
Considerato in diritto
Secondo quanto emerge dalla sentenza oggetto di ricorso straordinario, con sentenza del 25 novembre 2020 del G.u.p del Tribunale di Napoli, NOME COGNOME veniva giudicato colpevole dei reati ascrittigli ai capi 1), 110), 116), 117) e 130), unificati sotto il vincolo della continuazione con quelli giudicati dalla Corte di appello di Napoli con sentenza del 9 aprile 2018, divenuta irrevocabile il 21 giugno 2019, per i quali, disposta la riduzione per il rito abbreviato veniva condannato alla pena di dieci anni di reclusione.
1.1. Con sentenza del 20 luglio 2022 la Corte d’appello di Napoli, nei confronti del NOME, ha confermato il giudizio di responsabilità per i reati di cui ai capi 1), 110), 116), 117) e 130), unificati sotto il vincolo della continuazione con quelli giudicati dalla Corte di appello di Napoli con sentenza del 15 giugno 2017, divenuta irrevocabile in data 11 dicembre 2018, per i quali, disposta la riduzione per il rito abbreviato, il trattamento sanzionatorio è stato rideterminato in sei anni di reclusione.
1.2. Nell’interesse del COGNOME era stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai seguenti motivi.
Con il primo motivo si era deAVV_NOTAIOa violazione di legge, in riferimento all’art. 533, comma 2, cod. proc. pen., conseguente al fatto che la decisione d’appello, nel riconoscere il vincolo della continuazione tra i fatti giudicati nel procedimento in esame e quelli giudicati con le sentenze pronunciate dalla Corte di appello di Napoli il 15 giugno 2017, divenuta irrevocabile in data 11 dicembre 2018, e il 9 aprile 2018 divenuta irrevocabile il 26 aprile 2021, aveva omesso di individuare il reato più grave, sulla cui pena base doveva essere calcolata la continuazione e la pena complessiva irrogata all’imputato all’esito dell’unificazione ex art. 81 cod. pen.
Con il secondo motivo si era deAVV_NOTAIOo il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, per non avere la Corte territoriale, nel riconoscere il vincolo della continuazione tra il reato di cui al capo 1), giudicato nel procedimento in esame, e quello associativo giudicato con la sentenza della Corte di appello di Napoli del 15 giugno 2017, divenuta irrevocabile in data 11 dicembre 2018, tenuto conto del fatto che il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. era già stato unificato con analogo reato giudicato con sentenza della Corte
di appello di Napoli del 29 giugno 2005, divenuta irrevocabile il 21 giugno 2016, per effetto dell’ordinanza dalla stessa Corte, quale giudice dell’esecuzione, il 21 febbraio 2020.
Con il terzo motivo si era lamentato il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, per non avere la Corte di merito dato esaustivo conto dell’aumento di pena disposto a titolo di continuazione sulla pena base per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., quantificato in quattro anni, che appariva connotato da eccessività dosinnetrica rispetto agli altri aumenti di pena disposti a titolo di continuazione, interna ed esterna.
Con il quarto motivo si era censurata la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la Corte di merito applicato correttamente il criterio moderatore di cui all’art. 78 cod. pen., atteso che, tenuto conto della continuazione esterna con un reato giudicato da altra sentenza irrevocabile, il criterio invocato dalla difesa del ricorrente era stato erroneamente disapplicato, essendo stata disposta, per prima, la riduzione di pena per il rito abbreviato.
1.3. Con la ricordata sentenza 49341 del 19 settembre 2023, la I sezione di questa Corte: a) ha accolto il primo motivo di ricorso, rilevando che la decisione impugnata, nel riconoscere il vincolo della continuazione tra i fatti giudicati nel procedimento in esame e quelli giudicati con le sentenze pronunciate dalla Corte di appello di Napoli il 15 giugno 2017 divenuta irrevocabile in data 11 dicembre 2018, e il 9 aprile 2018, divenuta irrevocabile il 26 aprile 2021, aveva omesso di individuare il delitto più grave, che doveva essere enucleato preliminarmente, sul quale dovevano essere calcolati i singoli aumenti di pena per i reati satellite; b) ha accolto il secondo motivo di ricorso, rilevando che la Corte territoriale non aveva tenuto conto del fatto che, nella determinazione del trattamento sanzionatorio irrogato al COGNOME, occorreva considerare la frazione di pena per la quale era già stato riconosciuto il vincolo della continuazione, con ordinanza deliberata in executivis il 21 febbraio 2020, con la conseguenza che, anche sotto questo profilo, il giudizio dosimetrico del Giudice di secondo grado risultava incongruo; c) ha ritenuto assorbito il terzo motivo, dal momento che il vaglio RAGIONE_SOCIALE relative censure difensive postulava la rivalutazione complessiva del trattamento sanzionatorio irrogato a seguito del riconoscimento della continuazione esterna e interna, in linea con principi enunciati già richiamati; d) ha ritenuto inammissibile il quarto motivo, per le ragioni indicate nella parte generale della sentenza a proposito di censure formulate in termini comuni da altri imputati.
In particolare, a quest’ultimo riguardo, la I sezione, all’esito di una diffusa ricognizione degli orientamenti espressi dalla giurisprudenza, ha ritenuto che,
anche nel giudizio di cognizione, il criterio moderatore del cumulo materiale previsto dall’art. 78 cod. pen. opera necessariamente prima della riduzione di pena per il rito abbreviato allorché sia riconosciuta la continuazione tra un reato già giudicato, per il quale è stata inflitta la pena più grave, e i reati oggetto del giudizio, considerati satellite del primo; ciò per assicurare, nel rispetto degli artt. 3, 13, 24 e 27 Cost., la parità di trattamento tra situazioni analoghe, anche in considerazione della ragionevole giustificazione che l’opposta regola, applicabile quando la pena più grave è inflitta per il reato oggetto del giudizio, riguarda diverse situazioni non caratterizzate dall’efficacia preclusiva che discende dall’intangibilità del giudicato che ha inflitto la pena più grave.
2. Il ricorso è inammissibile.
Occorre premettere che l’errore materiale e l’errore di fatte, indicati dall’art. 625-bis cod. proc. pen. come motivi di possibile ricorso straordinario avverso provvedimenti della Corte di cassazione, consistono, rispettivamente, il primo nella mancata rispondenza tra la volontà, correttamente formatasi, e la sua estrinsecazione grafica; il secondo in una svista o in un equivoco, incidenti sugli atti interni al giudizio di legittimità, il cui contenuto viene percepito in modo difforme da quello effettivo, sicché rimangono del tutto estranei all’area dell’errore di fatto – e sono, quindi, inoppugnabili – gli errori di valutazione e di giudizio dovuti ad una non corretta interpretazione degli atti del processo di cassazione, da assimilare agli errori di diritto conseguenti all’inesatta ricostruzione del significato RAGIONE_SOCIALE norme sostanziali e processuali (Sez. 5, n. 29240 del 01/06/2018, Barbato, Rv. 273193 – 01).
Nel contesto di un’ampia ricostruzione dei confini applicativi dell’istituto, Sez. U, n. 13199 del 21/07/2016, dep. 2017, Nunziata, Rv. 269788 – 01, ha, innanzi tutto, ripercorso l’evoluzione giurisprudenziale che ha contribuito alla progressiva erosione del giudicato, individuando un reticolo di rimedi all’irrevocabilità RAGIONE_SOCIALE decisioni penali per garantire, ad esempio, la legalità della pena (Sez. U, n. 18821 del 24/10/2013, COGNOME; Sez. U, n. 32 del 22/11/2014, COGNOME; Sez. U, n. 37107 del 26/02/2015, Marcon). Sez. U Nunziata, d’altra parte, hanno sottolineato che lo sforzo interpretativo si è concentrato nell’individuazione dell’esatta perimetrazione del termine “condannato”, cui si riferisce l’art. 625-bis cod. proc. pen., precisando che ammettere la possibilità di impugnare per errore di fatto tutti i provvedimenti pronunciati dalla RAGIONE_SOCIALEzione sarebbe in contrasto con la natura straordinaria del mezzo.
Insistendo sul carattere straordinario dell’impugnazione e valorizzando il fatto che essa può operare a senso unico, ossia a favore del condannato, la giurisprudenza ha circoscritto, in via tendenziale, il ricorso per errore di fatto a
quelle decisioni che consentono il passaggio in giudicato della sentenza o del decreto penale di condanna. In altri termini, si è ritenuto che l’ambito applicativo del ricorso ex art. 625-bis cod. proc. pen. debba essere delimitato, nel senso che solo i provvedimenti che rendono definitiva una sentenza di condanna sono suscettibili di essere impugnati, dovendo intendersi per sentenze di condanna, tenuto conto che si tratta di pronunce del giudice di legittimità, quelle di rigetto o che dichiarano l’inammissibilità di ricorsi proposti contro sentenze di condanna.
Senza ripercorrere il dibattito in termini eccedenti la necessità di affrontare le questioni sollevate con il ricorso, si osserva che, secondo la giurisprudenza di questa Corte – adesivamente riproposta dalle citate Sez. U Nunziata la legittimazione alla proposizione del ricorso straordinario spetta anche alla persona condannata nei confronti della quale sia stata pronunciata sentenza di annullamento con rinvio limitatamente a profili che attengono alla determinazione del trattamento sanzionatorio (Sez. U, n. 28717 del 21/06/2012, COGNOME, Rv. 252935, che, con puntuale motivazione, affronta anche gli snodi processuali legati alla coesistenza tra giudizio di rinvio e il procedimento che segue alla proposizione del ricorso straordinario). Secondo questa decisione il riconoscimento dell’autorità di cosa giudicata, enunciato, in tema di annullamento parziale, dall’art. 624 cod. proc. pen. con riferimento alle parti della sentenza che non hanno connessione essenziale con la parte annullata, non si riferisce né al giudicato cosiddetto sostanziale, né alla intrinseca idoneità della decisione ad essere posta in esecuzione, ma soltanto «all’esaurimento del potere decisorio del giudice della cognizione».
In altri termini, secondo la condivisa puntualizzazione di Sez. U COGNOME, il riconoscimento della autorità di cosa giudicata, enunciato, in tema di annullamento parziale, dall’art. 624 cod. proc. pen. con riferimento alle parti della sentenza che non hanno connessione essenziale con la parte annullata, non si riferisce né al giudicato cosiddetto sostanziale, né alla intrinseca idoneità della decisione ad essere posta in esecuzione, ma soltanto «all’esaurimento del potere decisorio del giudice della cognizione». Ci si muove, dunque, nell’ambito di un iter che conduce alla definizione del giudizio su di uno specifico oggetto, nel quadro di un fenomeno preclusivo che mira ad impedire che su di uno stesso tema possa intervenire una serie indeterminata di pronunce, così da assegnare i connotati della intangibilità a quella porzione di risultato raggiunta nel processo e dal processo.
Le conclusioni raggiunte da quest’ultima decisione operano, ad avviso del Collegio, non solo quando il rigetto o la declaratoria di inammissibilità, nel resto, dell’impugnazione riguardino soltanto apparentemente il (mero) trattamento sanzionatorio, incidendo invece sui presupposti fattuali di applicazione dello
stesso (si pensi al caso in cui la pronuncia reiettiva riguardi la doglianza che, in caso di successioni di discipline sanzionatorie, finisca per riguardare la perimetrazione temporale della conAVV_NOTAIOa ascritta all’imputato), ma anche ogniqualvolta, per effetto della decisione della Corte di RAGIONE_SOCIALEzione, si realizzi l’effetto preclusivo di cui all’art. 624 cod. proc. pen. che circoscrive, in termini rigidi, l’ambito dei poteri decisori del giudice del rinvio.
Ciò posto, possono esaminarsi i tre motivi di ricorso che pongono questioni distinte ma tra loro strettamente connesse, quanto all’esperibilità del rimedio del quale si tratta.
Ritiene il Collegio che il contrasto asserito tra dispositivo e motivazione della sentenza n. 49341 del 2023 di questa Corte pone innanzi tutto la questione del se, alla luce di una lettura complessiva della sentenza, non possa, come nella specie, ricostruirsi in termini puntuali la volontà decisoria della RAGIONE_SOCIALEzione che, attraverso il riferimento alla determinazione degli aumenti di pena per la continuazione, intendeva univocamente riferirsi all’intera rideterminazione del trattamento sanzionatorio, giacché solo l’individuazione del reato più grave consente, prima ancora di stabilire il quantum degli aumenti, di determinare gli stessi reati satellite sui quali andare a quantificare gli aumenti.
Peraltro, proprio tale rilievo esclude, del pari, qualunque incertezza sulla portata dell’annullamento, poiché la declaratoria di inammissibilità del quarto motivo è calibrata sulla specifica censura di erroneità del modo di applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 78 cod. pen., fondato sulla premessa dell’essere stata ritenuta la continuazione esterna con un reato giudicato da altra sentenza irrevocabile.
Invece, per il resto, sempre con riguardo al rapporto tra il criterio moderatore di cui all’art. 78 cod. pen. e la riduzione per il rito, posto che, appunto, non è ancora stato determinato quale sia il reato più grave – tale essendo il compito del giudice del rinvio – solo all’esito del nuovo giudizio sul trattamento sanzionatorio si potrà in autonomia fare applicazione dei criteri indicati nella Parte generale dalla sentenza rescindente.
Siffatta ricostruzione – che vale ad escludere qualunque pregiudizio per il ricorrente, proprio perché non è ravvisabile alcuna preclusione al pieno esame RAGIONE_SOCIALE questioni alla cui trattazione egli ha interesse – rende ultronea ogni considerazione sull’estraneità degli errori valutativi all’ambito del rimedio de quo.
Non versandosi in ipotesi di colpa della parte nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost., sent. n. 186 del 2000), non si procede alla
condanna della stessa alla somma prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. a titolo sanzione da versarsi in favore della RAGIONE_SOCIALE.
Il ricorrente va invece condannato al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali, sempre ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali.
Così deciso il 04/04/2024