Ricorso per truffa: quando i motivi sono inammissibili secondo la Cassazione
Un recente provvedimento della Corte di Cassazione offre spunti cruciali sul tema del ricorso per truffa, delineando i confini dell’ammissibilità dei motivi presentati e chiarendo come si accerta l’intenzione di commettere il reato. La decisione evidenzia l’importanza di una corretta strategia difensiva fin dai primi gradi di giudizio, pena l’impossibilità di sollevare determinate questioni dinanzi alla Suprema Corte.
I Fatti del Caso
Il caso analizzato riguarda un’ordinanza emessa a seguito di un ricorso presentato da un’imputata, condannata per il reato di truffa. La ricorrente contestava diversi aspetti della sentenza della Corte d’Appello, tra cui la sussistenza di un’aggravante specifica, il riconoscimento della recidiva e, più in generale, la correttezza della valutazione delle prove a suo carico, ritenute insufficienti.
L’Analisi della Cassazione sul Ricorso per Truffa
La Corte di Cassazione ha esaminato i motivi del ricorso, dichiarandoli inammissibili o manifestamente infondati. L’analisi della Corte si è concentrata su tre aspetti principali, fornendo indicazioni preziose per la pratica legale.
Inammissibilità del Motivo sull’Aggravante
Il primo motivo di ricorso contestava l’applicazione dell’aggravante prevista dall’art. 640, comma 2, n. 2-bis del codice penale. La Cassazione ha dichiarato questo motivo inammissibile perché la questione non era stata sollevata nel precedente giudizio d’appello. Questo vizio procedurale, in violazione dell’art. 606, comma 3 del codice di procedura penale, causa un'”insanabile frattura della catena devolutiva”. In altre parole, non è possibile “saltare” un grado di giudizio e presentare una doglianza per la prima volta davanti alla Corte Suprema.
La Questione della Recidiva
Anche la contestazione sulla sussistenza della recidiva è stata giudicata manifestamente infondata. La Corte ha confermato che il giudice di merito aveva correttamente applicato i principi giurisprudenziali. La valutazione sulla recidiva non si deve basare esclusivamente sulla gravità dei fatti o sul tempo trascorso, ma deve esaminare il rapporto concreto tra il reato in esame e le condanne precedenti. Utilizzando i criteri dell’art. 133 del codice penale, il giudice deve verificare se la condotta passata, unita a quella attuale, indichi una maggiore propensione a delinquere.
La Prova del Reato e del Dolo nel ricorso per truffa
Il secondo motivo di ricorso, che contestava la valutazione delle prove e la carenza di attività investigative, è stato ritenuto inammissibile. La Corte ha osservato che si trattava di una semplice riproposizione di argomenti già esaminati e respinti dalla Corte d’Appello. Inoltre, ha sottolineato come la responsabilità dell’imputata fosse stata provata da un quadro probatorio completo, che includeva il fatto che fosse l’intestataria della carta prepagata su cui era stato accreditato il denaro proveniente dalla truffa. La Corte ha colto l’occasione per ribadire un principio fondamentale in tema di truffa: la prova dell’elemento soggettivo, cioè il dolo, può essere desunta dalle circostanze concrete e dalle modalità esecutive dell’azione criminosa. Attraverso un processo logico-deduttivo, è possibile risalire alla volontà cosciente dell’accusato di realizzare l’inganno, ottenere il profitto e causare il danno altrui.
Le Motivazioni
La decisione della Corte si fonda su principi consolidati del diritto processuale e penale. In primo luogo, il principio devolutivo dell’appello, che impone alle parti di presentare tutte le loro contestazioni al giudice del gravame, impedendo che questioni nuove vengano sollevate per la prima volta in sede di legittimità. Questo garantisce l’ordine e la coerenza del processo. In secondo luogo, la valutazione della recidiva deve essere un’analisi sostanziale e non meramente formale, finalizzata a comprendere la reale pericolosità sociale del reo. Infine, per quanto riguarda la prova del dolo, la Cassazione conferma che, non potendo entrare nella mente dell’imputato, il giudice deve necessariamente basarsi su elementi esterni e oggettivi (le modalità del fatto, le circostanze, il comportamento dell’agente) per inferire la sua volontà criminale. Nel caso specifico, l’uso di una carta prepagata intestata all’imputata è stato considerato un elemento probatorio sufficiente a dimostrare la sua consapevole partecipazione al reato.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame ribadisce tre lezioni fondamentali. Primo, ogni motivo di contestazione deve essere sollevato tempestivamente nel grado di appello, altrimenti si perde il diritto di farlo valere in Cassazione. Secondo, la valutazione della recidiva è un giudizio complesso che va oltre il semplice elenco di precedenti penali. Terzo, nel ricorso per truffa, l’intenzione di delinquere può essere provata anche in via indiretta, attraverso un’attenta analisi di tutti gli elementi fattuali che, letti nel loro insieme, non lasciano dubbi sulla consapevolezza e volontà dell’autore del reato.
È possibile contestare un’aggravante per la prima volta in Cassazione?
No, la Corte ha stabilito che una censura, come quella relativa a un’aggravante, non può essere esaminata in sede di legittimità se non è stata specificamente dedotta nel precedente grado di appello. Ciò comporterebbe un’interruzione della cosiddetta “catena devolutiva”.
Come viene valutata la recidiva da parte del giudice?
La valutazione non si basa solo sulla gravità dei reati o sul tempo trascorso, ma su un esame concreto del rapporto tra il fatto per cui si procede e le condanne precedenti. Il giudice verifica se, nel loro insieme, questi elementi indicano un aggravamento della propensione a delinquere dell’imputato.
Come si dimostra l’intenzione di commettere una truffa (dolo)?
La prova dell’elemento soggettivo del reato di truffa, ovvero il dolo generico, può essere desunta dalle circostanze concrete e dalle modalità di esecuzione del crimine. Attraverso un processo logico-deduttivo, si può risalire alla volontà dell’accusato di realizzare l’inganno, il profitto e il danno, come nel caso di specie in cui l’imputata era l’intestataria della carta prepagata utilizzata.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 26524 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 26524 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a RAGUSA il 02/08/1975
avverso la sentenza del 17/10/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME, ritenuto che il primo motivo di ricorso, che contesta il vizio motivazionale e violazione di legge in relazione al giudizio di responsabilità penale della ri per il reato di truffa, chiedendo l’esclusione dell’aggravate di cui all’ comma 2, n. 2 -bis non è consentito in sede di legittimità perché la censura no risulta essere stata dedotta in appello secondo in violazione dell’art. 606 3 cod. proc. pen., con insanabile frattura della catena devolutiva (si veda e 6);
che è manifestamente infondata la doglianza che contesta la sussistenza del recidiva, in quanto non consentito in sede di legittimità;
che, peraltro, il giudice di merito ha fatto corretta applicazione (si ve particolare, pag.7) dei principi della giurisprudenza di legittimità secondo valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fa sull’ arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenu esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., i esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificand in quale misura la pregressa condotta criminosa unitamente al reato “sub iudice” sino indicativi di un aggravamento della propensione al delitto;
che il secondo motivo di ricorso che genericamente contesta la correttez della motivazione posta a base del giudizio di responsabilità e, nello spec l’insufficienza e la carenza delle attività investigative, non è consentit fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già d in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito nella parte in correttamente ritenuto provata la responsabilità del ricorrente alla luce completo e coerente quadro probatorio considerato, inoltre, che la ricorre risultata l’intestataria della carta prepagata sulla quale è stato accreditato oggetto del reato di truffa contestato (si veda in particolare pag. 2 della s impugnata), dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto appare in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomen avverso la sentenza oggetto di ricorso;
considerato, inoltre, che in tema di truffa, la prova dell’elemento soggetti costituito dal dolo generico, diretto o indiretto, può desumersi dalle co circostanze e dalle modalità esecutive dell’azione criminosa, attraverso le con processo logico-deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e dell’accusato, in modo da evidenziarne la cosciente volontà e rappresentazi degli elementi oggettivi del reato, quali l’inganno, il profitto ed il danno,
preveduti come conseguenze possibili della propria condotta, di cui si sia assunt il rischio di verificazione (tra le altre: Sez. 5, n. del 09/09/2020, Rv. 279908 –
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con
condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso, il 3 giugno 2025.