Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 22290 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 22290 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/01/2025
SENTENZA
IL FUNZIONARIO’ sul ricorso di COGNOME NOMECOGNOME nato a Potenza il 19/06/1969, GLYPH NOME COGNOME avverso la sentenza in data 12/01/2024 della Corte di appello di Potenza, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; udito per l’imputato l’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 12 gennaio 2024 la Corte di appello di Potenza, in riforma della sentenza in data 19 febbraio 2020 del G.i.p. del Tribunale di Potenza, ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME per il reato del capo 116), perché estinto per prescrizione, lo ha assolto dai reati di cui ai capi 1) e 2 ter) perché il fatto non sussiste e ha ridotto la pena per i residui reati consistenti in plurime violazioni dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990.
L’imputato formula tre motivi di ricorso per cassazione lamentando la mancata derubricazione dei fatti ascrittigli ai sensi del quinto comma dell’art. 73
d.P.R. n. 309 del 1990. Il primo motivo ha avuto a oggetto il reato del capo 11) rispetto alla posizione del coimputato COGNOME; il secondo i reati dei capi 6) e 18) rispetto alla posizione del coimputato COGNOME; il terzo i reati dei capi 2), 2-bis) e 2ter) e tutti i reati per cui è stata confermata la condanna. In particolare, precisa che non aveva disponibilità di denaro contante, non aveva costante disponibilità di stupefacente e non poteva soddisfare i soliti clienti-amici, non aveva contabilità, non aveva strumenti per il confezionamento, non era legato alla criminalità organizzata del luogo, non seguiva accorgimenti particolari per lo spaccio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
Il ricorrente ha sollevato un’unica censura relativa alla mancata riqualificazione dei numerosissimi fatti ascrittigli ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990. Con i primi due motivi ha lamentato il trattamento differenziato rispetto ai coimputati, NOME COGNOME e NOME COGNOME con il terzo ha posto una questione di carattere generale per i reati dei capi 2), 2-bis), 2-ter) e per tutti gli altri reati per cui era intervenuta la condanna.
Il terzo motivo è di carattere più ampio e va affrontato per primo. Si menziona il reato del capo 2-ter) per cui è stata pronunciata l’assoluzione in appello e si menzionano indistintamente gli altri reati per cui è stata pronunciata la condanna, senza confrontarsi con la sentenza impugnata che ha dato conto della limitazione dell’atto di appello a soli pochi capi d’imputazione con conseguente formazione del giudicato interno su tutti gli altri (pag. 11). Orbene, il terzo motivo di ricorso è estremamente generico. Si limita a enumerare una serie di indici che indurrebbero a qualificare tutti i fatti, ai sensi del quinto comma dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, senza riferimenti ai singoli reati e senza tener conto che la Corte territoriale ha confermato la condanna per il reato dell’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990 alla luce della ripetitività dei fatti e dei quantitativi di sostan compravendute. Sebbene né nel capo 2) né nel capo 2-bis) siano stati indicati i quantitativi di cocaina movimentata, è certo che non erano esigui, perché il COGNOME aveva provveduto a rifornirsi a Terzigno e a spacciare a vari assuntori, di cui alcuni riportati esemplificativamente nei capi d’imputazione, i quali, a loro volta, spacciavano sul territorio potentino.
Del pari generici sono il primo e il secondo motivo di ricorso. Il ricorrente ha sollevato la questione del trattamento differenziale rispetto ai reati del capo 11), con riguardo a Fontini e a Pane, e dei reati dei capi 6) e 18) con riguardo a Pane. Le Sezioni Unite hanno chiarito che, in tema di concorso di persone nel reato di cessione di sostanze stupefacenti, il medesimo fatto storico può configurare, in presenza dei diversi presupposti, nei confronti di
un concorrente il reato di cui all’art. 73, comma 1 ovvero comma 4, e nei confronti di altro concorrente il reato di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990
(Sez. U, n. 27727 del 14/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286581 – 01). I
Giudici di merito hanno dunque accertato che COGNOME si riforniva stabilmente e continuativamente in Campania di stupefacente del tipo cocaina che rivendeva a
Potenza ai suoi abituali clienti, tra cui RAGIONE_SOCIALE, che a loro volta cedevano ai conoscenti e amici insieme a cui eventualmente consumavano. Dal tenore di
entrambe le sentenze è evidente che il protagonista di tutte le cessioni era l’odierno imputato, il quale aveva una stabile organizzazione di mezzi, una
cospicua disponibilità economica per gestire numerosissime compravendite, i giusti contatti in Campania con i fornitori. Al contrario, COGNOME e COGNOME sono
comparsi in pochissimi capi d’imputazione come acquirenti e a loro volta come sub-cedenti. La sentenza impugnata ha dunque correttamente applicato il sopra
citato principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite, spiegando le ragioni del trattamento sanzionatorio deteriore.
Peraltro, si rileva che i reati attinti dai primi due motivi di ricorso, capi 11
6) e 18) sono stati messi in continuazione con numerosi ulteriori reati (non meno di cinquanta) in un aumento cumulativo di pena pari a un anno e sei mesi di reclusione non oggetto di contestazione.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata, in ragione della consistenza della causa di inammissibilità del ricorso, in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende Così deciso, il 10 gennaio 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente