Ricorso per truffa: quando l’intento iniziale determina la condanna
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di truffa: se l’intento di non pagare un bene o un servizio è presente fin dall’inizio della transazione, il reato è configurato e il ricorso per truffa ha scarse possibilità di successo. La Suprema Corte, con una decisione netta, ha dichiarato inammissibile l’impugnazione di un imputato, confermando la sua condanna e aggiungendo il pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
I Fatti del Caso
La vicenda giudiziaria ha origine da una sentenza di condanna per il reato di truffa emessa dalla Corte d’Appello di Bologna. L’imputato, ritenuto colpevole di aver ottenuto un bene con l’intenzione premeditata di non pagarne il corrispettivo, decideva di presentare ricorso alla Corte di Cassazione. L’obiettivo era contestare la decisione dei giudici di secondo grado, sostenendo una violazione di legge e una manifesta illogicità nella motivazione che aveva portato alla sua condanna.
L’Unico Motivo del Ricorso per Truffa
L’appellante basava la sua difesa su un unico motivo: la presunta erroneità con cui la Corte d’Appello aveva affermato la sua responsabilità. Secondo la difesa, la motivazione della sentenza impugnata era illogica e non sufficientemente fondata per dimostrare la sua colpevolezza per il reato di truffa. Si contestava, in sostanza, la ricostruzione dei fatti e la valutazione delle prove che avevano portato i giudici a ritenere sussistente l’elemento psicologico del reato, ovvero il dolo iniziale.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha respinto categoricamente le argomentazioni del ricorrente, definendo il motivo di ricorso come “manifestamente infondato”. I giudici di legittimità hanno sottolineato come la Corte d’Appello avesse, al contrario, fornito una motivazione esente da vizi logici e giuridicamente corretta.
Nel dettaglio, la sentenza di secondo grado (in particolare a pagina 2, come richiamato dalla Cassazione) aveva esplicitato chiaramente le ragioni del proprio convincimento, indicando “plurimi elementi” che dimostravano in modo inequivocabile l’intento originario del ricorrente: ottenere il bene omettendo volontariamente il pagamento. La Corte di Appello aveva fatto corretta applicazione dei principi giuridici per dichiarare la responsabilità penale e la sussistenza del reato. Di fronte a una motivazione così solida e coerente, il ricorso non poteva che essere dichiarato inammissibile.
Le Conclusioni
L’ordinanza della Cassazione si conclude con una duplice condanna per il ricorrente. In primo luogo, viene dichiarato inammissibile il ricorso, rendendo così definitiva la sentenza di condanna per truffa. In secondo luogo, in conseguenza della palese infondatezza del ricorso, l’imputato viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa decisione rafforza un importante principio: un ricorso in Cassazione non può essere un mero tentativo di rimettere in discussione il merito dei fatti già ampiamente valutato nei gradi precedenti, soprattutto quando la motivazione della sentenza impugnata è chiara, logica e giuridicamente ineccepibile.
Quando un ricorso in Cassazione per truffa è considerato manifestamente infondato?
Un ricorso è considerato manifestamente infondato quando la sentenza impugnata, come nel caso di specie, ha esposto le ragioni della condanna in modo logico e coerente, senza vizi evidenti, basandosi su elementi concreti che provano la colpevolezza.
Qual è l’elemento decisivo per provare il reato di truffa secondo questa ordinanza?
L’elemento decisivo è l’intento iniziale dell’agente di ottenere un bene con la premeditazione di non pagarne il prezzo. Se la Corte di merito riesce a dimostrare con plurimi elementi questo proposito originario, la responsabilità per il reato di truffa è correttamente affermata.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso da parte della Cassazione?
Comporta non solo la conferma della condanna impugnata, che diventa così definitiva, ma anche l’obbligo per il ricorrente di pagare le spese processuali e una sanzione pecuniaria aggiuntiva, in questo caso fissata in tremila euro, da versare alla Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4109 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4109 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a NARDO il 27/12/1974
avverso la sentenza del 25/03/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME;
considerato che l’unico motivo di ricorso, con cui si Censura la sente impugnata per violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione relazione all’affermazione della responsabilità per il reato di truffa a all’odierno ricorrente, è manifestamente infondato;
che, infatti, la Corte di appello, con motivazione esente dai contestati logici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento (si veda, in particolar 2 dell’impugnata sentenza), indicando i plurimi elementi in base ai qua ravvisabile come l’intento del ricorrente fosse dall’inizio quello di ottenere omettendone il pagamento, e facendo applicazione di corretti argomenti giuridi ai fini della dichiarazione di responsabilità e della sussistenza del reato;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma d euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa de ammende.
Così deciso, il 29/10/2024.