Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 33140 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: NOME
Penale Sent. Sez. 6 Num. 33140 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Data Udienza: 24/06/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME DI NOME COGNOME NOME
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
n a t o
a
X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X
avverso l’ordinanza del 05/05/2025 del Giudice per le indagini preliminari di Varese udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per la inammissibilità del ricorso.
Procedimento trattato in modalità cartolare.
RITENUTO IN FATTO
1.XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXricorre avverso l’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Varese ha convalidato la misura di urgenza dell’allontanamento dalla casa familiare emessa dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Varese il 2 maggio 2025 e disposto le misure cautelari dell’allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento alle persone offese (moglie e figli minori), e l’applicazione del dispositivo elettronico di controllo, in relazione al reato di cui all’art. 572, comma secondo, cod. pen.
Ne chiede l’annullamento sulla base di tre motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo, si deducono violazione di legge in relazione all’art. 111 Cost. e all’art. 384bis , comma 2, cod. proc. pen. per mancanza assoluta di motivazione.
Manca nella ordinanza impugnata il presupposto della gravità indiziaria, avendo il Giudice adottato una motivazione meramente di stile, senza una doverosa, autonoma valutazione rispetto alla ricostruzione offerta dalla pubblica accusa ed in assenza di elementi dimostrativi del fatto, al di là della denuncia sporta dalla persona offesa il 2 maggio 2025.
Il nome della persona offesa Ł stato erroneamente riportato nel dispositivo del decreto adottato dal Pubblico Ministero.
2.2. Con il secondo motivo, si deduce il vizio di erronea interpretazione ed applicazione di legge, in relazione all’articolo 274 cod. proc. pen., con riferimento alle esigenze cautelari.
L’indagato Ł incensurato e non Ł mai stato ricoverato a causa dell’abuso di sostanze alcoliche. Ha ammesso di aver minacciato i figli con l’uso di un frustino ma solo per incutere loro timore e ‘per insegnare il rispetto nei confronti dei propri genitori’.
Non vi sono, dunque, pericoli di inquinamento probatorio, non essendovi elementi per affermare che egli potrebbe minacciare le vittime per indurle a ridimensionare le accuse in
suo danno.
Il divieto di avvicinare i figli lede la garanzia del superiore interesse del minore di cui all’art. 3 della convenzione Onu del 20 novembre 1989.
2.3. Con il terzo motivo, si deduce violazione dell’articolo 275, comma 2,cod. proc. pen, per difetto di proporzionalità delle misure coercitive, congiuntamente applicate, dell’allontanamento e del divieto di avvicinamento.
I fatti oggetto di provvisoria incolpazione, consistiti nell’intimorire i figli per indurre negli stessi rispetto nei confronti dei genitori e la spinta data alla moglie nella giornata del 1 maggio 2025, integrano, al piø, il reato di percosse previsto dall’art. 581 cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso Ł inammissibile per le ragioni che di seguito si espongono.
Va precisato, anzitutto, che Ł impugnato direttamente innanzi a questa Corte il provvedimento applicativo delle misure cautelari congiuntamente applicate al ricorrente dal Giudice per le indagini preliminari, ma non anche la convalida del provvedimento precautelare di allontanamento urgente.
Ai sensi dell’art. 311, comma 2, cod. proc. pen., la possibilità di proporre ricorso per saltum Ł limitata alle ipotesi in cui siano dedotte violazioni di legge.
Ebbene, considerando i motivi formulati, si osserva che, pur essendosi dedotte mancanza di motivazione e mancanza di autonoma valutazione – vizi che potrebbero astrattamente inquadrarsi nell’alveo della violazione di legge e formare oggetto di ricorso immediato (Sez. 6, n. 26050 del 14/4/2016, Rechichi, Rv. 266970) – di tratta di censure, del tutto genericamente formulate, che pongono in discussione la adeguatezza e la tenuta logica della motivazione.
Piø in dettaglio, la motivazione Ł tutt’altro che apparente in ordine alla gravità indiziaria del reato di maltrattamenti.
L’ordinanza richiama la denuncia della persona offesa, valutata intrinsecamente credibile nel suo contenuto ed adeguatamente riscontrata dalle videoriprese dalla stessa offerte in visione, ritraenti l’indagato che, in due diverse circostanze (vedi sul punto la richiesta di convalida), urla e minaccia i figli, ancora bambini, impugnando un frustino, e li costringe ad inginocchiarsi a terra con le mani sul capo.
La denuncia ha ad oggetto condotte ripetute nel tempo – tant’Ł che i fatti del 2 maggio 2025 costituiscono solo ‘l’ennesima violenta aggressione’ subita dalla denunciante, in una escalation di violenze fisiche e psicologiche, mai prima denunciate per paura di una reazione scomposta del marito.
La motivazione, pur stringata, ma esaustiva, dà conto dei presupposti fattuali della abitualità delle condotte prevaricatrici, così da risultare del tutto infondata la pretesa di riqualificazione del reato di maltrattamenti in quello di percosse.
Parimenti, non Ł dato ravvisare mancanza o apparenza di motivazione con riferimento alle ravvisate esigenze cautelari, essendosi posti in risalto dal Giudice per le indagini preliminari l’atteggiamento spregiudicato dell’indagato e l’ingravescenza nel tempo delle condotte prevaricatrici, indotte dall’abuso di sostanze alcoliche, con il conseguente, concreto rischio che egli reiteri gli agiti violenti, anche al fine di ottenere un ridimensionamento delle proprie responsabilità.
Dalla inammissibilità del ricorso, perchØ fondato su motivi non consentiti, discende la impossibilità di disporne la conversione in richiesta di riesame.
Ritiene il Collegio che meriti condivisione l’orientamento, pur non univoco,espresso da questa Corte, secondo cui il ricorso diretto per cassazione contro le ordinanze che
dispongano una misura coercitiva proposto per motivi non consentiti Ł inammissibile ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen., sicchØ non può operare la sua conversione in richiesta di riesame, per avere il ricorrente già consumato, con il predetto ricorso, la facoltà di scelta tra i diversi mezzi di impugnazione a sua disposizione (Sez. 4, n. 45611 del 28/10/2021, Sociu, Rv. 282548 – 01; Sez. 6, n. 35816 del 11/11/2020, Chionna, Rv. 279956 – 01; Sez. 6, n. 36597 del 11/11/2020, Troqe, Rv. 280150 – 01).
La sentenza Troqe, cit. ha richiamato al proposito la sentenza delle Sez. U n. 45371 del 31/10/2001, COGNOME, Rv. 220221 con cui, prendendo le distanze da un precedente arresto nomofilattico (Sez. U. n. 16 del 26/11/1997, dep. 1998, Nexhi, 209336), le Sezioni Unite pervennero in via generale ad affermare che «in tema di impugnazioni, allorchØ un provvedimento giurisdizionale sia impugnato dalla parte interessata con un mezzo di gravame diverso da quello legislativamente prescritto, il giudice che riceve l’atto deve limitarsi, a norma dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., a verificare l’oggettiva impugnabilità del provvedimento, nonchØ l’esistenza di una ” voluntas impugnationis “, consistente nell’intento di sottoporrel’atto impugnato a sindacato giurisdizionale, e quindi trasmettere gli atti, non necessariamente previa adozione di un atto giurisdizionale, al giudice competente». Sulla base di tale orientamento, il disposto dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen. – in forza del quale l’impugnazione Ł ammissibile a prescindere dalla qualificazione ad essa data dal proponente e, se proposta a giudice incompetente, impone a questo giudice di trasmettere gli atti al giudice competente – deve essere interpretato nel senso che, purchØ si tratti di provvedimento impugnabile, Ł necessaria e sufficiente la constatazione di un’impugnazione comunque proposta, perchØ debba procedersi alla corretta qualificazione della stessa ai fini della trasmissione al giudice competente, senza necessità di indagare sulla specifica volontà perseguita dal proponente.
Dalla regola della riqualificazione, così intesa, devono distinguersi – secondo le Sezioni Unite – i casi in cui, per effetto di specifiche disposizioni, debba procedersi alla conversione dell’impugnazione, come in particolare nelle ipotesi di cui agli artt. 580, 569, comma 2 e comma 3, cod. proc. pen., i primi due correlati alla concomitante proposizione di altri mezzi di impugnazione e il terzo alla presentazione di motivi diversi da quelli consentiti con ricorso immediato avverso una sentenza di primo grado appellabile.
Muovendo da tali premesse, le Sezioni Unite hanno rilevato come il principio della riqualificazione dell’impugnazione si correli, in generale, alla mancata previsione di una causa di inammissibilità per la proposizione di un mezzo di impugnazione diverso da quello previsto. Proprio per tale ragione, diversa sorte hanno le ipotesi di ricorso immediato avverso misure cautelari personali o reali, contemplate dall’art. 311, comma 2, cod. proc. pen. e dall’art. 325, comma 2, cod. proc. pen., in relazione alle quali Ł espressamente stabilito che la «proposizione del ricorso rende inammissibile l’istanza di riesame».
La scelta rimessa alla parte interessata, accompagnata dalla previsione dell’inammissibilità dell’alternativo mezzo di impugnazione, «cristallizza l’impugnazione e preclude definitivamente il rimedio della riqualificazione della stessa come riesame, quand’anche l’impugnazione sia carente dei presupposti (cioŁ nel caso di proposizione di motivi non consentiti), a contrario trovando in realtà conferma in tutti gli altri casi la possibilità della riqualificazione, desumibile dall’art. 568, comma 5, cod. proc. pen.» (in termini sent. Sociu, cit.).
Non può, dunque, condividersi il diverso orientamento in precedenza espresso, tra le altre, da Sez. 5, n. 32391 del 8/3/2018, COGNOME, Rv. 273508; Sez. 3, n. 9151 del 19/11/2015, dep. 2016, M., Rv. 266546, che ha ritenuto possibile la conversione in forza del principio di
conservazione dell’impugnazione, desumibile in via generale dall’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., senza tenere conto delle ipotesi derogatorie enucleate dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite supra richiamata.
Sono assorbite le ulteriori doglianze.
Alla declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchØ al versamento a favore della cassa delle ammende della somma che si valuta equo quantificare nella misura indicata in dispositivo, non vertendosi in ipotesi di assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. IN CASO DI DIFFUSIONE DEL PRESENTE PROVVEDIMENTO OMETTERE LE GENERALITA’ E GLI ALTRI DATI IDENTIFICATIVI A NORMA DELL’ART. 52 D.LGS. 196/03 E SS.MM.
Così Ł deciso, 24/06/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME