Ricorso Ricettazione: Inammissibile se Ripropone le Stesse Tesi dell’Appello
Quando si presenta un ricorso ricettazione in Cassazione, è fondamentale che i motivi siano specifici e non si limitino a contestare la ricostruzione dei fatti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito questo principio, dichiarando inammissibile un ricorso che si fondava su doglianze generiche e su una errata interpretazione delle norme sulla prescrizione. Analizziamo insieme la decisione per capire i limiti del giudizio di legittimità e le regole per la prova del dolo.
I fatti del caso
Un soggetto, condannato in Corte d’Appello per il reato di ricettazione previsto dall’art. 648 del codice penale, ha presentato ricorso per Cassazione. I motivi principali erano due: il primo contestava la correttezza della motivazione con cui era stata affermata la sua responsabilità, sostenendo che la Corte di merito non avesse valutato adeguatamente le prove; il secondo denunciava la mancata declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
L’analisi della Corte sul ricorso ricettazione
La Corte di Cassazione ha esaminato entrambi i motivi, ritenendoli entrambi infondati e, nel complesso, tali da rendere il ricorso inammissibile.
La contestazione sulla motivazione
Il primo motivo è stato giudicato inammissibile per due ragioni distinte. In primo luogo, il ricorrente cercava di ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti, attività che non è permessa nel giudizio di Cassazione, il quale si limita a un controllo sulla corretta applicazione della legge (controllo di legittimità). In secondo luogo, le argomentazioni presentate erano una semplice e pedissequa reiterazione di quelle già esposte e respinte nel giudizio d’appello. La Corte ha sottolineato che un ricorso, per essere specifico, deve contenere una critica argomentata della sentenza impugnata, non limitarsi a riproporre le stesse tesi.
La Corte ha inoltre colto l’occasione per ribadire un principio consolidato in materia di ricettazione: la prova dell’elemento soggettivo (cioè la consapevolezza della provenienza illecita del bene) può essere desunta da qualsiasi elemento, anche indiretto. Tra questi, assume particolare rilevanza l’omessa o non attendibile indicazione, da parte dell’imputato, della provenienza della cosa ricevuta.
La questione della prescrizione e della recidiva
Anche il secondo motivo, relativo alla prescrizione, è stato giudicato manifestamente infondato. Il ricorrente sosteneva che il reato fosse estinto, ma la sua argomentazione si basava su un errore: riteneva che gli fosse stata applicata la recidiva semplice (art. 99, secondo comma, c.p.), mentre il giudice di merito aveva correttamente applicato la recidiva aggravata (art. 99, quarto comma, c.p.). Quest’ultima comporta un aumento dei termini di prescrizione, motivo per cui il calcolo effettuato dalla Corte d’Appello era corretto e il reato non era ancora estinto.
Le motivazioni della decisione
La decisione della Corte si fonda su principi cardine del processo penale. L’inammissibilità del ricorso deriva dalla sua natura: non introduceva critiche nuove e specifiche alla sentenza di secondo grado, ma si limitava a riproporre argomenti già vagliati e a sollecitare un riesame del merito dei fatti, precluso in sede di legittimità. La Corte ha agito come “giudice della legge”, non come terzo grado di giudizio sui fatti. Per quanto riguarda la prescrizione, la motivazione è puramente tecnica: l’errore di diritto commesso dal ricorrente nell’individuare la norma sulla recidiva applicabile ha reso la sua doglianza palesemente infondata. La sentenza ha quindi applicato correttamente le norme procedurali sull’ammissibilità del ricorso e quelle sostanziali sul calcolo della prescrizione in presenza di recidiva aggravata.
Le conclusioni
Questa ordinanza offre importanti spunti pratici. In primo luogo, evidenzia l’inutilità di presentare un ricorso ricettazione in Cassazione che sia una mera fotocopia dell’atto d’appello, senza una critica puntuale e argomentata delle ragioni della decisione impugnata. In secondo luogo, conferma che l’onere di giustificare il possesso di un bene di sospetta provenienza grava su chi lo detiene. Infine, ricorda l’importanza di un corretto inquadramento giuridico di istituti come la recidiva, che hanno un impatto determinante su aspetti cruciali come la prescrizione del reato. La conseguenza per il ricorrente è stata non solo la conferma della condanna, ma anche il pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
È possibile contestare la valutazione dei fatti in un ricorso per Cassazione?
No, sulla base di questa ordinanza, un ricorso è inammissibile se tende a ottenere una nuova ricostruzione dei fatti. La Corte di Cassazione valuta solo la corretta applicazione della legge (vizi di legittimità), non riesamina le prove nel merito.
Come si dimostra l’intenzione nel reato di ricettazione?
La decisione chiarisce che la prova dell’elemento soggettivo (la consapevolezza della provenienza illecita) può essere raggiunta attraverso qualsiasi elemento, anche indiretto. In particolare, la mancata o non credibile spiegazione sulla provenienza del bene da parte dell’imputato è un forte indizio a suo carico.
In che modo la recidiva incide sulla prescrizione del reato?
Questo provvedimento dimostra che il tipo di recidiva applicata è fondamentale. L’applicazione della recidiva aggravata, come previsto dall’art. 99, quarto comma, del codice penale, comporta un allungamento dei termini necessari per l’estinzione del reato, impedendo la prescrizione che si sarebbe invece verificata con una recidiva semplice.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18911 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18911 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a GIUGLIANO IN CAMPANIA il 19/09/1958
avverso la sentenza del 04/10/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME
ritenuto che il primo motivo di ricorso, che contesta la correttezza della motivazione posta a base della dichiarazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 648 cod. pen., non è consentito dalla legge poiché, da un lato, tende ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento; dall’al risulta fondato su doglianze che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelle già dedotte in appello e puntualmente disattese dalla corte di merito (cfr. pagg. 3 della sentenza impugnata ove correttamente sono stati ritenuti sussistenti tutti gli elementi costitutivi del reato ascritto all’odierno ricorrente), dovendosi le stess considerare non specifiche ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
che, inoltre, il giudice di appello ha fatto corretta applicazione dei princip affermati dalla consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui «ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dall’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta da parte del soggetto agente» (ex multis: Sez. 2, n. 53017 del 22/11/2016, COGNOME, Rv. 268713 – 01);
considerato che il secondo motivo di ricorso che denuncia la mancata declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione è manifestamente infondato poiché il giudice di merito ha applicato la recidiva di cui all’art. comma quarto, cod. pen. e non quella di cui al secondo comma, come erroneamente sostenuto nel ricorso in esame; pertanto, poiché il calcolo dei termini di prescrizione è stato svolto in ossequio alle previsioni di legge, il giudi ha correttamente ritenuto non doversi ritenere il reato estinto per intervenuta prescrizione;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 10 aprile 2025.