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Ricorso per saltum: i limiti e la Cassazione

La Corte di Cassazione ha stabilito che un’impugnazione proposta come ricorso per saltum avverso un’ordinanza che rigetta l’istanza di revoca di una misura cautelare è inammissibile. Tale rimedio è consentito solo contro i provvedimenti che applicano per la prima volta una misura coercitiva. La Corte, in applicazione del principio di conservazione degli atti, ha riqualificato l’impugnazione come appello, trasmettendo gli atti al giudice competente.

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Pubblicato il 15 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso per Saltum: quando è possibile e cosa succede in caso di errore?

Nel complesso panorama della procedura penale, la scelta del corretto mezzo di impugnazione è un passaggio cruciale che può determinare le sorti di un’istanza. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini applicativi del ricorso per saltum, un istituto che consente di adire direttamente la Suprema Corte, delineando le conseguenze di un suo uso improprio in materia di misure cautelari. Questo provvedimento offre spunti fondamentali per comprendere il rigore formale richiesto dalla legge e, al contempo, i meccanismi di conservazione degli atti processuali.

I fatti del caso

La vicenda trae origine dalla richiesta di un imputato, sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere per il reato di associazione di tipo mafioso (art. 416 bis c.p.), di veder dichiarata l’inefficacia della misura stessa. La Corte di Appello di Messina, dinanzi alla quale pendeva il giudizio di secondo grado sulla sentenza di condanna, rigettava l’istanza. Avverso questa decisione, la difesa proponeva ricorso immediato per Cassazione, tentando la via del cosiddetto ricorso per saltum.

Il ricorso per saltum e la decisione della Corte

Il nodo centrale della questione era stabilire se il ricorso per saltum fosse il rimedio corretto. La Corte di Cassazione ha risposto negativamente. Ha infatti chiarito che l’art. 311, comma 2, del codice di procedura penale, consente questo tipo di ricorso diretto solo contro i provvedimenti ‘genetici’, ovvero quelli che dispongono per la prima volta una misura coercitiva, e unicamente per motivi di violazione di legge. Tale strumento rappresenta un’alternativa al ricorso al Tribunale del Riesame previsto dall’art. 309 c.p.p.

La Corte ha precisato che tutte le altre ordinanze in materia di misure cautelari, come quelle che decidono su istanze di revoca o sostituzione (ex art. 299 c.p.p.) o di estinzione (ex art. 306 c.p.p.), non possono essere impugnate con ricorso diretto in Cassazione. Per queste decisioni, il legislatore ha previsto un rimedio specifico: l’appello cautelare dinanzi al Tribunale, ai sensi dell’art. 310 c.p.p.

Di conseguenza, la Corte, constatato l’errore procedurale, non ha dichiarato semplicemente l’inammissibilità del ricorso, ma lo ha ‘riqualificato’.

Le motivazioni

La decisione si fonda sul principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, secondo cui un provvedimento può essere contestato solo con gli strumenti espressamente previsti dalla legge. La giurisprudenza di legittimità è costante nel ribadire che l’appello cautelare è l’unico rimedio contro i rigetti di istanze di revoca o sostituzione di misure.

Tuttavia, entra in gioco un altro principio fondamentale: quello della conservazione degli atti giuridici, codificato nell’art. 568, comma 5, c.p.p. Questa norma stabilisce che, se un’impugnazione è proposta con un mezzo diverso da quello prescritto, il giudice che la riceve deve trasmetterla a quello competente. I presupposti per questa ‘conversione’ sono due: l’oggettiva impugnabilità del provvedimento e la presenza di una chiara volontà di impugnare (la voluntas impugnationis) da parte del ricorrente. Nel caso di specie, entrambi i requisiti erano soddisfatti. L’ordinanza della Corte d’Appello era impugnabile e la volontà della difesa di sottoporla a un sindacato giurisdizionale era evidente. Pertanto, la Cassazione ha qualificato l’atto come appello e ha ordinato la trasmissione degli atti al Tribunale di Messina, giudice competente per l’appello cautelare.

Le conclusioni

Questa ordinanza riafferma un principio cardine della procedura penale: la forma è sostanza. La scelta del corretto strumento processuale non è un mero formalismo, ma una condizione di ammissibilità dell’azione. L’istituto del ricorso per saltum è un’eccezione, applicabile in un perimetro molto ristretto. Allo stesso tempo, la decisione evidenzia la funzione ‘salvifica’ dell’art. 568 c.p.p., che impedisce che un errore formale, se sono presenti i requisiti di base, possa vanificare il diritto di difesa. Per gli operatori del diritto, ciò significa prestare la massima attenzione alla qualificazione del rimedio da esperire, pur potendo contare su un meccanismo di correzione che garantisce la continuità del procedimento dinanzi al giudice naturale previsto dalla legge.

Cos’è il ricorso per saltum in materia cautelare e quando è ammesso?
È un ricorso immediato alla Corte di Cassazione che ‘salta’ il grado intermedio di giudizio. In materia di misure cautelari coercitive, è consentito solo contro i provvedimenti che le applicano per la prima volta (c.d. provvedimenti genetici) e solo per violazione di legge, in alternativa al riesame.

Qual è il rimedio corretto contro un’ordinanza che nega la revoca di una misura cautelare?
Il rimedio corretto ed esclusivo è l’appello cautelare, previsto dall’art. 310 del codice di procedura penale, da proporsi al Tribunale competente.

Cosa succede se si utilizza un mezzo di impugnazione errato?
In base all’art. 568, comma 5, c.p.p., se il provvedimento è comunque impugnabile e se emerge la chiara volontà della parte di contestarlo, il giudice che riceve l’atto errato non lo dichiara inammissibile ma lo riqualifica e lo trasmette al giudice che sarebbe stato competente a decidere sull’impugnazione corretta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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