Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 31940 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 31940 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 19/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOME, nato a Casarano il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 23/2/2024 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; letta la requisitoria del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso; letta la memoria depositata nell’interesse del ricorrente, con cui sono state ribadite le deduzioni formulate in ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 23 febbraio 2024 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce ha applicato a NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere in relazione al reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/90
2. Avverso l’anzidetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’indagato, che ha dedotto la nullità dell’ordinanza genetica per vizio derivante da mancanza, carenza, insufficienza e manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 274 e 292, comma 2, cod. proc. pen. In particolare, quanto all’esigenza cautelare di cui all’art. 274 lett. a), l’ordinanza risulterebbe priva di motivazione, atteso che il Giudice per le indagini preliminari si sarebbe limitato a richiamare pedissequamente le valutazioni fatte dal Pubblico ministero, senza dare contezza RAGIONE_SOCIALE ragioni per cui abbia fatto proprio il contenuto dell’atto recepito e senza individuare le condotte attraverso cui l’indagato avrebbe dimostrato la volontà di inquinamento probatorio. D’altra parte, una siffatta valutazione, in concreto, apparirebbe veramente difficile, perché da aprile 2022 l’indagato è detenuto fuori regione (a Matera) con un fine pena fissato al 2029.
Quanto all’esigenza cautelare di cui all’art. 274, comma 1 lett. c), cod. proc. pen., premesso che il giudice deve rilevare e dare atto della concreta possibilità che possa verificarsi un’ulteriore occasione di compiere reati dello stesso tipo, il ricorrente ha dedotto che, nel caso in esame, il pericolo di reiterazione del reato appare di difficile adozione, considerato che, nel tempo trascorso dai fatti all’applicazione della misura, egli era in stato di detenzione in carcere (per ben due anni) e durante tale lungo lasso di tempo non ha posto in essere alcuna condotta che possa lontanamente integrare l’ipotesi di cui all’art 274 lettera c) cit.. Durante la detenzione in carcere “fuori regione” e sin dall’aprile 2022, non sarebbe stato evidenziato un solo elemento dimostrativo della volontà dell’indagato di continuare nei traffici contestati. Inoltre, dai fatti all’applicazion della misura sono decorsi due anni e il fattore temporale, nella valutazione del caso che ci occupa, si dimostra importante non solo per il giudizio sull’attualità RAGIONE_SOCIALE esigenze, ma anche ai fini della presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Deve al riguardo premettersi che è stato proposto ricorso per saltum ai sensi dell’art. 311, comma 2, cod. proc. pen., che consente di dedurre solo violazioni di legge e non anche vizi della motivazione del provvedimento impugnato.
Rimane attuale il pur risalente dictum di questa Corte di legittimità secondo cui tra le ipotesi di violazione di legge rientrano la mancanza assoluta di motivazione, il cui obbligo è prescritto a pena di nullità dall’art. 125 co. 3 cod. proc. pen., e la mancanza di uno degli elementi previsti, sempre a pena di nullità, dall’art. 292, comma 2, dello stesso codice. Qualora, però, il Giudice per le indagini preliminari abbia esposto in modo specifico le esigenze cautelari, nonché gli indizi che giustificano in concreto la misura coercitiva disposta, indicando la loro genesi, il loro contenuto e la loro rilevanza, è improponibile in sede di legittimità ogni censura diretta a rilevare eventuali illogicità o contraddizioni del provvedimento impugnato, sia con riferimento alla gravità dei fatti, sia con riferimento alla ritenuta sussistenza di esigenze cautelari (Sez. 1, n. 2888 del 9/04/1999, COGNOME, Rv. 213383 – 01; Sez. 2, n. 4297 del 22/8/2000, COGNOME, Rv. 217275 – 01).
Nel caso in esame, quanto alle esigenze cautelari di cui all’art. 274, lettera c), cod. proc. pen., deve rilevarsi che lo sviluppo argomentativo della doglianza del ricorrente consente di comprendere che ciò che viene prospettato come apparenza di motivazione corrisponde, in realtà, alla denuncia di una motivazione inadeguata, in relazione ai vari profili di merito, contestandosi, dunque, la tenuta della motivazione.
La deduzione, quindi, al di là della cornice nella quale è inserita, si risolve in censure rivolte contro la motivazione, peraltro con incursioni, al tempo stesso generiche e non consentite, nell’analisi del merito.
Si tratta, dunque, di motivo non compatibile con il limite della violazione di legge previsto dall’art. 311, comma 2, cod. proc. pen.
Ciò, peraltro, a fronte di una ordinanza che, sul punto, non è inficiata da errori ed è dotata di un adeguato apparato motivazionale.
Il Giudice per le indagini preliminari, infatti, ha affermato che «le esigenze cautelari di cui all’art. 274, lett. c – ma anche lett. a) – sono di livello massimo NOME annovera diversi precedenti, anche specifici ed ha continuato a dirigere l’associazione criminale certamente fino al termine del periodo di monitoraggio, ossia aprile 2022 e, a quella data non emergeva una volontà di cessazione dell’attività, ma piuttosto di incrementare i traffici. Se non sottoposto a custodia cautelare in carcere – unica misura idonea oltre che proporzionata ai fatti continuerebbe, senza alcun dubbio, l’attività criminale che porta avanti da anni».
Con riguardo, invece, alla deduzione relativa all’apparenza della motivazione in ordine alle esigenze di cui all’art. 274, lettera a), cod. proc. pen., deve convenirsi con il ricorrente che il Tribunale si è limitato ad un’assertiva e
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generica considerazione: va tuttavia rilevato che il tema va inquadrato nella sfera di operatività dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. e che in tale prospettiva risulta da sola sufficiente, ai fini in esame, la valutazione RAGIONE_SOCIALE esigenze di cui all’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., tali da giustificare l’applicazione e la permanenza dello stato restrittivo, senza che si registri alcuna decisiva interferenza del profilo legato alle esigenze di cui alla lettera a).
In definitiva, il ricorso è inammissibile e ciò comporta, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali nonché – non sussistendo ragioni di esonero (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) – della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALEe a titolo di sanzione pecuniaria.
La Cancelleria è onerata degli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, Reg. esec. cod. proc. pen.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE da alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter,eAtissZa cod. proc. pen.
Così deciso il 19/6/2024