Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31209 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31209 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
SGRÒ NOME nato a Palermo il 01/12/1981
avverso la sentenza del 22/11/2024 della Corte d’appello di Palermo dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME
considerato che il primo motivo di ricorso, con il quale si contesta violazione di legge e vizio della motivazione per avere la Corte territoriale affermato la penale responsabilità del ricorrente per il delitto di truffa sulla base dell’intestazion dell’utenza telefonica utilizzata per realizzare la condotta e della titolarità del conto corrente sul quale sono confluite le somme, è manifestamente infondato in considerazione di principi, consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, che dimostrano come i giudici di appello abbiano correttamente ritenuto sussistente la fattispecie di cui all’art. 640 cod. pen.;
che, GLYPH appunto, GLYPH si GLYPH deve GLYPH richiamare l’orientamento secondo cui «l’incameramento del profitto, confluito su una carta intestata al ricorrente costituisce (…) un elemento di decisiva rilevanza al fine della responsabilità del beneficiario per il delitto di truffa, trattandosi di strumento i cui estre identificativi furono comunicati all’acquirente per il pagamento del prezzo al
momento della vendita» (così: Sez. 7, ord. n. 24562 del 18/04/2023, Montebello, non massimata);
osservato che il secondo motivo di doglianza, con cui si contesta violazione di legge e vizio di motivazione per aver il giudice di merito fondato il giudizio di responsabilità del ricorrente anche sulla base di contraddittorie dichiarazioni della persona offesa e della moglie di quest’ultima – dalle quali emergerebbero gli elementi tipici dell’inadempimento contrattuale invece che quelli della truffa, è formulato in termini non consentiti in questa sede poiché, oltre a presentarsi come meramente riproduttivo di censure già dedotte e puntualmente vagliate in appello, tende a una nuova valutazione delle risultanze probatorie acquisite, laddove è consolidato l’orientamento che considera preclusa alla Corte di cassazione la possibilità di una nuova valutazione delle prove, da contrapporre a quella già effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura (seppur logica) di dati processuali o una differente ricostruzione del fatto storico o un diverso giudizio di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747);
che, inoltre, priva di pregio risulta l’argomentazione circa la mancata diligenza dimostrata dalla persona offesa (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 51538 del 20/11/2019, C., Rv. 278230; Sez. 2, n. 42941 del 25/09/2014, Rv. 260476);
reputato che il terzo motivo di ricorso, con cui si deduce la mancata applicazione della pena nel minimo edittale e la mancata motivazione in merito alla sussistenza dei presupposti della recidiva, non si può dedurre in questa sde;
infatti, il giudizio sulla pena è stato congruamente motivato in considerazione delle modalità del fatto, ove si consideri che per costante giurisprudenza di questa Corte non vi è margine per il sindacato di legittimità quando la decisione sia motivata in modo conforme alla legge e ai canoni della logica, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.;
che, nella specie, l’onere argomentativo del giudice è adeguatamente assolto (si veda, in particolare, la pag. 3 della sentenza impugnata, dove la Corte evidenzia tra le cause impeditive di una mitigazione del trattamento sanzionatorio, oltre all’intensità del dolo e alla gravità della condotta, anche la spiccata capacità a delinquere del reo e i numerosi precedenti penali a suo carico);
che per quanto attiene, nello specifico, all’omessa giustificazione dell’applicazione della recidiva, la censura non risulta essere stata previamente dedotta come motivo di appello secondo quanto è prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., come si evince dal riepilogo dei motivi di gravame riportato nella sentenza impugnata (si veda la pag.
rilevato che il quarto motivo di ricorso, recante censura in ordine alla concessa provvisionale, non è consentito, atteso che questa Corte ha in proposito chiarito che non è impugnabile tramite ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, considerato che si tratta di una decisione di carattere discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata a essere travolta dalla liquidazione dell’integrale risarcimento (Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, COGNOME, Rv. 277773; Sez. 2, n. 43886 del 26/04/2019, COGNOME, Rv. 277711);
considerato che il quinto motivo di ricorso, con cui si lamenta la mancata applicazione del richiesto lavoro di pubblica utilità previsto dall’art. 20-bis della legge n. 689 del 1981, non appare connotato dai requisiti richiesti dall’art. 591, comma 1, cod. proc. pen., poiché fondato su profili di censura che si risolvono nella reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito (si veda la pag. 4 della sentenza impugnata), essendo gli stessi anche aspecifici e dunque non caratterizzati da un reale confronto con le ragioni argomentate nella sentenza oggetto di ricorso;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 15 luglio 2025.