Ricorso Personale in Cassazione: la Suprema Corte ribadisce l’inammissibilità
L’accesso alla giustizia è un diritto fondamentale, ma deve seguire regole precise, specialmente nei gradi più alti di giudizio. Un’ordinanza della Corte di Cassazione ci ricorda una di queste regole fondamentali: il ricorso personale in Cassazione
da parte dell’imputato non è ammesso. Vediamo insieme il caso e le sue importanti implicazioni pratiche.
I Fatti di Causa
La vicenda processuale ha origine con una sentenza di condanna per il reato di rapina (art. 628 c.p.) emessa dal Tribunale di Arezzo. La decisione veniva parzialmente riformata dalla Corte di Appello di Firenze, che tuttavia confermava la condanna per il reato contestato.
Contro la sentenza di secondo grado, l’imputato decideva di agire in autonomia, presentando personalmente un ricorso alla Corte di Cassazione. Nel suo atto, sollevava questioni relative alla sua responsabilità penale e al trattamento sanzionatorio ricevuto.
La Decisione della Corte e il Ricorso Personale
La Corte di Cassazione, senza entrare nel merito delle questioni sollevate, ha dichiarato il ricorso inammissibile. La ragione è netta e procedurale: la legge non consente all’imputato di presentare personalmente un ricorso in sede di legittimità.
Questa decisione ha avuto due conseguenze economiche dirette per il ricorrente:
1. La condanna al pagamento delle spese processuali.
2. La condanna al versamento di una somma di 3.000 euro a favore della cassa delle ammende.
Le Motivazioni della Decisione
La motivazione della Corte è estremamente sintetica ma giuridicamente densa. Il punto centrale è il divieto di ricorso personale in Cassazione
per l’imputato. Il giudizio di legittimità è un procedimento altamente tecnico, che richiede necessariamente la rappresentanza di un avvocato iscritto all’apposito albo dei patrocinanti in Cassazione. L’impugnazione presentata personalmente dall’imputato è, pertanto, priva di un requisito essenziale di ammissibilità.
La Corte ha poi applicato l’articolo 616 del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce che, in caso di inammissibilità del ricorso, la parte privata che lo ha proposto è condannata alle spese e al pagamento di una sanzione pecuniaria alla cassa delle ammende. La Corte, richiamando una pronuncia della Corte Costituzionale (sentenza n. 186 del 2000), ha sottolineato che tale condanna pecuniaria si giustifica in presenza di “profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”. In questo caso, la colpa è evidente, poiché la presentazione di un ricorso senza l’assistenza legale obbligatoria costituisce una negligenza grave che ha attivato inutilmente la macchina della giustizia suprema.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
La decisione in esame offre una lezione chiara e inequivocabile: il fai-da-te processuale ha dei limiti invalicabili, specialmente davanti alla Corte di Cassazione. Mentre nei primi gradi di giudizio la legge può prevedere alcune forme di autodifesa, il ricorso in sede di legittimità è un atto che richiede una competenza tecnica specifica che solo un avvocato qualificato possiede. Tentare di agire personalmente non solo è inutile ai fini della difesa, ma comporta anche conseguenze economiche significative. Questa ordinanza ribadisce l’importanza di affidarsi sempre a un legale esperto per navigare le complesse acque della procedura penale, garantendo che i propri diritti siano tutelati nel modo corretto e previsto dalla legge.
Un imputato può presentare personalmente un ricorso alla Corte di Cassazione?
No. L’ordinanza chiarisce che l’impugnazione personale dell’imputato in sede di legittimità (cioè davanti alla Corte di Cassazione) non è consentita dalla legge.
Cosa succede se un ricorso viene dichiarato inammissibile per questo motivo?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma alla cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in tremila euro, a causa della colpa nel determinare l’inammissibilità.
Qual è il fondamento normativo per la condanna al pagamento della somma alla cassa delle ammende?
La condanna si basa sull’art. 616 del codice di procedura penale. La Corte ha applicato tale norma dopo aver valutato, come richiesto dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 186/2000), la presenza di una colpa del ricorrente nel causare l’inammissibilità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 51851 Anno 2019
Penale Ord. Sez. 7 Num. 51851 Anno 2019
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/12/2019
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a EBOLI il 24/05/1976
avverso la sentenza del 05/11/2018 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E DIRITTO
La CORTE di APPELLO di FIRENZE, con sentenza in data 05/11/2018, parzialmente riformando la sentenza pronunciata dal TRIBUNALE di AREZZO, in data 21/05/2018, nei confronti di COGNOME NOME confermava la condanna in relazione al reato di cui all’ art. 628 COD.PEN. .
Propone ricorso per cassazione l’imputato personalmente deducendo questioni sulla penale responsabilità e il trattamento sanzionatorio.
Il ricorso è inammissibile poiché non è più consentita l’impugnazione personale dell’imputato in sede di legittimità.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determin della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di euro tremila a favore della cassa delle ammende.
P.Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla cassa delle ammende.
Così deciso il 03/12/2019